25 10 2017. Oggi lezione complicata dagli impegni, come ho spiegato in un post dello stesso giorno. Nelle due parti della lezione ho cercato di costruire un po' di riflessione sulla costruzione del genere sessuale (maschi e femmine sono entità biologiche che non significano nulla, che non sono cioè parte integrante di un sistema sociale fin quando la cultura non attribuisce loro un sistema di pratiche riconosciute come caratteristiche) e sulla funzione dei rituali nella produzione di questa costruzione dell'umanità. Abbiamo visto come i riti siano costituiti da tre fasi (separazione, liminarietà, reintegrazione) e come nella nostra cultura sia sempre più difficile trovare esplicite condizioni rituali, che devono in qualche modo occultarsi in pratiche un po' private (contraddizione palese, perché il rituale per essere efficace deve essere pubblico, essendo un gioco di segni condivisi) oppure in forme sempre più secolarizzate, ridotte cioè al rango di cerimonia. So di averne parlato poco e male, ma anche grazie alle cose che hanno scritto alcuni antropologi come Martine Segalen e Marco Aime, possiamo cercare di riflettere assieme sullo stato attuale del sistema rituale nella nostra cultura.
Q1. Identificate un rito (o quel che ne resta) e provate a descrivere le tre fasi (di separazione, liminare o di trasformazione, di riaggregazione) con un esempio tratto dalla vostra esperienza (e tenete conto che dell'argomento, qui solo accennato, se ne parlerà con assai maggior dettaglio nel modulo di Storia delle religioni che tengo nel secondo semestre).
Ho insegnato a Venezia, Lubiana, Roma, Napoli, Firenze, Cosenza e Teramo. Sono stato research assistant alla Queen's University of Belfast e prima ho vissuto per due anni in Grecia, per il mio dottorato. Ora insegno a Tor Vergata e nel campus romano del Trinity College di Hartford (CT). Penso che le scienze sociali servano a darci una mano, gli uni con gli altri, ad affrontare questa cosa complicata, tanto meravigliosa quanto terribile, che chiamano vita.