Non lo sapevo che le aule Zoom avessero una capienza massima di 300 collegamenti (ma mi dicono che quelle Teams sono ferme a 250, per cui non mi lamento) e quindi ieri, alla prima lezione del Modulo A di Antropologia culturale (che quest'anno insegno con Giulia Casentini, che si occuperà soprattutto del Modulo B) eravamo strapieni con lo Zoom che schioppava di presenze.
Bene, direi che è andata bene, abbiamo presentato un po' il corso, come si svolgerà per l'organizzazione pratica. Lavoriamo cercando di produrre interazione con gli studenti, che è la cosa fondamentale da fare, se non si vuole insegnare a vanvera, e quindi usiamo la chat incorporata in Zoom ma anche Mentimeter, che consente di fare presentazioni non tanto "fighe" quanto strutturate attorno alla risposta costante con chi ascolta. Non sono certo un fan delle assemblee, e anzi credo che "la lezione" debba avere una sua struttura gerarchica di comunicazione, se non vuole scadere nel discorso da bar, cosa purtroppo non impossibile quando si maneggiano le scienze sociali, ma dai miei colleghi pedagogisti ho imparato che non è tanto la compresenza fisica a rendere efficace la trasmissione del sapere, ma piuttosto la capacità di ascoltare quelli che, prima di tutto, devono ascoltare, e gestire le loro esigenze per tempo, senza attendere le verifiche delle calende greche. Gli studenti e le studentesse hanno bisogno di far capire se e quanto hanno capito, e la cosa bella della DaD è che ti costringe a tenere conto della questione senza seppellirla sotto la convenzione del "siamo tutti assieme", e "condividiamo", perché anche un'aula in presenza gremita di studenti con un professore che parla senza interagire per 90 minuti non è il massimo di efficienza didattica.
Dai, per ora mi pare sia andata bene, vediamo ora poi come proseguirà.