3 dicembre 2017. Siamo
partiti ormai da tre settimane (ecco qui la cartella con gli mp3
delle lezioni) con il modulo B di
Antropologia culturale, dedicato ai temi dell’antropologia economica. Lo scopo
è quello di acquisire strumenti sufficienti a comprendere alcuni meccanismi di
base del funzionamento economico di
una società, anche della nostra però, non solo di società “primitive” che, come
sempre in questo corso, ci serviranno come strumenti comparativi, per acquisire assieme le loro e le nostre regole culturali.
Siamo partiti con una lettura generale, basata su un manuale generale, quello di Marvin
Harris, che al capitolo 6 si occupa dell’ORGANIZZAZIONE ECONOMICA. Il vantaggio di partire da questa
esposizione manualistica è che ci consente di avere un po’ a volo di uccello un
rapido sguardo sui temi centrali che incontreremo per tutto il modulo, in
particolare la questione se “l’economia” sia una funzione separata della vita sociale (come è previsto dall’idea moderna del mercato) o se invece si debba
considerare “incastonata” (embedded) in altre istituzioni della
vita associata. Qui
potete trovare qualche appunto che ho steso e utilizzato a lezione per
queste lezioni.
Siamo poi passati a leggere Richard Wilk, Economie e
culture, che ci ha permesso di avvicinarci con un po’ più di profondità al
dibattito polanyano tra formalisti/sostantivisti.
Qui trovate il
link ai miei appunti su quelle lezioni, che ci hanno inoltre aiutato a
capire come mai quando si parla di economia si finisce sempre per parlare,
consapevolmente o meno, di natura umana. Sempre in queste lezioni abbiamo
iniziato a comprendere la complicata relazione tra valore d’uso e valore di
scambio.
Abbiamo poi fatto un salto nel mondo dei cacciatori e raccoglitori con Marshall Sahlins e il suo testo sulla Originaria società opulenta, per
comprendere che il sistema dei desideri
(culturalmente determinato) di fatto costituisce il sistema dei bisogni (che a prima vista potremmo
pensare come naturale). Quindi: i bisogni sono paradossalmente impostati non
tanto dalla necessità (naturale) ma
dalla significatività (culturale).
Gli oggetti vengono inseriti nei circoli economici che li caricano di un valore
di scambio (prezzo) ma anche di un
valore d’uso (relativo bisogno). Si tratta di uno snodo
teorico su cui torneremo più avanti, ma che vale la pena di considerare bene,
perché è la lezione centrale dell’antropologia economica: il valore d’uso è culturalmente determinato quanto lo è il valore di
scambio. È solo dentro un determinato quadro culturale che alcune cose o
alcuni servizi acquisiscono un dato
valore d’uso (si pensi alla questione della mobilità per i cacciatori raccoglitori).
Abbiamo introdotto quindi Polanyi, l’autore che più di altri ha compreso il complesso
rapporto tra economia e cultura, sfidando la vulgata dell’homo oeconomicus, incline a soddisfare la sua tendenza naturale
alla massimizzazione. Abbiamo letto
quattro capitoli (non tre, come mi è capitato di dire a volte a lezione) del
suo fondamentale La grande trasformazione
(eccoqui gli appunti da cui abbiamo letto, soprattutto per il capitolo 3, l’unico
per cui ho steso dei veri appunti “da lezione in aula”) ma abbiamo accompagnato
questa lettura con una riflessione ulteriore sulla contrapposizione storica tra
ricchezza intesa come relazione alla
natura (proprietà terriera e
relativa produzione) e ricchezza invece intesa come prodotto del commercio. È stato Aristotele che ha colto per primo questa contrapposizione tra economia (gestione della casa) e crematistica (arte del denaro)
e visto che gli economisti con cui polemizza Polanyi considerano spesso il
povero Aristotele incapace di cogliere il superiore valore del commercio come
fonte di ricchezza, è meglio chiarire subito il punto e specificare che il
quadro aristotelico è invece quasi profetico, dato che il filosofo non solo aveva
capito la differenza tra produzione e commercio come fonti di ricchezza, ma
aveva anche capito (ecco il valore profetico della sua analisi) che un sistema
tutto teso alla crematistica era radicalmente innaturale, vale a dire incapace di cogliere i limiti della natura e quindi destinato alla distruzione
ambientale. Abbiamo quindi letto dei passi da Antropologia economica di Chris
Hann e Keith Hart, che trovate sintetizzati in questi
appunti.
Un ultimo, essenziale, punto di riflessione che abbiamo
preso sempre da Polanyi è la specificità assoluta (la Grande Trasformazione)
del mercato autoregolato, descritta
nel dettaglio del capitolo sesto ma già anticipata nel terzo, quando spiega l’emergere
della prima industrializzazione
inglese nel quadro necessario della meccanizzazione
che produce una mercificazione (cioè
una finzione culturale che siano
merci) di Natura, Lavoro e Denaro, i tre beni necessari a sostenere la meccanizzazione e di
fatto creatori dell’idea che il mercato potesse regolarsi esclusivamente sul
principio interno della domanda e dell’offerta.
Q1. Considerate gli
oggetti che sono sotto il vostro sguardo in questo momento, compresi vestiti e
suppellettili e cercate di ricostruirne la storia
economica, vale a dire come sono stati prodotti,
come sono arrivati fin lì sotto il
vostro naso, e quali transazioni
economiche o di altra natura
sono intercorse. Per ognuno degli oggetti cercate di comprendere se e fino a
che punto sono stati sottoposti al principio del mercato autoregolato o se sono stati fatti e movimentati in
base ad altri principi (reciprocità,
in modo particolare). Inviate il vostro testo come allegato word al mio indirizzo mail, specificando obbligatoriamente nell’oggetto del
messaggio “test antropologia economica”.