Lezione numero 05 registrata il 25 novembre 2024
Introduzione e programma
La lezione si apre con alcune
comunicazioni logistiche: l’annuncio della visita di Francesco Tieri,
autore di un libro sulle moschee in Italia, e la proposta di un’uscita
didattica a Torpignattara per esplorare la diversità religiosa romana. Si
introduce poi il programma delle ultime lezioni, che includeranno la lettura
del libro di Sahlins e una riflessione finale sulla ritualità nella
modernità.
Il saggio di Clifford Geertz e
la svolta simbolica
La lezione vuole condurre a
quel che vedremo più avanti, cioè il celebre saggio di Clifford Geertz
del 1966, La religione come sistema culturale, considerato cruciale per
comprendere la svolta semiotica nell'antropologia religiosa. Geertz propone di
non analizzare la religione in termini funzionali (come espressione della
politica, dell’economia o della psicologia), ma di considerarla una sfera
simbolica autonoma. Egli tenta di riconoscere nel religioso una forma di
pensiero e un sistema culturale dotato di proprie regole, non riducibile ad
altri domini.
Talal Asad, Foucault e la
critica al simbolico
Il pensiero di Geertz viene
messo a confronto con quello di Talal Asad, che ne ha criticato
l’impostazione ritenendola ancora etnocentrica. Asad, influenzato da Foucault,
rappresenta la visione costruttivista per cui il significato non deriva mai
dalle cose, ma dal potere che impone i segni. Il costruttivismo radicale,
rappresentato anche da Judith Butler in Gender Trouble, viene
criticato nella lezione per aver rimosso il legame tra segni, corpi e realtà
materiale.
Un triangolo irriducibile:
mondo, potere e linguaggio
La lezione difende un modello
epistemologico fondato su un triangolo irriducibile: mondo, potere,
linguaggio. Pur riconoscendo la forza della svolta linguistica, si
sottolinea l’errore delle scienze sociali nel cancellare il “mondo”, ovvero la
dimensione concreta dell’esperienza, dal campo dell’analisi. L’esempio delle
valutazioni estetiche universali (labbra carnose o sottili) serve a mostrare
come ogni cultura interpreti differenze reali, attribuendo loro
significati diversi.
Religione e narrazione:
simboli, miti, riti
Il religioso viene descritto
come uno spazio cognitivo e narrativo in cui simboli, miti e riti
permettono di costruire significato e ordine nel mondo. I simboli sono
oggetti materiali che veicolano concetti culturali; i miti sono storie
che mettono in movimento questi simboli; i riti sono gesti che li
rendono operativi nella realtà. La religione è così presentata come un “altro
livello” della realtà, che articola bisogni cognitivi e morali non riducibili
ad altre forme di sapere.
Il mito come pensiero che pensa
se stesso
Attraverso Claude
Lévi-Strauss, si analizza il mito come una forma di pensiero teorico
che non serve a risolvere problemi pratici ma a rendere comprensibili
opposizioni fondamentali (vita/morte, natura/cultura). Il mito media
l’inconciliabile attraverso la narrazione, come nel caso della iena che si
colloca tra le posizioni del leone e della gazzella. Si citano anche Malinowski
e Radcliffe-Brown, per i quali il mito giustifica l’ordine sociale o
organizza concettualmente il reale.
La struttura narrativa del
mito: da Propp a Lévi-Strauss
La lezione richiama Vladimir
Propp e la struttura tipica della fiaba, sottolineando la funzione
paradigmatica dell’eroe come modello narrativo e sociale. Il mito, come la
fiaba, risponde al bisogno umano di storie attraverso cui comprendere il mondo
e orientarsi in esso.
Il totemismo come strumento
cognitivo
Il totemismo, rivalutato
da Lévi-Strauss nel saggio Il totemismo oggi, viene reinterpretato non
come una forma arcaica di religione, ma come una macchina simbolica potente
per organizzare rapporti tra gruppi umani e il mondo naturale. I totem (come
l’aquila o il salmone) sono strumenti per pensare la parentela, il territorio,
la circolazione delle donne, e anche le relazioni cosmiche tra cielo, terra e
sottosuolo.
Il rito: azione simbolica e
performativa
Il rito viene definito come la sequenza di atti che rende
visibile ciò che il mito narra. A differenza del mito, che riconosce lo stato delle cose, il rito vuole trasformarle: alleviare il dolore, esorcizzare la morte, accompagnare i passaggi esistenziali. Il rito è performativo, cambia lo status dell’individuo. Si menzionano i riti di passaggio secondo la teoria di Arnold van Gennep, articolati in tre fasi: separazione, liminalità e reintegrazione.
Modernità e crisi del rito:
Adam Seligman
In chiusura, si introduce la
riflessione di Adam Seligman sui limiti della sincerità. Le
società moderne, incentrate sull’individualismo e l’autenticità emotiva,
tendono a ridurre l’efficacia del rito, che invece nelle società tradizionali
non richiede sincerità ma conformità alla forma. Questa
de-ritualizzazione della vita sociale comporta un crescente carico psicologico
e l’indebolimento dei dispositivi simbolici collettivi.
Conclusione
La lezione invita a considerare
la religione non come oggetto di credenza ma come linguaggio culturale e
forma del pensiero umano, che media l’esperienza del mondo attraverso
narrazioni, azioni rituali e simboli. Essa si oppone a ogni tentativo
riduzionista o funzionalista, rivendicando il religioso come uno spazio
culturale autonomo e universale, che può assumere forme diverse, ma che
risponde a una medesima esigenza di senso.