2011/12: INFORMAZIONI PER CHI AVEVA 12 CFU E TUTTI GLI MP3 DELLE LEZIONI

martedì 20 marzo 2018

Thomas Hylland Eriksen a Tor Vergata

Mercoledì 21 marzo, alle ore 14:00, nell'aula P5 della facoltà di Economia di Roma "Tor Vergata", via Columbia 2, Thomas Hylland Eriksen parlerà di Overheating and cooling down: responses to a world out of control. Siete tutti e tutte inviati/e.

Ho letto per la prima volta Thomas Hylland Eriksen nel 1994, uscito da poco il suo Ethnicity and nationalism. Noi che ci occupavamo di Antropologia politica, di nazionalismo e di etnicità dovevamo fare i conti con la povertà teorica del nostro armamentario. La riflessione si stava appena aprendo agli approcci "costruttivisti" e anche se Ethnic groups and boundaries era uscito nel 1968, ho il sospetto che pochi ne avessero colto il valore. Gellner aveva scritto il suo testo su Nazioni e nazionalismo nel 1983, come Benedict Anderson il suo prezioso Comunità immaginate, ma in Italia il dibattito su questi temi era veramente arretrato (Anderson fu tradotto solo nel 1996, per dire, Ugo Fabietti scrisse il suo importantissimo Identità etnica nel 1995) e lo sguardo "marxista" di molti studiosi continuava la critica modernista al localismo identitario (tanto più se naturalizzante come l'etnicità), considerando quelle forme di appartenenza strutturazioni retrograde e destinate a dissolversi. La guerra in Ruanda e, soprattutto, il collasso jugoslavo ci portarono a ripensare tutto, soprattutto le fallacie del nostro modernismo, e il libro di Eriksen, con il suo tono di "naturalismo identitario" o (per replicare un'altra accusa che girava spesso allora verso chi provava a prendere sul serio le identità etniche) "primordialismo", mi aiutò tantissimo a capire che non potevo ridurre l'appartenenza a un sistema razionale di massimizzazione delle risorse, e dovevo scavare più a fondo nei meandri simbolici che creano amici e avversari.
Poi ci fu Small Places, Large Issues, un libro semplice ma efficace, utile per impostare la disciplina con i neofiti, in  in cui Hylland Eriksen portava allo scoperto quella che sarebbe diventata la battaglia di una vita, vale a dire quella per la RILEVANZA dell'antropologia culturale nella comprensione del sistema mondo. Lungi dall'essere una disciplina vocata al residuale, al caduco e al minore, secondo l'autore la disciplina dell'Antropologia culturale consente una prospettiva assolutamente unica, che si sforza di tenere assieme il micro e il macro in un comune quadro di senso.
Ora con il progetto Overheating, di cui ci parlerà, quella rilevanza è giunta a compimento. Vale la pena si sentire quel che ha da dirci in proposito.

domenica 18 marzo 2018

Che cos'è una tesina di antropologia culturale (e un poco anche che cos'è l'antropologia)

L'antropologia culturale è diventata improvvisamente importante nel sistema didattico italiano. Da quest'anno, infatti, chiunque voglia diventare insegnante per poter accedere al percorso di formazione apposito dovrà dimostrare di aver acquisito nel suo cv 24 crediti formativi in almeno tre di quattro aree: pedagogica, psicologica, didattica,  e antropologica. Non entro nei dettagli, nel fatto cioè che per le stranezze ministeriali i filosofi morali siano inclusi in quest'area antropologica ma, come che sia, da oggi in poi se volete insegnare qualunque materia nelle scuole medie italiane è molto probabile che avrete fatto un corso di antropologia culturale. Anche se insegnate matematica, fisica, o biologia. (Io ho la mia lettura su questo repentino interesse ministeriale per l'antropologia culturale, e non è una lettura lusinghiera verso il Ministero, o per l'idea che il Ministero ha dell'antropologia culturale, ma è un altro discorso, questo).
Significa che la materia verrà insegnata da quest'anno a un sacco di studenti in più. Io me ne sto caricando diverse centinaia, e so di colleghi che parlano di cifre a tre zeri.
Bene, il mio corso di base è rodato, ho tutto il materiale pronto e impacchettato da mo', come si dice, ma resta lo scoglio della "tesina". A tutti i miei studenti chiedo di completare il loro percorso di verifica presentando un piccolo elaborato finale. Quest'anno (proprio perché ho cambiato il metodo di valutazione) non mi sono soffermato molto a spiegare il senso della "tesina finale", ma con i nuovi studenti del "percorso FIT" è importante che le cose siano chiaro. Ho caricato quindi una lettera esplicativa nella loro cartella online, lettera che ricopio qui per farla circolare il più possibile, anche perché, secondo me, dice qualcosa di interessante su cosa sia e faccia l'antropologia culturale (anche se dubito che sia una cosa considerata interessante per i solerti funzionari ministeriali, che vorrebbero che l'antropologia fosse tutt'altro strumento intellettuale, temo. Ma era un altro discorso, quello, come dicevo).
Ecco la lettera, che si trova in versione word anche qui:

Cos’è e cosa non è la tesina di fine modulo
 (Le considerazioni di seguito valgono sia che abbiate solo una tesina da presentare, per il solo Modulo A, da 6 cfu, o che ne abbiate due, avendo scelto il percorso Modulo A + Modulo B da 12 cfu)
La tesina è un esercizio obbligatorio che mi serve per verificare se siete in grado di applicare i concetti di antropologia culturale appresi nel corso al di fuori degli oggetti antropologici tramite cui li ho spiegati a lezione o li avete comunque dedotti dallo studio.
L’antropologia culturale fornisce alcuni concetti (“antropopoiesi”, “dimensione simbolica della cultura”, “la cultura è condivisa”, “i parenti non sono naturali”, “interpretazione”, o, per il modulo B, “reciprocità”, “società di mercato”, “determinazione culturale del valore d’uso”) che sono solitamente esemplificati traendoli da esempi esotici, vale a dire comparsi in contesti culturali inusuali. Per spiegare che “i parenti” non sono persone cui si sia legati “dal sangue” abbiamo fatto l’esempio delle culture che distinguono tra cugini paralleli e cugini incrociati, spesso tabuizzando i primi e sposando i secondi. Ogni concetto, per così dire, è stato presentato incastonato in un contesto culturale specifico (dal Congo alla Macedonia).
Ma l’obiettivo dell’antropologia culturale non è quello di fare una raccolta di stranezze, abbiamo detto. È piuttosto quello di fornire alle studentesse e agli studenti alcuni strumenti efficaci per analizzare in modo accurato e originale l’ordinaria vita quotidiana.
La tesina di fine corso serve quindi a dimostrare che si è in grado di analizzare un oggetto che fa già parte del vostro orizzonte con almeno uno dei concetti antropologici che avete appreso.
In pratica, dovete selezionare un oggetto di vostra conoscenza (un libro, un film, un fatto di cronaca, un episodio della vostra vita, un caso curioso, una pratica sociale, un corso universitario che avete fatto, un evento storico, un posto, quel che vi pare, basta che lo conosciate già) e analizzarlo utilizzando almeno un concetto del corso.
Quel che voglio vedere non è tanto l’oggetto, che può essere qualunque cosa, ma lo sguardo antropologico attraverso cui viene ora filtrato. Qualunque sia l’oggetto, in linea di principio è un oggetto valido, perché quel che mi importa è trovare l’analisi antropologica di quell’oggetto.
Se ne deduce, prima di tutto, che la tesina non è un lavoro di ricerca. Tipicamente, la cosa che più trovo indisponente è una tesina che funziona come una voce di enciclopedia: “L’oggetto x ha un’antica origine, fu scoperto lì e utilizzato costì. Le sue funzioni sono questo o quello”. Così, campata per aria, una tesina stile voce di wikipedia non mi interessa. Non voglio che facciate una ricerca, che cerchiate informazioni sull’oggetto o che (NON sia mai) leggiate altre fonti oltre al materiale già studiato per il corso. Per analizzare l’oggetto avete già tutto quel che vi ho detto dell’antropologia culturale e tutti i concetti analitici adatti. Prendete una cosa che conoscete, i testi delle canzoni del vostro cantante preferito, i tatuaggi che ha vostra cugina sulle braccia, l’album di fotografie di vostra nonna, l’ultimo film di successo, un libro famoso che avete letto cento volte, e ora guardatelo in modo diverso, come non lo avevate mai fatto prima.
Se avete bisogno, prendete spunto dalla cartella “tesine di esempio”.
Se quindi mi scrivete perché avete un dubbio sull’oggetto, otterrete sempre la medesima risposta: ottimo oggetto, ma qual è il concetto antropologico che intende usare per analizzare questo bellissimo e interessantissimo oggetto?
Un ultimo punto: mi vanno benissimo le tesine fatte prendendo l’oggetto in quanto tale come fosse un dato etnografico piovuto dal cielo, ma se vi va potete fare anche una simulazione metodologica nella tesina, fingendo cioè di applicare alcune delle modalità di produzione del dato etnografico proposte da Olivier de Sardan. Potete cioè registrare o appuntarvi un colloquio oppure praticare l’osservazione partecipante per raccogliere informazioni su quell’oggetto, ma tenendo conto che si tratta comunque di simulazioni di ricerca sul campo, che invece richiede un sacco di tempo, mentre la tesina, tipicamente, non richiede più di uno o due giorni di lavoro, tra organizzazione del materiale e stesura effettiva del testo (che, ricordo, non deve essere inferiore alle 6000 e superiore alle 8000 battute).
Se insomma volete fare una tesina “sui tatuaggi” vi chiederò qual è il concetto antropologico che volete usare, e non sarà improbabile che vogliate applicare il concetto che “la cultura è simbolica” e che è una “rete di segni” che va “Interpretata”. Ma il mio consiglio, il mio calorosissimo consiglio è che non facciate una tesina “sui tatuaggi” in generale, ma proprio su vostra cugina e sui suoi tatuaggi effettivi. Potrete allora avere anche una conversazione con vostra cugina, farvi raccontare quando e come li ha fatti, e soprattutto provare il vostro fiuto antropologico tentando un’interpretazione di quei segni sulle braccia di vostra cugina. Quel che ne caverete non avrà alcun valore scientifico, certo, visto che sarà poco più di un esercizio di stile, ma per me costituisce la prova che sapete (o non sapete) lavorare con quella strumentazione analitica.
Quando avrò verificato che voi sapete utilizzare la strumentazione analitica dell’antropologia per tentare interpretazioni del vostro mondo reale potrò essere soddisfatto del vostro percorso di studentesse e studenti, che hanno capito che l’antropologia culturale o è uno strumento di critica culturale oppure non è nulla se non una buffa (e a tratti anche noiosa) raccolta di stranezze.
Un caro saluto
pv