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martedì 19 aprile 2022

Antropologia culturale 2021/2022 Mod B lezione 06. La religione come sistema culturale




Questa lezione è un must per studenti vecchi e nuovi.


NON CERCARE DI CAPIRLO, DEVI SOLO IMMAGINARLO

Prendiamo in mano (letteralmente) il saggio di Clifford Geertz "La religione come Sistema culturale" 1966, e incominciamo ad analizzarlo con accuratezza.

L’ambizione del testo è notevole, dato che si pone il compito di ripensare il ruolo delle scienze sociali nell’analisi delle religioni. Di fatto, lo sforzo intrapreso è quello di introdurre una concezione fenomenologico-semiotica, che superi la terribile empasse che sembra attanagliare gli studi tutti protesi a capire la “funzione” della religione, e poco interessati a comprenderne il funzionamento, vale a dire il senso per chi la pratica, il punto di vista del nativo, l’approccio -emic

è la rigida impostazione anti-durkehimiana (e in seconda battuta anti-malinowskiana), in generale lo sforzo di superare le secche del funzionalismo inteso come quella visione che tende a ridurre un fenomeno sociale a qualche altro fenomeno, sentito come principale e determinante. Naturalmente, quando diciamo che Geertz in questo saggio critica Durkheim, dovremmo piuttosto dire che critica il durkheimismo riduzionista, dato che per Durkheim la religione è molto di più che una semplice corrispondenza tra forma sociale e sistema valoriale, un “rispecchiamento” del sociale in un mondo altro. In effetti per Durkheim la religione è lo strumento di costituzione del sistema sociale, non il suo banale doppio sovrastrutturale. Ma è vero che Durkehim è stato facilmente letto in questa chiave riduzionista, e non costitutiva, del sociale, ed è in questo senso che Geertz lo critica. 


Prima di connettere il sistema religione a qualunque altra "sfera" sociale che si limiterebbe ad esprimere, e prima di spostare il focus dell'attenzione su altri settori sociali da cui dipenderebbe, è essenziale che la religione sia vista iuxta propria principia, secondo la sua capacità di costituirsi prima di tutto come "azione simbolica", strutturazione dello spazio che concettualmente occupa. 

 Prima di poter essere funzione, la religione ha un suo spazio strutturato e strutturante, ed è di quello che dobbiamo parlare, se vogliamo argomentare scientificamente su di essa. 


 

I SIMBOLI

Fatta questa premessa, se ne può porre una ancora più ampia sul ruolo dei simboli sacri, crocevia semiotico dell’incontro tra una pulsione morale, estetica, affettiva ed emotiva di giudizio sul mondo, e una invece razionale, intellettuale, visiva e cognitiva di conoscenza del mondo. Da un lato Ethos (il giudizio morale sul mondo), dall’altro Cosmos (quello che c'è nel mondo razionalmente). 

I simboli che chiamiamo religiosi fanno un lavoro di raccordo consolidando affettivamente la visione razionale del mondo e naturalizzando, banalizzando perfino, rendendo del tutto ovvi e null’altro che ragionevoli i complessi giudizi morali dell’Ethos, in un chiasmo che possiamo raffigurare in questo modo:



 con la religione come interfaccia di senso tra mondo del senso comune e ultramondano.

 Interfaccia in senso letterale: ha due lati, come un foglio; uno guarda al mondo del senso comune, e gli dice qual è il suo senso; l’altro guarda all’ultramondano, e lo descrive “con naturalezza”, come fosse percettivamente evidente quanto il mondo dei sensi. Questa interfaccia che qui definisce ethos è di fatto il lavorio della cultura, la grande macchina del senso che cuce l’esperienza con le rappresentazioni che apprendiamo. 

 

Stabilito questo punto di partenza, Geertz decide di inserire uno schema discorsivo come “definizione”, a pagina 143. 

La religione è quindi:

 

1. Un sistema di simboli che agisce… 

Inizia con una definizione strettamente semiotica di Simbolo, che è qualunque “oggetto” (“oggetto, atto, avvenimento, qualità o rapporto”) che veicola un “concetto”, dove concetto “è il «significato» del simbolo. Simbolo dunque come segno, vale a dire ogni oggetto o azione dotati di un qualche significato


Quando i simboli portatori di significato si aggregano in modelli o complessi non del tutto effimeri e contingenti, ma appaiono in configurazioni più stabili, allora parliamo di modelli culturali.  

I modelli culturali sono fonti estrinseche di informazione, raggruppamenti di rappresentazioni che stanno all’esterno dei confini dell’organismo umano. 

Come il DNA, così i modelli culturali per l'uomo forniscono programmi per l’istituzione di azioni sociali e psicologiche che danno forma al comportamento collettivo: si fanno delle cose “sensate”, non ci si fa pipì sotto in mezzo alla strada, non si sbatte uno contro l’altro, si guidano macchine, ci si sente depressi, si batte su una tastiera, si copula, si defeca secondo questo repertorio di modelli culturali, non perché “ci viene da fare così” e quando diciamo che facciamo una cosa perché “ci viene da fare così” è solo che non abbiamo coscienza della sorgente di informazione extra-somatica di cui stiamo elaborando l’informazione, non ci rendiamo conto del modello culturale insomma. 

 

Attenzione perchè [dal minuto 1:23 circa] segnalo alcuni errori di traduzione a pag. 145 che potrebbero portarvi a travisare completamente il testo.

La prossima lezione ripartiremo da qui.