2011/12: INFORMAZIONI PER CHI AVEVA 12 CFU E TUTTI GLI MP3 DELLE LEZIONI

domenica 22 ottobre 2017

Uno dei 330 osa rispondere…

Ricevo da uno studente una mail di risposta al mio post di ieri, che apre un serrato scambio epistolare che rendo pubblico (previa autorizzazione) perché secondo me dentro ci sono diversi spunti per riflettere su cosa sia l’antropologia culturale e su cosa significhi provare a insegnarla e impararla (o a insegnare e imparare alcunché, se è per quello). Lo scambio (che pubblico senza modifiche, se non l’enfatizzazione in grassetto di alcune parole delle lettere di Simone, per rendere più agevole la lettura a schermo) secondo me dice anche molto su una mia vecchia teoria didattica, vale a dire che gli studenti sono come il muro della pelota basca, ti restituiscono la palla con un’energia che è proporzionale a quella che ci hai messo tu nel lanciargliela. Se hai studenti mosci, è probabile che tu, docente, abbia il braccino e non ci metti tanto. A Tor Vergata, e in generale nelle università pubbliche italiane, così tanto bistrattate, c’è ancora una riserva di energie intellettuali inestimabile. Che non possiamo sprecare continuando a delegittimare sistematicamente il lavoro della didattica, della ricerca e della terza missione che tanti di noi fanno con così tanta passione negli atenei italiani (pubblici, ripeto, pubblici, quelli dove ci può andare a studiare anche se non si è di “buona famiglia”).

da:
Simone Perrone<simone.perrone697@gmail.com>
a:
piero.vereni@gmail.com

data:
22 ottobre 2017 10:46
oggetto:
"Lettera a 330 studenti": il mio feedback
Gentile Professor Vereni,

mi permetto di esprimere il mio feedback rispetto a ciò che Lei ha detto nel suo ultimo post (Lettera a 330 studenti).
Personalmente, non ho mai sostenuto alcun esame facile finora; e, in ogni caso, non credo che il modo più opportuno per veicolare il messaggio per cui è necessario studiare costantemente e seriamente sia cambiare repentinamente modalità d’esame, operazione che, tra l’altro, scombussola i miei piani organizzativi rispetto ad altri esami. 
Fin dapprincipio mi sono adoperato nello studio continuativo di antropologia culturale e, di riflesso, nel rispondere puntualmente ai suoi post su questa piattaforma, essendo impossibile rispondere previo aver studiato gli argomenti inerenti alla lezione cui si riferisce il post. Inutile nascondere quanto sia complicato entrare in questa materia e, viceversa, farla entrare in noi perché si possa servirsene nella vita, anzitutto e soprattutto, come pungolo destante dal torpore spirituale e dalla cristallizzazione in certe idee (alias: continuare a pensare di essere – per riprendere l’argomento della penultima lezione – in un vagone ben circoscritto e sentirsi irritati dai treni che, passando innanzi la vista, interrompono i nostri sogni ad occhi aperti); senz’altro, Lei è riuscito a trasmettere quest’idea, essendosi trovato spesso in evidenti difficoltà comunicative rispetto alla volontà di comunicarci la complessità relativa al fare antropologia culturale. Tutto ciò a me è arrivato, e se è falso che l’ho già assimilato, è tuttavia vero che ho sviluppato, durante le lezioni e lo studio a casa, la preliminare apertura spirituale per accoglierlo. 
Ritengo dunque che uno studente che si accosti con serietà e curiosità all’antropologia culturale, come ad ogni altra materia, non possa che studiarla adeguatamente, quantunque all’inizio anche a me sia risultata strana – e tuttavia, con rispetto parlando, sempre preferibile alle interminabili lezioni di altri corsi fondate su inesauribili investigazioni filologiche sulle singole parole. 
Ciò detto, ammetto di sentirmi sballottato da una parte all’altra quanto alle modalità d’esame, verso il quale, lo riconosco, Lei ha ben ragione d’essere ostile, se diventa l’unica preoccupazione di uno studente, tuttavia trovo pur necessario che venga stimato nel giusto valore e, soprattutto, che vengano fornite indicazioni chiare e sicure rispetto ad esso. Purtroppo, fin dalle prime lezioni sono emerse alcune oscillazioni di giudizio: infatti, dapprima disse che bisognava rispondere in max. una settimana e dieci righe ad ogni post – almeno per coloro che volessero essere esonerati dal test scritto, s’intende -, in seguito, però, entrambi i vincoli sono caduti, perciò è stato consentito di rispondere nella più totale libertà, sia rispetto ai tempi che alle righe (confesso di non essermi particolarmente dispiaciuto della caduta di quest’ultimo limite, perché mi ha permesso di articolare meglio le mie risposte, tuttavia ciò tradisce una certa oscurità rispetto alle modalità di svolgimento dell’esame). Provai così a ricercare lo “zoccolo duro” – per usare una sua espressione – delle indicazioni da Lei fornite, e mi sembrava di averlo scorto nel fatto che bisognasse rispondere con costanza ed originalità alle domande sul blog e fare la tesina a fine corso per concludere l’esame; ieri, però, è saltata fuori, improvvisamente, una nuova modalità d’esame, il colloquio, che invalida l’organizzazione che avevo fissato relativamente al Suo corso e agli altri che sto seguendo, creandomi, francamente, un certo rammarico, per non dire irritazione, specie considerando che siamo a ridosso della fine del corso. È bensì vero che potrei venire a gennaio, o quando più mi piacesse, in modo da non dover variare la mia organizzazione, ma è altrettanto vero che direttive puntuali si sarebbero dovute dare, se non dapprincipio, perlomeno nel giro di una settimana dall’inizio del corso. 
Con tutto ciò spero di non essere risultato indiscreto, ma di aver mostrato e sottolineato l’importanza del dialogo - anche critico, purché costruttivo – tra docente e studenti, come pure Lei non poche volte ha avuto a cuore di rimarcare.

Cordialmente,
Simone Perrone


da:
Piero Vereni <piero.vereni@gmail.com>
a:
Simone Perrone <simone.perrone697@gmail.com>

data:
22 ottobre 2017 12:45
oggetto:
Re: "Lettera a 330 studenti": il mio feedback
Grazie Simone,
per la sincerità della sua mail e per i punti reali che solleva. Tutta la questione, mi pare, si potrebbe condensare in un suo "no" secco di risposta alla domanda che il modulo di valutazione della didattica vi chiederà al momento di iscrizione all'esame: "Il docente ha espresso in modo chiaro il metodo di valutazione?"
Famo a capisse, allora. Ho messo a punto il mio metodo didattico in vent'anni di sperimentazioni e correzioni successive. Non credo di essere uno che non pensa alla didattica o la fa con faciloneria, ma su questo parlano i fatti (e forse anche le valutazioni pregresse degli studenti degli anni precedenti). Per me la didattica è probabilmente la mia attività più importante, quella in cui vedo più investito il mio ruolo di antropologo, proprio perché uno dei temi essenziali del mio studio è la trasmissione intergenerazionale del sapere e quindi, come unico antropologo incardinato di Tor Vergata mi sento gravato da una grandissima responsabilità morale.
Fatta salva quindi la mia buona fede (assoluta) e la mia esperienza (oggettivamente notevole), resta la condizione esistenziale del modo in cui ho impostato la didattica quest'anno. Per ragioni di sollecitazione esterna (ho partecipato per il corso di Global Governance questa primavera a un seminario  organizzato da ECOLAS a Bratislava proprio su come aggiornare le metodologie T&L (teaching & learning)) ho imparato con mio grande orrore che i settori più avanzati delle liberal arts guardano alla didattica frontale (lecturing) fatta di un prof che parla, una cattedra che separa e un branco di studenti che annota, come una sorta di retaggio del passato da superare. Come sapete, io in realtà resto molto ancorato a questa immagine dei prof che insegnano vocianti e degli studenti che imparano silenziosi (tra, l'altro, quante altre occasioni avete di IMPARARE AD ASCOLTARE in un mondo che continua imperterrito a chiedervi COSA NE PENSATE praticamente su tutto, soprattutto su cose di cui non sapette nulla?), ma ammetto che il seminario ha sollecitato la mia attenzione per uno spazio di RETROAZIONE FEEDBACK, in cui il docente possa mano a mano verificare se gli studenti hanno assimilato quel che cerca, faticosamente e a volte goffamente, di trasmettere. 
Per questo avevo pensato al sistema dei commenti sul blog più tesina finale, in modo confuso quest'estate, ma abbastanza chiaro per provare a inserirlo nel programma effettivo come metodo di verifica (ai fini della valutazione).
Già subodoravo la fregatura, avendo in questi anni verificato una costante crescita del numero di studenti iscritti, ma non mi aspettavo l'esplosione che si è verificata appena aperto il modulo di iscrizione online. Fino allo scorso anno raggiungevo a stento i 130 iscritti durante il corso, che lentamente (fuori corso, lavoratori, laureati in cerca di corsi singoli, imbarcati invitati da amici di amici) arrivava a sfiorare i 200 esami alla fine dell'anno accademico. Quest'anno, al terzo giorno di lezione gli iscritti erano già più di 200 e ora hanno superato i 330. Questo ha significato un mutamento necessariamente qualitativo, dato che la quantità intacca la qualità, in un'aula comunque scolastica. Sono da solo non per modo di dire, ma in senso letterale dalla prima all'ultima incombenza, tutto quel che riguarda la didattica o la ricerca o la terza missione di Antropologia culturale a Tor Vergata è compito che faccio con le  miei manine, dal mettere le lezioni online al rispondere alle dozzine di mail, dal fare ricevimento al fare le riunioni dipartimentali sui crediti da assegnare per l'insegnamento, dalle tesi ai dottorandi alle attività al centro sociale ex Fienile, e mi fermo qui per non annoiarla.
Mi sono reso conto che il metodo commenti più tesina poteva servire adeguatamente a valutare la costanza del lavoro e la rielaborazione dei concetti, ma il nostro sommo padre, Dante, mi ha insegnato nel Paradiso (V, 41-42) che "Non fa scienza, / sanza lo ritenere, avere inteso", il che significa che devo anche trovare un modo per verificare se c'è stato da parte vostra anche un adeguato lavoro di "ritenzione" del sapere appreso. Per questo ho pensato di sostituire la tesina finale (in quanto doppione metodologico della verifica della rielaborazione concettuale che già ho nei commenti "creativi" al blog) con una verifica orale sui contenuti "ritenuti" di Vite di Confine
Di fatto, per la vostra organizzazione e programmazione di studio, invece di arrivare al 5 novembre (fine modulo) e chiedervi tre giorni in più di lavoro per la preparazione e stesura della tesina, vi chiedo quattro giorni di lavoro in più (ripeto, IN VECE dei tre, alla fine della fiera è un giorno di lavoro in più) per lo studio di Vite di Confine. Riconosco il disagio che questo cambio in corsa possa causarvi, ma spero possiate accettare che dipende solo in parte dalla mia imperizia didattica, e più dalle mutate conseguenze oggettive di erogazione del corso.
Resto ovviamente a disposizione per qualunque ulteriore richiesta di chiarimento, e visto il tempo impegnato in questa mail, la renderò pubblica sul mio blog perché penso possa essere utile anche per altri studenti che possano avere come lei dei legittimi dubbi sulla mia capacità di organizzare il corso in generale.
Sicuramente la mia risposta sarebbe più comprensibile se potessi pubblicarla assieme alla sua mail di sollecitazione, per cui le chiedo l'autorizzazione a rendere pubblici sul mio blog i contenuti della sua lettera, nel caso mi faccia sapere se vuole rimanere anonimo o posso indicare il suo nome.
Cordiali saluti
pv

piero vereni
roma tor vergata
dipartimento di storia, patrimonio culturale, formazione e società
department of history, humanities and society
ex facoltà di lettere - stanza 16 primo piano
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ufficio 06 7259 5041
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da:
Simone Perrone<simone.perrone697@gmail.com>
a:
Piero Vereni <piero.vereni@gmail.com>

data:
22 ottobre 2017 13:52
oggetto:
Re: "Lettera a 330 studenti": il mio feedback
Gentile Professor Vereni,

è mio dovere anzitutto ringraziarLa per la disponibilità e la dovizia di dettagli coi quali ha dato corpo alla sua risposta, permettendomi così d’intendere meglio anche la sua situazione, oltreché la mia: mi pare che in questo caso entrambi abbiamo utilizzato in modo positivo l’immaginazione, intesa al modo di Geertz, evitando dunque un possibile fallimento comunicativo.

Non c’è alcun problema quanto alla pubblicazione della mia mail con anche il mio nome e cognome. Come Lei ha ben detto, non sono il solo che è rimasto perplesso dal suo cambiamento rispetto alle modalità d’esame, sono tuttavia l’unico, perlomeno tra quanti ho sentito, che ha avuto l’ardire di farLe presente le mie idee senza temere ripercussioni sull’esito dell’esame. Infatti, seguire le sue lezioni ha potenziato la mia apertura all’alterità, e conseguentemente la voglia di confrontarmi con essa. A ben vedere, mi sembra che per perseguire un confronto interculturale non sia necessario andare in luoghi esotici, bastando infatti anche una discussione con il proprio professore, come in questo caso. Ma se temiamo finanche di confrontarci con Lei per far presenti i nostri dubbi (legga pure rodimenti di... ha capito cosa), in che modo potremo mai anche solo sperare di rapportarci a quelle che – erroneamente  - consideriamo le altre culture? 

Cordialmente,
Simone Perrone