La riforma universitaria cosiddetta Gelmini (240/2010) sta producendo un effetto paradossale, che è quello di trasformare le università in centri di ricerca che vivono la didattica come una scocciatura da ridurre al minimo. La riforma, infatti, premia la qualità della ricerca (e questo è giusto, ci mancherebbe) ma di fatto trascura completamente la qualità della didattica. In pratica, i "docenti" universitari, tanto più i ricercatori a tempo indeterminato come il sottoscritto, potranno (forse) trarre qualche beneficio per sé e per il loro dipartimento di afferenza se si impegneranno a pubblicare con regolarità e qualità, mentre la didattica (disponibilità e qualità delle lezioni frontali, del ricevimento studenti, del lavoro di supervisione delle tesi) non conterà nulla, diventando di fatto un impiccio, una perdita di tempo utile sottratto alla ricerca e alle pubblicazioni. Come si può pensare che il sapere si trasmetta in misura e forma adeguata in queste condizioni? E' evidente che se non si incentiva la qualità della didattica e si punta tutto sulla ricerca, gli studenti pagheranno un prezzo altissimo, fatto di docenti necessariamente distratti e assenteisti, lezioni disorganizzate e corsi di laurea sempre più poveri, demandati alle "seconde scelte" dell'accademia.
La trasmissione del sapere alle nuove generazioni è un dovere sostanziale e delicato tanto quanto la produzione di sapere originale, ed è necessario fare qualcosa per porre il problema in evidenza. Per questo alcuni studenti hanno steso un appello che io vi imploro di sottoscrivere e di far circolare il più possibile tra le vostre conoscenze. Per cortesia se leggete questo tramite Facebook condividete dopo aver firmato l'appello.
Ho insegnato a Venezia, Lubiana, Roma, Napoli, Firenze, Cosenza e Teramo. Sono stato research assistant alla Queen's University of Belfast e prima ho vissuto per due anni in Grecia, per il mio dottorato. Ora insegno a Tor Vergata e nel campus romano del Trinity College di Hartford (CT). Penso che le scienze sociali servano a darci una mano, gli uni con gli altri, ad affrontare questa cosa complicata, tanto meravigliosa quanto terribile, che chiamano vita.