Visto il clima veramente surriscaldato, vorrei provare a
dire due cose due, nel modo più lucido e razionale che mi sarà possibile, per
provare a commentare da antropologo culturale il doppio sgombero di via
Curtatone prima e di piazza Indipendenza poi, occorso in questo agosto romano
che varrebbe la pena di dimenticare, se non fosse che sarà necessario ricordare
a lungo per il clima che inevitabilmente impone alla città.
Vorrei rivolgermi in particolare alle Persone Perbene (PP),
che hanno avuto modo di commentare quel che è stato fatto dalla Polizia
sostenendo che è stata un’azione giusta, che non solo il palazzo andava
sgomberato, ma che è stato giusto anche mandare via gli accampati da piazza
Indipendenza. Veramente, non ho alcuna animosità verso le PP, molte sono mie
conoscenze, alcuni sono amici, certi addirittura parenti. Sono persone a cui mi
sento socialmente contiguo per ragioni familiari, sociali, culturali. Proprio
per questo, per gestire lo scarto tra questa vicinanza generica e la distanza
abissale che da loro mi separa nel caso specifico del giudizio con cui valutare
gli episodi Curtatone/Indipendenza, mi sento nell’obbligo morale di dire le
cose sto per esporre, che discendono dalle mie competenze professionali, dalle
mie ricerche attuali, dalla mia caratterizzazione di “studioso” dei temi in oggetto.
Non farò dunque appello a un orizzonte culturale radicato nell’Occidente,
quello che trova la sua sintesi più nota nelle parole di Gesù riportate nel
Vangelo di Matteo, (25, 35), un orizzonte certo connotato emotivamente, che quindi può lasciare perplessi
quanti invece credono che la vita politica di una comunità vada organizzata
attorno a criteri politici, non ambiguamente emotivi.
Partiamo allora constatando che negli eventi
Curtatone/Indipendenza si condensano e si intrecciano diversi temi centrali
della condizione attuale del vivere sociale, in particolare cosa sia la Legge,
chi sia un Rifugiato, se la Casa sia una Diritto e quale sia l’uso legittimo della
Forza nella salvaguardia dei diritti (alla Casa o alla Proprietà Privata,
rispettivamente, se la Forza viene esercitata da chi occupa abusivamente per
avere una casa o da chi è preposto a sgombrare un’occupazione per difendere la
proprietà privata).
Insomma, nel caso in oggetto abbiamo tutti dovuto rispondere
a due domande:
1. la Casa è un diritto?
2. La Legge va rispettata in ogni caso?
A seconda di come avremo risposto a queste domande, avremo
elaborato un giudizio diverso sugli eventi tuttora in corso. Le PP tendono a
rispondere NO alla domanda 1 e SÌ alla domanda 2, dal che ne consegue che occupare
nel 2013 una palazzina di proprietà di un fondo immobiliare è stata un’azione
illegale e l’atto di sgombero non è altro che il ripristino (realizzato con la
Forza necessaria) dell’originario stato di legalità.
Le seconda domanda, nel caso specifico, può essere anche
formulata in modo diverso, specificando il tipo di Legge in oggetto e legandola
quindi alla domanda 1. In questa variante, la domanda 2 diventa dunque:
2A. È mai legittimo violare il diritto alla Proprietà
Privata?
Di nuovo le PP, in tutta serenità d’animo rispondono
fermamente di NO, e quindi in modo ancora più specifico possono continuare a letteralmente
giustificare quel che è successo. Giustificazione che permane anche nel caso in
cui le PP dovessero rispondere SÌ alla domanda 1. Se la casa è un diritto (per
tutti, o anche solo per le persone legalmente rifugiate che avevano occupato il
palazzo di via Curtatone) il secco NO alla domanda 2A rende la loro azione
comunque illegale e impone un ripristino della legalità.
Analizziamo a questo punto cosa c’è che, razionalmente, non
va nella posizione delle PP quando rispondono categoricamente Sì a 2 oppure NO a 2A.
Hannah Arendt pubblicò negli ultimi anni di vita una rapida
riflessione sulla Disobbedienza Civile (recentemente ripubblicata in italiano
per Chiarelettere con una prefazione di Laura Boella)
in cui cercava di fare i conti, ormai cittadina americana, con la differenza
tra obiezione di coscienza e disobbedienza civile. Mentre il primo è un
fenomeno che riguarda esclusivamente gli individui singoli, la disobbedienza
civile è uno strumento politicamente delicato perché viola la norma democratica
che è la maggioranza ad avere ragione. La disobbedienza civile è il momento
politico in cui una minoranza impone con la forza la propria agenda politica,
perché altrimenti non avrà modo di vedere riconosciute le sue richieste che, si
badi bene, sono richieste che riguardano la collettività, non solo le
specifiche esigenze della minoranza. Senza Rosa Parks, la questione razziale non
si sarebbe mai imposta nell’agenza politica statunitense e senza la marcia del
sale la questione coloniale in India non avrebbe mai preso la piega che fu
imposta. La disobbedienza civile impone con
la forza un’agenda politica che non avrebbe modo di essere discussa secondo
i regolari percorsi della politica, anche democratica. Ci ricorda che non è
vero che la Legge va rispettata sempre e non è vero che l’esercizio della
Legalità ipso facto coincide con la
Giustizia.
Se uno ha il coraggio di ricordare un altro libro di Hannah Arendt, questo Legalismo esasperato è un tratto riconoscibile del
Nazismo (e dei Fascismi in generale, che appunto non possono accettare neppure
l’ipotesi di una disobbedienza civile) e fu l’argomento principe che Eichmann
sostenne nel suo tentativo di difesa. Pretendeva di essere assolto dal
tribunale israeliano perché “aveva solo obbedito agli ordini”, vale a dire
aveva esercitato la Legge come incombeva su di lui, umile funzionario dell’amministrazione
tedesca.
John Comaroff, un grande antropologo sudafricano, chiama questo
sistema legalista Lawfare. Si tratta di una progressiva espansione nei sistemi
democratici della legittimazione della Legge in quanto tale, che espande il
potere Giudiziario a discapito di quello Legislativo, ad esempio, e ingabbia le
pratiche quotidiane in formalismi giudirici esasperati “perché queste sono le
regole”.
Alle PP vorrei dunque dire che non è vero che l’unica
risposta ragionevole alla domanda 2 sia Sì e alla 2A sia NO, e ci sono anzi diversi motivi,
storici e razionali, per ricordarci che la Legge è solo un sistema di Regole
che può e anzi deve essere cambiato secondo necessità, e che non è vero che
questo cambiamento possa passare solo ed esclusivamente per gli ordinari canali
della rappresentanza democratica, semplicemente perché vi sono minoranze che
non avranno mai modo di veder discussa o approvata “democraticamente” la loro versione
delle Regole.
2A, che riguarda in particolare il rapporto tra proprietà
privata e uso, si salda poi con la domanda 1, che riguarda la Casa, uno dei
posti principali di esercizio del diritto di proprietà e di uso. La nostra Costituzione
riconosce il diritto alla Proprietà Privata, ma all’articolo 42 ne determina “i
limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale” e, per chiarire il
concetto, al comma successivo dello stesso articolo specifica che può essere “espropriata
per motivi d’interesse generale”. Fino a tutti gli anni Settanta, sono state
diverse le azioni di esproprio (“salvo indennizzo”, ci mancherebbe) di beni
privati per motivi di interesse generale. Ricordo ancora la battaglia nel mio
quartiere alla periferia di Mestre, nei primi anni Settanta, quando una villa
con giardino venne espropriata dal Comune per farne un parco pubblico con tanto
di biblioteca.
La santificazione della proprietà privata anche nel caso delle abitazioni fa parte di un altro fenomeno ampiamente in corso, ed è l’espansione della società di mercato, che prevede che sempre più settori del sociale (sanità, istruzione, casa) vengano ora sempre più regolati dal sistema della domanda e dell’offerta, come qualunque altro settore del mercato. Non c’è spazio per una riflessione sistematica su questo punto, e dovrò limitarmi a far notare che è solo da poco tempo che, almeno in Italia, la casa viene trattata e pensata come una merce qualunque, e per lungo tempo la politica e anche l’economia avevano serenamente accettato che fosse un bene del tutto speciale, da trattare sul piano economico secondo regole estranee ed esterne a quella della domanda e dell’offerta.
La santificazione della proprietà privata anche nel caso delle abitazioni fa parte di un altro fenomeno ampiamente in corso, ed è l’espansione della società di mercato, che prevede che sempre più settori del sociale (sanità, istruzione, casa) vengano ora sempre più regolati dal sistema della domanda e dell’offerta, come qualunque altro settore del mercato. Non c’è spazio per una riflessione sistematica su questo punto, e dovrò limitarmi a far notare che è solo da poco tempo che, almeno in Italia, la casa viene trattata e pensata come una merce qualunque, e per lungo tempo la politica e anche l’economia avevano serenamente accettato che fosse un bene del tutto speciale, da trattare sul piano economico secondo regole estranee ed esterne a quella della domanda e dell’offerta.
C’è tutto il quadro di diritto, insomma, per argomentare a
favore del fatto che le occupazioni a scopo abitativo siano azioni di
disobbedienza civile messe in atto da minoranze di senza tetto che provano così
a realizzare lo spirito dell’articolo 42 della Costituzione italiana.
Resta aperto solo il caso in cui la risposta alla domanda 1
sia stata, da parte delle PP, positiva. Sì, si dice, la casa è un diritto, ed è
garantito da istituzioni specifiche che, sul territorio, realizzano e rendono
disponibili alloggi popolari. Le occupazioni sarebbero allora azioni comunque
illegittime perché con un atto di forza sottraggono il diritto alla casa a
quanti sono già in lista di attesa per un alloggio e si vedono scavalcati dagli occupanti.
Anche su questo, va fatta un po’ di chiarezza intellettuale.
Stiamo parlando di occupazioni di edifici (pubblici o privati) non destinati in
origine a scopo abitativo: uffici, scuole, alberghi abbandonati e non
utilizzati altrimenti. Non è il (forse) il caso di Curtatone/Indipendenza, ma
molte altre occupazioni a scopo abitativo di questo tipo erano condotte proprio
da persone già in lista di attesa, ma che semplicemente vedevano disatteso da
anni un loro diritto. Il punto è, semplicemente, che l’abitazione per uso
domestico ha smesso di essere considerata un diritto da garantire con il
sistema di welfare e i tagli progressivi condotti nell’ultimo trentennio hanno
di fatto ridotto a zero lo spazio investito dal pubblico per l’edilizia
popolare. Se veramente la casa è un diritto (almeno per alcune categorie di
cittadini), allora possiamo dire che è un diritto sistematicamente disatteso e
non è vero che gli occupanti sottraggono un diritto ad altri (visto che
occupano spazi che non sono destinati a quel fine) e non è vero che “dovrebbero
aspettare il loro turno in lista” perché non c’è più nulla da aspettare da un
sistema di welfare che non prevede più l’abitazione tra i servizi realmente disponibili.
Ho usato l’imperfetto dicendo che molte occupazioni “erano condotte” da famiglie
in lista di attesa per la casa popolare perché è vero che la situazione è
cambiata da un paio d’anni dato che l’articolo 5 del famigerato piano casa
voluto dal Governo Renzi prevede, tra le altre oscenità, che chiunque prenda
parte ad occupazioni a scopo abitativo perda la sua eventuale posizione in
lista di attesa per la casa popolare, rendendo dunque l’esercizio disobbediente
di un diritto la migliore garanzia della perdita di quel diritto per vie
legali.
Chiudo quindi queste mie note rivolgendomi alle PP. I
fascisti razzisti ovviamente non meritano una briciola della mia attenzione ma
le PP invece mi interessano, perché credo che le loro convinzioni siano dettate
da un’errata valutazione dello stato di diritto e di fatto in cui si sta
svolgendo tutto il dramma Curtatone/Indipendenza. Le persone che occupavano non
stavano violando alcun diritto inalienabile, non hanno portato via nulla a chi
ha comunque il diritto ad avere un alloggio, né hanno rubato alcunché a quanti
faticano per pagarsi un affitto o un mutuo. Se avere una casa non è un diritto inalienabile,
non lo è neppure, per lo stato italiano, possedere un bene inutilizzato e
abbandonato senza alcuna “funzione sociale”. Se avere una casa è un diritto,
queste persone stavano solo esercitandolo per come era loro possibile, senza
danno per alcuno. La polizia non avrebbe dovuto sgombrare via Curtatone senza
offrire un’effettiva disponibilità di alloggio a tutti gli occupanti (non a
qualche dozzina, come si è frettolosamente cercato di fare), e mai avrebbe
potuto usare idranti e manganelli per sbaraccare da una piazza persone inermi.
Non c’è stata alcuna giustizia, nessun esercizio del diritto, solo violenza,
sopruso, sopraffazione.
Una delle cose più difficili da spiegare di tutta questa storia resta la “banalità del bene”, vale a dire come è possibile che tante PP abbiano la serena convinzione di essere nel giusto dicendo che la polizia ha fatto bene, o anche solo che via Curtatone andava sgombrata comunque. Il legalismo e il neoliberismo si sono saldati in una visione di senso comune che fa delle occupazioni spazi ipso facto criminali; la condizione di rifugiato si è completamente opacizzata nel calderone emotivo del timore dell’invasione e dell’ingestibilità dell’emergenza. La “cultura” che si è sedimentata è povera di contenuti oggettivi ma ricca di pulsioni emotive razionalizzate. Tutto si tiene, direbbe qualche vecchio studioso, e a farne le spese sono stati da un lato uomini e donne trattati da animali, e dall’altro il nostro raziocinio come capacità di analizzare la realtà dei fatti. Spero che si possa aprire ancora un spazio di ragionamento condiviso per provare a cambiare quel che ormai è diventata la visione naturalizzata di una questione di mero ordine pubblico.
Una delle cose più difficili da spiegare di tutta questa storia resta la “banalità del bene”, vale a dire come è possibile che tante PP abbiano la serena convinzione di essere nel giusto dicendo che la polizia ha fatto bene, o anche solo che via Curtatone andava sgombrata comunque. Il legalismo e il neoliberismo si sono saldati in una visione di senso comune che fa delle occupazioni spazi ipso facto criminali; la condizione di rifugiato si è completamente opacizzata nel calderone emotivo del timore dell’invasione e dell’ingestibilità dell’emergenza. La “cultura” che si è sedimentata è povera di contenuti oggettivi ma ricca di pulsioni emotive razionalizzate. Tutto si tiene, direbbe qualche vecchio studioso, e a farne le spese sono stati da un lato uomini e donne trattati da animali, e dall’altro il nostro raziocinio come capacità di analizzare la realtà dei fatti. Spero che si possa aprire ancora un spazio di ragionamento condiviso per provare a cambiare quel che ormai è diventata la visione naturalizzata di una questione di mero ordine pubblico.
Mi aspetto che le PP vogliano rispondere a questi miei
appunti mantenendo il tono pacato con cui li ho stesi.