Avvertenza filologico-umoristica
Chi si diletta di bibliomania
sa che il vero colpo di fortuna non avviene mai in una grande biblioteca, ma in
una polverosa bottega d’antiquariato, tra polaroid rotte e spartiti di mazurke
dimenticate. Così è stato anche stavolta. Un nostro zelante collaboratore — che
preferisce restare anonimo per ragioni di decenza scientifica — ha recentemente
rinvenuto, in una cartellina intitolata “Conférences italiennes”, un
dattiloscritto firmato semplicemente “U.E.”.
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Il manoscritto ritrovato |
La grafia, lo stile, la
macchina da scrivere (una Olivetti 22, in perfetto stato di semidecomposizione)
e soprattutto il contenuto, ci portano a ritenere che si tratti di un frammento
inedito di Umberto Eccolo, risalente agli anni Ottanta. Un testo che sembra
anticipare con inquietante lucidità il futuro incipiente: il digitale che
divora la realtà, la memoria che si affloscia come un soufflé, il corpo umano
ridotto a dito che scorre su uno schermo.
Il caso — o forse una sapiente
regia del destino — ha voluto che questo manoscritto emergesse proprio nei
giorni in cui Il Foglio rilanciava l’articolo di Ross Douthat sul
"collo di bottiglia" della modernità: pare quasi che Eccolo, dal suo
altrove, abbia voluto rispondere in anticipo, sfidando il nostro ottuso
presente con l’arma che conosceva meglio: l’ironia profetica.
Vi invitiamo dunque a leggere
questo piccolo testamento apocrifo con spirito serio ma non serioso, ricordando
che — come Eccolo non si stancava di ripetere — si può prevedere il futuro solo
chi conosce davvero il passato. E che conoscere il passato significa, oggi più
che mai, impararlo a memoria, muscolo dopo muscolo, respiro dopo respiro.
Sul futuro stretto come il
collo di una bottiglia (inedito apocrifo di Umberto Ec[col]o)
Verrà un tempo in cui
l’umanità, invece di incidere sulla pietra il ricordo dei suoi re, affiderà
tutto alle sabbie mobili di pixel inconsistenti. Un tempo in cui i figli degli
uomini non sapranno più recitare a memoria né le capitali dell’Asia né le poesie
dell'infanzia, ma solo canzoncine smozzicate e il numero dei follower
guadagnati nottetempo.
Le grandi narrazioni si
dissolveranno nel turbinio di storie da quindici secondi; i saggi universitari
verranno ridotti a didascalie di meme; i filosofi più letti saranno quelli che
sapranno condensare l'ontologia in un Reel di 30 secondi.
E sarà un tempo in cui nessuno
più si accoppierà, non per scarso ardore di carni, ma perché nessuno saprà più
sostenere lo sguardo vivo di un altro essere umano senza l'ansia del filtro.
Le città diverranno teatri
vuoti, i teatri diverranno server farm, e i server farm alimenteranno infinite
illusioni di compagnia mentre la solitudine crescerà nelle case come muffa
negli scantinati.
Gli uomini si illuderanno di
vivere più esperienze, ma in realtà avranno viaggiato meno; si vanteranno di
"conoscere il mondo", ma non avranno mai preso in braccio un neonato
o aiutato un anziano ad attraversare la strada. La vita reale sembrerà un
fardello: si preferirà il simulacro comodo, lo scorrimento infinito.
Allora, come in ogni epoca
buia, il destino dell’umanità sarà affidato a pochi: i fanatici della vita
incarnata, i sovversivi del corpo. Coloro che avranno saputo, come si faceva un
tempo, imparare a memoria: i nomi dei re sassoni, le capitali delle
isole dimenticate, le poesie di Pascoli, i versetti di Isaia.
Imparare by heart, con il cuore, ma
soprattutto con il corpo: forgiando neuroni, tendini, e sinapsi come si
forgiavano una volta le spade.
Solo chi saprà far scorrere la
conoscenza attraverso la chimica viva dei muscoli e del respiro, e non
attraverso il languore virtuale del polpastrello, riuscirà a sopravvivere
all'imbuto dell’estinzione.
Poiché la cultura non è nelle
cose apprese, ma nel modo in cui il corpo intero le custodisce, come il
viandante che trasporta sulla schiena l'ultima scintilla del fuoco umano.
Nota marginale, in penna rossa:
"Imparare è un atto muscolare. Chi non fatica, chi non suda per sapere, non saprà mai nulla."