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venerdì 16 febbraio 2007

Non ci sono più i bei brigatisti di una volta

Tiziano Scarpa commenta al Corriere gli arresti di un due giorni fa: “Io le ho già viste, tutte ’ste cose, per colpa di cinquecento persone la mia generazione l’ha pagata cara, molto cara... è un giochetto sporco che abbiamo già visto, adesso verranno demonizzati tutto il sindacato, tutti i no global, tutti i centri sociali e la sinistra, gli intellettuali... Soprattutto non vorrei che per quindici o venti criminali folli finissero per pagarla i ventenni di oggi, non appena alzeranno il ditino per dire “non sono d’accordo” ci sarà qualcuno che dirà loro: zitti, terroristi!”.
Condivido (se non altro per ragioni anagrafiche e geografiche) le considerazioni di Tiziano. Non vorrei però sembrassero solo un’accusa (giusta) contro la demonizzazione e ci facessero trascurare l’idiozia criminale che purtroppo la giustifica.
Per quelli della nostra età (oltre i quaranta e sotto i cinquanta, diciamo) e ancor più se del Veneto, i bastardi che facevano “politica” picchiando e tirando molotov prima e poi giocando al piccolo partigiano che gambizza e ammazza i nemici del popolo, sono stati più castranti di qualunque padre-padrone, più inibenti di qualunque “perfetta madre ebraica”. Ci hanno tolto qualunque legittimazione al dissenso in età preadolescenziale, e abbiamo fatto uno sforzo enorme per recuperare una dimensione morale del dire “no”.
Dal loro giocare (quasi sempre sulla pelle degli altri, poi bastava pentirsi) alla rivoluzione, l’unico risultato che ne hanno ricavato è stato una condizione di repressione costante e diffusa. A 19 anni lavoravo d’estate in un bar a Venezia, e non c’era verso di evitare un controllo di polizia tornando a casa (a piedi!) dopo le 23, tanto che ormai mi ci ero abituato. Certo, qualcuno l’avrà già detto, ma anche senza ipotizzare improbabili complotti e Grandi Vecchi, mi pare evidente che il gioco di quei sociopatici paranoici sia stato (e ancora lo è, nella misura in cui ci giocano) tutto teso a favorire le istituzioni intese proprio come apparati ideologici dello Stato. Quel che ha detto due giorni fa Giuliano Amato in Parlamento è sintomatico: guardate che va a finire che la manifestazione di Vicenza diventa una scusa per mettere assieme il “movimento” con la criminalità (e con gli ultrà, perché no) in una guerra contro le forze dell’ordine. Il problema di questo tipo di allarmi è che da un lato corrisponde purtroppo a un dato di fatto, ma dall’altro costituisce una rete di senso, che viene strascicata sul fondale melmoso della politica sia dalle “autorità” (che poi manganellano in stile Diaz) sia dalla follia secondoposizionista, che trova una conferma della sua strategia di infiltrarsi nel movimento antagonista e cavalcare l’onda che passa (qualunque sia).
Tutto quello che abbiamo ottenuto dagli anni di piombo è stato il senso di colpa del dissentire, l’isolamento e la privatizzazione della critica politica, l’ispessirsi delle faglie di frattura interne alle classi subalterne, l’inasprimento delle forme di controllo, la militarizzazione di spezzoni della politica, la diffusione di un culto machista per la “bella morte” e per la violenza in quanto tale, non strumento ma fine. Io non voglio che quella merda di clima ritorni in alcun modo e questa volta è bene che lorsignorini lo sappiano: se ci toccherà scegliere di nuovo, molti di noi stavolta non avranno dubbi: con lo Stato.
Un consiglio alle “istituzioni”. Smettetela di fare intercettazioni ambientali e di infiltrare poliziotti attorno ai centri sociali. Mandateci invece una vagonata di psicologi, psichiatri e psicoanalisti per tenere a bada troppi edipi non risolti e narcisi fuori controllo.
È vero, come dice Erri De Luca sempre sul Corriere di ieri, che la retata di due giorni fa ha raccolto più che altro “sprovveduti”, ma non poteva essere altrimenti. Come non c’era alcuna vera consapevolezza politica nei “veri” brigatisti degli anni Settanta-Ottanta (sfido chiunque a dimostrarmi qualunque sensatezza o progettualità nel loro delirio di parole e azioni), tutti tesi a lottare in un teatro che si erano costruiti per conto loro, senza alcun contatto con la realtà se non il sangue dei poveri innocenti che chiamavano a fare comparsate sul palco del loro egocentrismo piccoloborghese, così non ce ne può essere negli arrestati di questi giorni, emarginati sociali che ovviamente non speravano altro che di essere catturati, in modo da garantirsi finalmente un senso eroico per il loro blaterale a vanvera e il loro giocare a soldatini. Se la Digos smettesse veramente di controllarli, quasi tutti i coglioni paranoici che gravitano speranzosi ai margini della criminalità antistatale non troverebbero più alcuna ragione di confabulare e progettare la rivoluzione sparando ai manichini in mezzo alla campagna veneta.
Un’ultima cosa, per chi pensa che queste cose le posso dire perché sono un borghese che non vuole capire come funziona, da sempre, il conflitto di classe. Chi ha ancora voglia di fare retorica “di classe” si chieda come possa essere credibile come icona proletaria una che si chiama “Nadia Desdemona”, manco fosse una latifondista brasiliana.