18 10 2017. Il
tema della lezione
di oggi è sempre la natura semiotica
della cultura e la necessità di avvicinarsi alla sua comprensione con un approccio ermeneutico. L’etnografia è
un’interpretazione della cultura
studiata. Ma dato che la cultura è l’esperienza di un sistema di segni che per
essere vissuto deve essere compreso e cioè interpretato,
possiamo dire che l’etnografia è un’interpretazione di secondo livello, l’interpretazione “scientifica” di quella interpretazione
“spontanea” che è la cultura.
Quelli che ci appaiono come dati etnografici, le note di campo dell’antropologo al lavoro, le prime annotazioni immediate e irriflesse,
su cui poi si costruirà la riflessione teorica, sono in realtà già interpretazioni, e alquanto
complesse, dense. Per dimostrare questo aspetto (ricordo che il saggio che
siamo leggendo sta cercando di perorare la causa che la cultura è un sistema di segni e che il nostro
approccio deve essere interpretativo/ermeneutico,
non empirico/osservativo) Geertz ci
offre un paio di pagine del suo diario
di campo dal Marocco, stese nel 1968 annotando una conversazione con un
anziano mercante ebreo, Cohen.
Lette così, d'emblée,
senza alcuna introduzione, queste note lasciano perplessi. Si capisce che un
mercante ebreo ha avuto una qualche rogna con dei predoni berberi e con l’emergente
amministrazione coloniale francese, ma il senso
generale della storia rimane francamente opaco. Le facce annoiate dei miei studenti dopo aver
letto tre o quattro paragrafi sono il sintomo più evidente di questa carenza di senso. Non riusciamo a
capire che è successo, la storia ci scivola via dalle mani.
Tutta la lezione è stata gestita rispettando il dettato
geertziano/weberiano che la cultura è una rete di significati e che il nostro
sforzo di comprensione deve essere ermeneutico. Ci siamo messi di buzzo buono e
ho cercato di fornire uno sfondo di informazioni e commenti che consentissero di comprendere quel breve racconto per
la farsa culturale che si rivela
essere. Spiegando com’era la gestione militare francese, il collasso
istituzionale dell’Impero Ottomano, la diaspora ebraica, il patto commerciale mezrag, il concetto di ’ar, le forme di resistenza ironica al
colonialismo, il malinteso intenzionale e molte altre “cose” culturali, siamo
arrivati in fondo alla lezione emozionandoci, sorridendo e condividendo con il povero Cohen la sua disavventura personale che
tanto ci dice della situazione sociale e culturale dell’epoca in cui è accaduta
(oltre a dirci un sacco di cose del rapporto
tra etnografo e informatore, tema su cui torneremo tra un paio di lezioni). Abbiamo
realizzato un esercizio di IMMAGINAZIONE
ETNOGRAFICA. Non siamo mai stati in Marocco (o se ci siamo stati non
abbiamo certo visto né un vecchio ebreo che raccontava le sue vicende a un
antropologo americano, né un giovane ebreo che cercava, con poco successo, di
sfangarla in mezzo al caos dell’incipiente colonialismo francese) ma in qualche
modo ora ne sappiamo di più: abbiamo
una qualche idea di cosa vuol dire commerciare
in un sistema tradizionale di rapporti clientelari; abbiamo una qualche
immagine di cosa vuol dire conquistarsi il proprio onore come necessità lavorativa, mica pallino moralista; sappiamo
un po’ meglio di prima che a volte gli uomini fanno finta di capire fischi per fiaschi perché gli fa comodo, e
altre volte non hanno bisogno di dirsi granché a parole per comunicare una loro protesta. Sappiamo insomma
qualcosa in più di cosa voglia dire comportarsi
da esseri umani in un sistema culturale diverso da quello che ci è più familiare, abbiamo un pochino allargato l’orizzonte di quel che
significa essere umani. Secondo me è un motivo mica banale per studiare all’università.
Lo ammetto, non sarà un granché “professionalizzante”, questa competenza, ma forse
se ci si educa ad essere uomini e donne un po’ più densi, un po’ più spessi,
non è impossibile che questo aiuti, qualunque professione si voglia fare in seguito.
Q1. Tra Cohen e i francesi
si realizza un duello simbolico in
diversi mani di gioco. Che armi
usano i rispettivi contendenti? Provate e ricordare un episodio di vostra
conoscenza (o invenzione) in cui parimenti le armi comunicative in campo non erano equivalenti (tenete presente
che la situazione “esame universitario” è un esempio perfetto di questo tipo asimmetrico di sfida comunicativa, così
intanto riflettete un poco anche sul POTERE
nei contesti comunicativi).