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mercoledì 23 aprile 2025

Non sono trumpiano ma…

 

Non sono trumpiano, e lo dico subito per evitare che mi si spedisca dritto nel girone dei reprobi: quelli che mangiano carne rossa, si tagliano i capelli a casa e hanno letto Scritti corsari di Pasolini senza sottolineare solo le parti che parlano di consumismo. No, non sono trumpiano. Ma.

Ma se qualcuno mi spiegasse perché una famiglia americana, per mandare il figlio a studiare “Liberal Arts” a Brown University, deve sborsare novantatremila dollari all’anno (senza contare i costi affettivi di tre anni passati a parlare con un diciannovenne che ha scoperto Fanon e vuole abolire la grammatica), giuro che potrei anche iniziare ad ascoltare Trump con una certa simpatia.

Il sito Courage Media – diretto da Ayaan Hirsi Ali, intellettuale somala, ex deputata olandese, sopravvissuta all’islamismo radicale e oggi tra le voci più lucide (e scomode) del liberalismo conservatore – ha recentemente pubblicato un articolo dal titolo che è tutto un programma: The Entitlement of American Academics. Un testo che, pur parlando dal centro-destra culturale, ha la lucidità di chi non ha nulla da perdere: né la reputazione da difendere nei salotti del wokismo, né un posto garantito tra i grant NIH per dire che il patriarcato vive nei coni di traffico.

L’articolo denuncia un sistema universitario che riceve miliardi di dollari in fondi pubblici mentre sforna diplomati in ideologia identitaria, proclama il genocidio israeliano nei workshop per le scuole medie, e si indigna se un’amministrazione osa chiedere conto di come vengano spesi quei soldi. A Brown, ad esempio, hanno dovuto deportare una docente perché era andata al funerale di Hassan Nasrallah, il capo di Hezbollah – lo stesso Hezbollah che ha sulla coscienza centinaia di soldati americani. Ma la reazione dell’università è stata: “Oddio! È una minaccia alla democrazia!”

Certo, Trump non è noto per il suo tatto istituzionale, ma quando l’amministrazione federale ha cominciato a tagliare i fondi a università come Princeton (quasi 4 milioni al dipartimento clima, accusato di alimentare climate anxiety) o Cornell (1 miliardo congelato), le università hanno reagito come adolescenti viziati a cui è stato tolto Netflix. “È un attacco all’autonomia!” “È censura!” “È razzismo!” Nessuno che abbia detto: “Forse abbiamo un problema”.

E il problema non è solo il contenuto. È la forma. Università come Brown spendono 43 milioni in più di quanto incassano, ma intanto fanno pagare rette da mutuo subprime. Studenti come Alex Shieh hanno creato algoritmi per classificare i ruoli amministrativi in tre categorie: legalità, ridondanza, e stronzate. L’università non ha ringraziato: lo ha minacciato di sospensione.

E qui, caro lettore moralista, ti chiedo: se tuo figlio, per 280.000 dollari, ti tornasse a casa dicendo che l’attacco del Mossad con i pager esplosivi a militanti armati di Hezbollah è “una forma di genocidio”, non ti verrebbe il sospetto di aver investito male i soldi?

Perché vedi, non è tanto che le università abbiano un orientamento. È che l’hanno confuso con una religione di stato, con dogmi, eresie, inquisizioni. Hanno un apparato amministrativo che serve a garantire ortodossia ideologica, non eccellenza accademica. E se qualcuno taglia loro i fondi, si offendono. Ma non erano loro quelli per cui bisogna sempre “seguire il denaro”?

Però capiamoli. Dopo anni passati a spiegare che il gender è un costrutto sociale ma il debito pubblico no, oggi vedono che quello stesso Stato da cui succhiano a pieni polmoni chiede conto di come usano i soldi. E questo sì, che è violenza sistemica.

E allora, con tutto il rispetto, anche se non sono trumpiano… mi scappa da ridere quando le università americane fanno le offese per i tagli ai fondi, dopo decenni in cui hanno trasformato la gratitudine istituzionale in diritto divino. Mordi la mano che ti nutre – certo – ma poi non lamentarti se quella mano comincia a stringere.

E comunque, diciamolo: il sogno americano è ancora vivo. Ma oggi è soprattutto bello per quelli che ci mettono l’anima nel cercare di distruggerlo.