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mercoledì 20 aprile 2011

Vietato cambiare

Tramite il Post (praticamente l'unica mia fonte di informazione italiana, a questo punto) che lo ha segnalato, ho letto un pezzo di Ilvo Diamanti pubblicato su Repubblica, in cui il politologo racconta la terribile esperienza di essere colto da un infarto, e delle conseguenze psicologiche che questo evento ha prodotto in lui.
A me ha fatto molta impressione il finale del pezzo, vale a dire il motivo per cui ammette di averlo  scritto:
Per impedirmi di ritornare. Indietro.
Mi pare che questo sia il punto chiave. Che qualunque cosa ci capiti, siamo sempre pronti, come esseri umani, a "tornare indietro", a far finta di nulla. Neanche un infarto a cui sei sopravissuto ti da la certezza che "d'ora in poi" vedrai le cose in modo diverso, che vivrai diversamente, più intensamente, più veramente.
Siamo così proni al nostro piano inclinato esistenziale che poco alla volta anche un evento così assolutamente eccezionale e straordinario come sopravvivere a un infarto diventa null'altro che una tacca un po' più nitida nel sismografo della vita.
E rischiamo di riprendere in tran tran. Di parlare (per Diamanti) ancora di Lega e Berlusconi, di cagate senza alcun senso, ma proprio nessuno nessuno. E mentre durante la fase acuta avevamo chiaro benissimo che il 99 percento delle cose che facciamo sono insensate e ci ripromettiamo che "d'ora in poi" non sarà più così, poco alla volta la quotidianità ci travolge di nuovo con la sua inesauribile e folle pazienza.
Per questo scriviamo, per questo diciamo a tutti quel che ci è successo, perché speriamo che quel nero su bianco sia un memento indelebile, vogliamo che il sentimento che abbiamo provato di senso della vita (proprio mentre temevamo di perderla) non se ne vada, e allora proviamo a inchiodarlo con le lettere che stendiamo sul foglio o sullo schermo.
Scriviamo tutti per quel motivo, che Diamanti così candidamente confessa: per non tornare indietro.
Perché tanto lo sappiamo, che indietro ci torneremo, e quelle parole sarnno tra poco solo un altro pezzo, un altro articolo, un modo di essere stato, in cui raccontiamo che per qualche tempo, per qualche giorno, abbiamo avuto una percezione diversa della vita. E quella percezione, ora, ora che tutto è passato, già non ce l'abbiamo più, già sentiamo che ci è rimasta come ricordo ma non più come percezione, sappiamo che vedevamo le cose in modo diverso ma non sappiamo più bene dire in cosa consisteva quella diversità, quel senso dentro di consapevolezza, come quando si è ai primi periodi di innamoramento.
Per questo scriviamo, mica perché siamo cambiati (non cambieremo mai): scriviamo per non morire di fronte all'orrore della consapevolezza che non riusciamo a cambiare. Mai.