Martedì scorso sono stato tutto il giorno in biblioteca, alla Nazionale di Roma. Non è certo la biblioteca più efficiente del mondo, niente scaffali aperti, la distribuzione è rigidamente ogni mezz’ora, ma da un anno hanno almeno eliminato i foglietti delle richieste cartacee, sostituite da richieste direttamente via computer.
Erano più di due anni che non ci mettevo piede, e quando ho acceso il portatile ho subito controllato se ci fosse una rete wireless per internet. Nulla.
Che peccato, ho pensato, se c’è veramente un posto dove varrebbe la pena di avere internet è proprio una biblioteca: leggi e trovi uno spunto, fai una ricerca su internet, che ti rimanda a un altro testo, che puoi cercare poi in biblioteca. Sembrerebbe un sodalizio virtuoso. E invece, almeno per me, non è così. Non so da cosa dipenda, forse è un limite generazionale, ma non riesco ad essere veramente produttivo nello studio se ho internet aperto “sotto”. C’è sempre qualcosa che mi porta via da quel che sto facendo: la posta da controllare, le notizie da leggere, quel nome da verificare su Wikipedia. E ho pure rinunciato da quasi un anno a qualunque servizio di messaging. Skype e la chat di Google mail azzeravano la mia capacità di produrre qualcosa di sensato, e ho dovuto semplicemente smettere di collegarmi.
Forse per chi fa altri tipi di lavori è diverso, ma se, come nel mio caso, si tratta di leggere testi e ragionarci sopra, il processo migliore è ancora quello sequenziale: un testo alla vota, una schedatura alla volta. Poi, quando sono a casa (ma spesso anche in motorino) trovo collegamenti, creo allacci tra i diversi spezzoni, mi produco un ipertesto ad accesso non sequenziale. Ma per poterlo fare devo prima avere sequenziato i singoli pezzi. E internet mi crea enormi ritardi in questo lavoro.
Dicevo della biblioteca. Lì, senza internet, costretto a leggere e schedare e null’altro, la mia resa è almeno triplicata in termini di pagine lette e schedate.
Paradossalmente, mi creo meglio una struttura del materiale che sto studiando se posso lavorare all’antica. Non è, ci mancherebbe, un elogio dei bei tempi quando scrivevamo con inchiostro e calamaio. So quanto mi è utile fare ricerche in rete, scaricare materiale, trovare cose impensate. Ma è come se la rete fosse perfetta per il lavoro di scouting, mentre è controproducente quando si tratta di assimilare quel materiale, farlo mio, depositarlo dentro i miei pensieri e farlo germogliare in pensieri nuovi. Per questo, ho bisogno di silenzio, non del caos della rete. E ho bisogno di uno spazio mentalmente limitato, non della sterminata prateria di internet. Devo crearmi una struttura temporale, e capire quando è il momento di cercare e quando, invece, è il momento di riflettere.
Ho insegnato a Venezia, Lubiana, Roma, Napoli, Firenze, Cosenza e Teramo. Sono stato research assistant alla Queen's University of Belfast e prima ho vissuto per due anni in Grecia, per il mio dottorato. Ora insegno a Tor Vergata e nel campus romano del Trinity College di Hartford (CT). Penso che le scienze sociali servano a darci una mano, gli uni con gli altri, ad affrontare questa cosa complicata, tanto meravigliosa quanto terribile, che chiamano vita.