Ricevo da uno studente una mail di risposta al mio post di
ieri, che apre un serrato scambio epistolare che rendo pubblico (previa
autorizzazione) perché secondo me dentro ci sono diversi spunti per riflettere
su cosa sia l’antropologia culturale
e su cosa significhi provare a insegnarla
e impararla (o a insegnare e imparare
alcunché, se è per quello). Lo scambio (che pubblico senza modifiche, se non l’enfatizzazione
in grassetto di alcune parole delle
lettere di Simone, per rendere più agevole la lettura a schermo) secondo me
dice anche molto su una mia vecchia teoria
didattica, vale a dire che gli studenti sono come il muro della pelota basca, ti
restituiscono la palla con un’energia che è proporzionale a quella che ci hai messo tu nel lanciargliela. Se
hai studenti mosci, è probabile che
tu, docente, abbia il braccino e non
ci metti tanto. A Tor Vergata, e in
generale nelle università pubbliche italiane, così tanto bistrattate, c’è
ancora una riserva di energie
intellettuali inestimabile. Che non possiamo sprecare continuando a
delegittimare sistematicamente il lavoro della didattica, della ricerca
e della terza missione che tanti di
noi fanno con così tanta passione negli atenei italiani (pubblici, ripeto, pubblici, quelli dove ci può andare a studiare
anche se non si è di “buona famiglia”).
da:
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Simone Perrone<simone.perrone697@gmail.com>
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a:
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piero.vereni@gmail.com
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data:
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22 ottobre 2017 10:46
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oggetto:
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"Lettera a 330
studenti": il mio feedback
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Gentile
Professor Vereni,
mi permetto di esprimere il mio feedback rispetto a ciò
che Lei ha detto nel suo ultimo post (Lettera a 330 studenti).
Personalmente, non ho mai sostenuto alcun esame facile finora; e, in ogni caso, non credo che il modo più opportuno
per veicolare il messaggio per cui è necessario studiare costantemente e seriamente sia cambiare repentinamente modalità d’esame, operazione che, tra l’altro, scombussola i miei piani organizzativi
rispetto ad altri esami.
Fin dapprincipio mi sono adoperato nello studio continuativo di
antropologia culturale e, di riflesso, nel rispondere puntualmente ai suoi post su questa piattaforma, essendo
impossibile rispondere previo aver studiato gli argomenti inerenti alla lezione
cui si riferisce il post. Inutile nascondere quanto sia complicato entrare in questa materia e, viceversa, farla entrare in noi perché si possa
servirsene nella vita, anzitutto e soprattutto, come pungolo destante dal torpore spirituale e dalla cristallizzazione
in certe idee (alias: continuare a pensare di essere – per riprendere
l’argomento della penultima lezione – in un vagone ben circoscritto e sentirsi
irritati dai treni che, passando innanzi la vista, interrompono i nostri sogni
ad occhi aperti); senz’altro, Lei è riuscito a trasmettere quest’idea, essendosi trovato spesso in evidenti difficoltà comunicative rispetto alla
volontà di comunicarci la complessità relativa al fare antropologia culturale.
Tutto ciò a me è arrivato, e se è
falso che l’ho già assimilato, è tuttavia vero che ho sviluppato, durante le
lezioni e lo studio a casa, la preliminare apertura
spirituale per accoglierlo.
Ritengo dunque che uno studente che si accosti con serietà e curiosità
all’antropologia culturale, come ad ogni altra materia, non possa che studiarla
adeguatamente, quantunque all’inizio anche a me sia risultata strana – e
tuttavia, con rispetto parlando, sempre preferibile
alle interminabili lezioni di altri corsi fondate su inesauribili
investigazioni filologiche sulle singole parole.
Ciò detto, ammetto di sentirmi sballottato
da una parte all’altra quanto alle modalità
d’esame, verso il quale, lo riconosco, Lei ha ben ragione d’essere ostile, se
diventa l’unica preoccupazione di uno studente, tuttavia trovo pur necessario
che venga stimato nel giusto valore
e, soprattutto, che vengano fornite indicazioni chiare e sicure rispetto ad esso. Purtroppo, fin dalle prime
lezioni sono emerse alcune oscillazioni
di giudizio: infatti, dapprima disse che bisognava rispondere in max. una settimana e dieci righe ad ogni post – almeno per coloro che volessero essere
esonerati dal test scritto, s’intende -, in seguito, però, entrambi i vincoli sono
caduti, perciò è stato consentito di
rispondere nella più totale libertà, sia rispetto ai tempi che alle righe
(confesso di non essermi particolarmente dispiaciuto della caduta di
quest’ultimo limite, perché mi ha permesso di articolare meglio le mie risposte,
tuttavia ciò tradisce una certa oscurità
rispetto alle modalità di svolgimento dell’esame). Provai così a ricercare lo
“zoccolo duro” – per usare una sua espressione – delle indicazioni da Lei
fornite, e mi sembrava di averlo scorto nel fatto che bisognasse rispondere con
costanza ed originalità alle domande sul blog e fare la tesina a fine corso per
concludere l’esame; ieri, però, è saltata fuori, improvvisamente, una nuova modalità d’esame, il colloquio, che invalida
l’organizzazione che avevo fissato relativamente al Suo corso e agli altri che
sto seguendo, creandomi, francamente, un certo rammarico, per non dire irritazione, specie considerando che
siamo a ridosso della fine del corso. È bensì vero che potrei venire a gennaio,
o quando più mi piacesse, in modo da non dover variare la mia organizzazione,
ma è altrettanto vero che direttive puntuali si sarebbero dovute dare, se non
dapprincipio, perlomeno nel giro di
una settimana dall’inizio del corso.
Con tutto ciò spero di
non essere risultato indiscreto, ma
di aver mostrato e sottolineato l’importanza del dialogo - anche critico, purché costruttivo – tra docente e
studenti, come pure Lei non poche volte ha avuto a cuore di rimarcare.
Cordialmente,
Simone Perrone
da:
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Piero Vereni <piero.vereni@gmail.com>
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a:
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Simone Perrone
<simone.perrone697@gmail.com>
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data:
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22 ottobre 2017 12:45
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oggetto:
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Re: "Lettera a
330 studenti": il mio feedback
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Grazie Simone,
per la sincerità della
sua mail e per i punti reali che solleva. Tutta la questione, mi pare, si
potrebbe condensare in un suo "no" secco di risposta alla domanda che
il modulo di valutazione della didattica vi chiederà al
momento di iscrizione all'esame: "Il docente ha espresso in modo chiaro il
metodo di valutazione?"
Famo a capisse, allora. Ho messo a punto il mio metodo didattico
in vent'anni di sperimentazioni e correzioni successive. Non credo di essere
uno che non pensa alla didattica o la fa con faciloneria, ma su questo parlano
i fatti (e forse anche le valutazioni pregresse degli studenti degli anni
precedenti). Per me la didattica è probabilmente la mia attività più
importante, quella in cui vedo più investito il mio ruolo di antropologo,
proprio perché uno dei temi essenziali del mio studio è la trasmissione
intergenerazionale del sapere e quindi, come unico antropologo
incardinato di Tor Vergata mi sento gravato da una grandissima responsabilità
morale.
Fatta salva quindi la
mia buona fede (assoluta) e la mia esperienza (oggettivamente
notevole), resta la condizione esistenziale del modo in cui ho impostato la
didattica quest'anno. Per ragioni di sollecitazione esterna (ho
partecipato per il corso di Global Governance questa primavera
a un seminario organizzato da ECOLAS a Bratislava proprio su come aggiornare
le metodologie T&L (teaching & learning)) ho imparato
con mio grande orrore che i settori più avanzati delle liberal
arts guardano alla didattica frontale (lecturing)
fatta di un prof che parla, una cattedra che separa e
un branco di studenti che annota, come una sorta di retaggio del
passato da superare. Come sapete, io in realtà resto molto
ancorato a questa immagine dei prof che insegnano vocianti e
degli studenti che imparano silenziosi (tra, l'altro, quante
altre occasioni avete di IMPARARE AD ASCOLTARE in un mondo che
continua imperterrito a chiedervi COSA NE PENSATE praticamente
su tutto, soprattutto su cose di cui non sapette nulla?), ma ammetto che il
seminario ha sollecitato la mia attenzione per uno spazio di RETROAZIONE o FEEDBACK,
in cui il docente possa mano a mano verificare se gli studenti
hanno assimilato quel che cerca, faticosamente e a volte goffamente, di
trasmettere.
Per questo avevo
pensato al sistema dei commenti sul blog più tesina finale,
in modo confuso quest'estate, ma abbastanza chiaro per provare a inserirlo nel
programma effettivo come metodo di verifica (ai fini della valutazione).
Già subodoravo la
fregatura, avendo in questi anni verificato una costante crescita del numero di
studenti iscritti, ma non mi aspettavo l'esplosione che si è
verificata appena aperto il modulo di iscrizione online. Fino allo scorso anno
raggiungevo a stento i 130 iscritti durante il corso, che lentamente (fuori
corso, lavoratori, laureati in cerca di corsi singoli, imbarcati invitati da
amici di amici) arrivava a sfiorare i 200 esami alla fine
dell'anno accademico. Quest'anno, al terzo giorno di lezione gli iscritti erano
già più di 200 e ora hanno superato i 330. Questo ha significato un
mutamento necessariamente qualitativo, dato che la quantità intacca la qualità,
in un'aula comunque scolastica. Sono da solo non per modo di
dire, ma in senso letterale dalla prima all'ultima incombenza, tutto quel che
riguarda la didattica o la ricerca o la terza
missione di Antropologia culturale a Tor Vergata è compito che faccio
con le miei manine, dal mettere le lezioni online al rispondere alle
dozzine di mail, dal fare ricevimento al fare le riunioni dipartimentali sui
crediti da assegnare per l'insegnamento, dalle tesi ai dottorandi alle attività
al centro sociale ex Fienile, e mi fermo qui per non annoiarla.
Mi sono reso conto che
il metodo commenti più tesina poteva servire adeguatamente a
valutare la costanza del lavoro e la rielaborazione dei
concetti, ma il nostro sommo padre, Dante, mi ha insegnato nel
Paradiso (V, 41-42) che "Non fa scienza, / sanza lo ritenere, avere
inteso", il che significa che devo anche trovare un modo per verificare se
c'è stato da parte vostra anche un adeguato lavoro di "ritenzione"
del sapere appreso. Per questo ho pensato di sostituire la
tesina finale (in quanto doppione metodologico della verifica
della rielaborazione concettuale che già ho nei commenti
"creativi" al blog) con una verifica orale sui contenuti
"ritenuti" di Vite di Confine.
Di fatto, per la
vostra organizzazione e programmazione di studio, invece di arrivare al 5
novembre (fine modulo) e chiedervi tre giorni in più di lavoro
per la preparazione e stesura della tesina, vi chiedo quattro
giorni di lavoro in più (ripeto, IN VECE dei tre, alla
fine della fiera è un giorno di lavoro in più) per lo studio
di Vite di Confine. Riconosco il disagio che questo cambio in
corsa possa causarvi, ma spero possiate accettare che dipende solo in parte
dalla mia imperizia didattica, e più dalle mutate conseguenze oggettive di
erogazione del corso.
Resto ovviamente a
disposizione per qualunque ulteriore richiesta di chiarimento, e visto il tempo
impegnato in questa mail, la renderò pubblica sul mio blog perché penso possa
essere utile anche per altri studenti che possano avere come lei dei legittimi
dubbi sulla mia capacità di organizzare il corso in generale.
Sicuramente la mia
risposta sarebbe più comprensibile se potessi pubblicarla assieme alla
sua mail di sollecitazione, per cui le chiedo l'autorizzazione a
rendere pubblici sul mio blog i contenuti della sua lettera, nel caso mi faccia
sapere se vuole rimanere anonimo o posso indicare il suo nome.
Cordiali saluti
pv
piero vereni
roma tor vergata
dipartimento di storia, patrimonio
culturale, formazione e società
department of history, humanities and society
ex facoltà
di lettere - stanza 16 primo piano
via columbia,
1 - 00133 roma
ufficio 06 7259 5041
cell 333 98 12 520
pierovereni.blogspot.com
cell 333 98 12 520
pierovereni.blogspot.com
da:
|
Simone Perrone<simone.perrone697@gmail.com>
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a:
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Piero Vereni
<piero.vereni@gmail.com>
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data:
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22 ottobre 2017 13:52
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oggetto:
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Re: "Lettera a
330 studenti": il mio feedback
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Gentile Professor
Vereni,
è mio dovere anzitutto
ringraziarLa per la disponibilità e la dovizia di dettagli coi quali ha dato corpo alla sua risposta, permettendomi
così d’intendere meglio anche la sua situazione,
oltreché la mia: mi pare che in questo caso entrambi abbiamo utilizzato in modo
positivo l’immaginazione, intesa al
modo di Geertz, evitando dunque un
possibile fallimento comunicativo.
Non c’è alcun problema
quanto alla pubblicazione della mia mail con anche il mio nome e cognome. Come
Lei ha ben detto, non sono il solo che è rimasto perplesso dal suo cambiamento rispetto alle modalità d’esame, sono
tuttavia l’unico, perlomeno tra quanti ho sentito, che ha avuto l’ardire di
farLe presente le mie idee senza temere ripercussioni
sull’esito dell’esame. Infatti, seguire le sue lezioni ha potenziato la mia apertura all’alterità, e
conseguentemente la voglia di confrontarmi
con essa. A ben vedere, mi sembra che per perseguire un confronto interculturale non sia necessario andare in luoghi
esotici, bastando infatti anche una discussione con il proprio professore, come
in questo caso. Ma se temiamo
finanche di confrontarci con Lei per far presenti i nostri dubbi (legga pure
rodimenti di... ha capito cosa), in che modo potremo mai anche solo sperare di
rapportarci a quelle che – erroneamente - consideriamo le altre culture?
Cordialmente,
Simone Perrone