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martedì 23 gennaio 2007

Poeti

Leggo sul Corriere di ieri che Edoardo Sanguineti (massimo poeta italiano vivente eccetera eccetera) avrebbe detto a La7 le testuali parole a commento dei fatti di Tienanmnen: "Quelli erano veramente dei ragazzi - poveretti - sedotti da mitologie occidentali, un poco come quelli che esultarono quando cadde il muro; insomma, ragazzi che volevano la Coca-Cola".
Se queste sono le sue testuali parole, mi chiedo se davvero Sanguineti crede veramente che
1. il desiderio di bere una Coca-Cola vada punito a colpi di carro armato.
2. in Cina non ci sia la Coca-Cola.
3. i "ragazzi" - poveretti - abbiano smesso di essere intelligenti signora mia, invece noi una volta eravamo impegnati sul serio (mica volevamo la Coca-Cola).

Se non crede a nessuna delle tre, devo dedurne che stia facendo campagna elettorale, ovviamente per conquistare i voti dei ceti medi...
Da un professionista della parola forse ci si potrebbe aspettare di più.

mercoledì 10 gennaio 2007

Anziani 2

Sempre a proposito di anziani, una cosa che noto con dispetto da diversi anni è la retorica dell’anziano povero. So ovviamente che ci sono persone in età avanzata che vivono in condizioni disagiate, ma non mi pare che i dati statistici confermino il sentire comune secondo cui l’anziano è mediamente più povero, e che quindi vada fatta qualcosa per gli anziani in quanto tali, e non per i poveri.
Esempi: viaggio ogni settimana in treno per venire a lavorare in Calabria da Roma. Mi costa parecchio, e viaggiare mi serve per lavorare e produrre, non per svagarmi. Ho 43, e prendo uno stipendio mensile di 1050 euro, una figlia da mantenere e le bollette. Semplicemente, con lo stipendio dell’università non ce la faccio a campare e devo trovare altri lavori, sempre. Eppure io non ho alcuna agevolazione sui viaggi, mentre mio padre, che ha 75 anni, è un pensionato con una pensione discreta oltre ad essere un piccolo imprenditore, quando viene a trovarmi paga il biglietto scontato del 25 o 30 percento perché ha la “carta d’argento”, che viene data a chiunque abbia più di sessantacinque anni. Stessa cosa per il cinema: se hai più di sessantacinque anni paghi ridotto, anche se sei ricco come Berlusconi, mentre se ne hai 43 paghi intero, non importa quanto guadagni.
Quest’estate a Roma addirittura facevano uno sconto agli ultra sessantacinquenni sull’acquisto dei condizionatori, ancora senza alcuna differenza di reddito. Io che ho una figlia di cinque anni ma non ho i soldi per permettermi di pagare il condizionatore a prezzo pieno l’ho fatta dormire al caldo. Solo perché sono “giovane”.
Lo stesso vale per i musei, i trasporti pubblici, e un’infinità di servizi che vengono ceduti a prezzi ridotti a tutti gli anziani in quanto tali, e non ai bisognosi.
Basterebbe slegare i privilegi dall’anagrafe e riportarli al loro alveo legittimo, cioè il reddito. Le amministrazioni dovrebbero consentire servizi agevolati non a chi sulla carta di identità ha più di tot anni, ma chi sulla dichiarazione dei redditi ha meno di tot euro.

Anziani

Sul Corriere di oggi Giavazzi il Grande (santo subito) riprende quel che diceva Stella ieri. Bene, non è mio costume criticare Giavazzi (sono d’accordo praticamente con tutto quello che dice) ma vorrei sottolineare un punto. A me pare che la questione non sia tanto la gerontocrazia, ma gli scatti di carriera per meriti geriatrici.
So di concorsi all’università organizzati poco prima che il docente andasse fuori ruolo, per non farlo andare in pensione come ricercatore (poverino, è tanti anni che lavora). So di gente che non ha prodotto nulla di sensato ma “deve” avere la cattedra perché sono trent’anni che è ricercatore. Questo è il male. Che diventare anziani produce automaticamente merito. Se poi uno è vecchio ma ancora bravo, per me non è un problema che abbia potere.

martedì 9 gennaio 2007

Cattedratici

Gian Antonio Stella da qualche tempo scrive pezzi sul Corriere per denunciare lo stato di cose dell’Università. Fa bene. Ma il pezzo di oggi è mirato male. Non ha senso confrontare il numero di professori ordinari italiani sotto i 35 anni (che sono 9 in tutto) con i “cattedratici” stranieri. Per il semplice fatto che i “cattedratici” non esistono. Nel mondo anglosassone si è lecturer a vari livelli, e professor a vari altri. Nel mondo francese si può essere Maître de conférence, Directeur de recherche e molto altro ancora. Insomma, non si capisce quale sia il confronto fatto.
La situazione italiana è incresciosa perché esistono professori a contratto pagati nulla (veramente nulla: 350 euro per un modulo di 32 ore sono un’offesa, non un compenso) che devono fare altro per campare.
La situazione italiana è disperata perché la nebulosa dei contrattisti e assegnisti ruota attorno a un nucleo di incardinati (posto fisso) che non hanno alcun obbligo e che preservano il posto comunque, indipendentemente da quello che fanno.
La situazione italiana è disperata perché sempre “entrare all’Università” è come essere assunti in un qualunque ufficio di un qualunque Ministero, senza nessuna verifica sulla qualità della didattica o della ricerca, e senza che l’attività svolta effettivamente modifichi in alcun modo il livello del compenso e le possibilità di carriera.
Lo dico ora, che da una settimana sono “ricercatore a tempo determinato” (contratto di quattro anni), dopo sette anni passati tra assegni di ricerca e docenze a contratto. Non voglio il posto fisso (quello se lo tengono stretto quelli che già ce l’hanno, lanciando campagne corporative imbarazzanti spacciate per lotta politica) ma vorrei solo che il mio lavoro fosse valutato e comparato. Ecco cosa va male nell’Università italiana.
E poi non c’entra nulla che Renzo Piano progettò il Beaubourg a 34 anni o che Bill Gates fondò la Microsoft a 30: non erano professori universitari, e la progettualità e la capacità imprenditoriale non sono doti indispensabili per chi fa ricerca e didattica. Per un Fermi che prese il nobel a 37 anni basterebbe citare un Kant che scrisse le sue opere più importanti dopo i 45.
Insomma, non mancano le forze nuove in Italia, ma il riconoscimento del loro valore, quando c’è.