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giovedì 24 aprile 2025

Il religioso come linguaggio del mondo: tra mito, rito e segno – Lezione #05 di Antropologia del Modulo B di Antropologia culturale per Tor Vergata - Pietro Vereni

 

Lezione numero 05 registrata il 25 novembre 2024

Introduzione e programma

La lezione si apre con alcune comunicazioni logistiche: l’annuncio della visita di Francesco Tieri, autore di un libro sulle moschee in Italia, e la proposta di un’uscita didattica a Torpignattara per esplorare la diversità religiosa romana. Si introduce poi il programma delle ultime lezioni, che includeranno la lettura del libro di Sahlins e una riflessione finale sulla ritualità nella modernità.

Il saggio di Clifford Geertz e la svolta simbolica

La lezione vuole condurre a quel che vedremo più avanti, cioè il celebre saggio di Clifford Geertz del 1966, La religione come sistema culturale, considerato cruciale per comprendere la svolta semiotica nell'antropologia religiosa. Geertz propone di non analizzare la religione in termini funzionali (come espressione della politica, dell’economia o della psicologia), ma di considerarla una sfera simbolica autonoma. Egli tenta di riconoscere nel religioso una forma di pensiero e un sistema culturale dotato di proprie regole, non riducibile ad altri domini.

Talal Asad, Foucault e la critica al simbolico

Il pensiero di Geertz viene messo a confronto con quello di Talal Asad, che ne ha criticato l’impostazione ritenendola ancora etnocentrica. Asad, influenzato da Foucault, rappresenta la visione costruttivista per cui il significato non deriva mai dalle cose, ma dal potere che impone i segni. Il costruttivismo radicale, rappresentato anche da Judith Butler in Gender Trouble, viene criticato nella lezione per aver rimosso il legame tra segni, corpi e realtà materiale.

Un triangolo irriducibile: mondo, potere e linguaggio

La lezione difende un modello epistemologico fondato su un triangolo irriducibile: mondo, potere, linguaggio. Pur riconoscendo la forza della svolta linguistica, si sottolinea l’errore delle scienze sociali nel cancellare il “mondo”, ovvero la dimensione concreta dell’esperienza, dal campo dell’analisi. L’esempio delle valutazioni estetiche universali (labbra carnose o sottili) serve a mostrare come ogni cultura interpreti differenze reali, attribuendo loro significati diversi.

Religione e narrazione: simboli, miti, riti

Il religioso viene descritto come uno spazio cognitivo e narrativo in cui simboli, miti e riti permettono di costruire significato e ordine nel mondo. I simboli sono oggetti materiali che veicolano concetti culturali; i miti sono storie che mettono in movimento questi simboli; i riti sono gesti che li rendono operativi nella realtà. La religione è così presentata come un “altro livello” della realtà, che articola bisogni cognitivi e morali non riducibili ad altre forme di sapere.

Il mito come pensiero che pensa se stesso

Attraverso Claude Lévi-Strauss, si analizza il mito come una forma di pensiero teorico che non serve a risolvere problemi pratici ma a rendere comprensibili opposizioni fondamentali (vita/morte, natura/cultura). Il mito media l’inconciliabile attraverso la narrazione, come nel caso della iena che si colloca tra le posizioni del leone e della gazzella. Si citano anche Malinowski e Radcliffe-Brown, per i quali il mito giustifica l’ordine sociale o organizza concettualmente il reale.

La struttura narrativa del mito: da Propp a Lévi-Strauss

La lezione richiama Vladimir Propp e la struttura tipica della fiaba, sottolineando la funzione paradigmatica dell’eroe come modello narrativo e sociale. Il mito, come la fiaba, risponde al bisogno umano di storie attraverso cui comprendere il mondo e orientarsi in esso.

Il totemismo come strumento cognitivo

Il totemismo, rivalutato da Lévi-Strauss nel saggio Il totemismo oggi, viene reinterpretato non come una forma arcaica di religione, ma come una macchina simbolica potente per organizzare rapporti tra gruppi umani e il mondo naturale. I totem (come l’aquila o il salmone) sono strumenti per pensare la parentela, il territorio, la circolazione delle donne, e anche le relazioni cosmiche tra cielo, terra e sottosuolo.

Il rito: azione simbolica e performativa

Il rito viene definito come la sequenza di atti che rende


visibile ciò che il mito narra. A differenza del mito, che riconosce lo stato delle cose, il rito vuole trasformarle: alleviare il dolore, esorcizzare la morte, accompagnare i passaggi esistenziali. Il rito è performativo, cambia lo status dell’individuo. Si menzionano i riti di passaggio secondo la teoria di Arnold van Gennep, articolati in tre fasi: separazione, liminalità e reintegrazione.

Modernità e crisi del rito: Adam Seligman

In chiusura, si introduce la riflessione di Adam Seligman sui limiti della sincerità. Le società moderne, incentrate sull’individualismo e l’autenticità emotiva, tendono a ridurre l’efficacia del rito, che invece nelle società tradizionali non richiede sincerità ma conformità alla forma. Questa de-ritualizzazione della vita sociale comporta un crescente carico psicologico e l’indebolimento dei dispositivi simbolici collettivi.

Conclusione

La lezione invita a considerare la religione non come oggetto di credenza ma come linguaggio culturale e forma del pensiero umano, che media l’esperienza del mondo attraverso narrazioni, azioni rituali e simboli. Essa si oppone a ogni tentativo riduzionista o funzionalista, rivendicando il religioso come uno spazio culturale autonomo e universale, che può assumere forme diverse, ma che risponde a una medesima esigenza di senso.