8 e 9 novembre 2017. Ultime due lezione del modulo A, quello introduttivo all'Antropologia culturale. Entrambe (prima e seconda) dedicate alla lettura di Vite di confine, sull'identità degli uomini e delle donne della Macedonia occidentale greca. Non mi metto certo in un post del blog a riassumere cosa sia la Macedonia, intesa come regione geografica che sottende sempre una questione politica, che viene da una lettura nazionalista e anacronistica della storia, che ha determinato un intrico etnico difficile non solo da comprendere, ma anche solo da raccontare.
Ma non è ovviamente il "mistero" o la "stranezza" della Macedonia, l'oggetto del libro, e piuttosto la sua banale confusione identitaria di fronte a troppi discorsi nazionali confliggenti.
La cosa strana, quel che va storicamente spiegato, è invece il lento distendersi delle compatte identità nazionali, fatte di individui omogenei, uguali a sé stessi nel tempo, armonicamente unificati. Visto che questo processo di costruzione nazionale non ha potuto avere luogo in Macedonia perché troppi rivali si urlavano culturalmente, politicamente e militarmente uno sulla testa dell'altro, gli abitanti della Macedonia hanno continuato a praticare il modo pre-nazionale dell'appartenenza, vale a dire un sistema contestuale e fluido di variazioni, compresenze, multi-disponibilità politiche. Solo che, a partire dall'ingresso dei discorsi nazionali, vale a dire dalla metà dell'Ottocento, quel discorso fluido di quella che ho chiamato diaforentità ingloba paradossalmente anche tutto l'armamentario della nazione moderna, di fatto irridendone le premesse naturaliste. Invece di assecondare il discorso nazionale, la diaforentità macedone ne svela la matrice politico-culturale, de-naturalizza la nostra (di tutti) appartenenza nazionale. Il risultato, lo sappiamo, è stato purtroppo l'opposto, e invece di criticare il discorso naturalizzante della nazione si è prodotta un'immagine (naturalizzata) dei Macedoni come "carenti di identità nazionale". Questa strategia è stata riapplicata decine di volte nel mondo della politica globale, ma forse in Macedonia ha raggiunto la sua perfezione teorica. Con conseguenze "balcaniche" che possiamo osservare ancor oggi.
Per queste due lezioni non c'è una domanda scritta, dato che lo studio del testo verrà verificato oralmente per tutti gli utenti del blog e con due domande scritte per chi non ha partecipato ai commenti del blog. Ricordo, a scanso di equivoci, che le due lezioni sono state solo una guida introduttiva generale, una mappatura di alcuni temi (soprattutto storici) del testo, mentre la verifica orale verterà sui singoli dettagli (storici, etnografici, antropologici, filosofici) del libro. Insomma, tutti e tutte avvisati: il libro va studiato con cura, con attenzione, con precisione.Va incorporato con lo stesso metodo di analisi culturale con cui abbiamo visto deve lavorare l'antropologia come scienza sociale.
Ho insegnato a Venezia, Lubiana, Roma, Napoli, Firenze, Cosenza e Teramo. Sono stato research assistant alla Queen's University of Belfast e prima ho vissuto per due anni in Grecia, per il mio dottorato. Ora insegno a Tor Vergata e nel campus romano del Trinity College di Hartford (CT). Penso che le scienze sociali servano a darci una mano, gli uni con gli altri, ad affrontare questa cosa complicata, tanto meravigliosa quanto terribile, che chiamano vita.