Ci sono letture che passano su di noi come un velo di seta, non
lasciano traccia, e altre, più rare, che invece ci impregnano fin nel midollo. Quando
abbiamo la fortuna di imbatterci in queste ultime, il mondo subisce una sorta di
reset, sentiamo che veramente abbiamo afferrato un nuovo strumento per cambiare
non solo noi stessi (troppo facile) ma anche l’ambiente che ci circonda. Se il potere
è definibile proprio come la capacità di mutare le condizioni del contesto secondo
il nostro desiderio, queste letture sono letture che offrono potere.
Quando ho letto l’articolo del professor Nicola Persico pubblicato su
Lavoce.info ho capito subito che ero di fronte al secondo caso, a un testo potente, potentissimo.
Nel breve articolo del professor Persico si dice, in sostanza, che la differenza di PIL tra Italia e Singapore (tutta a vantaggio di Singapore) dipende dal fatto che a Singapore usano meglio le risorse umane. Attenzione, non c'è nulla nell'articolo che giustifichi questa correlazione causale, posta come pura petizione di principio, ma questo è proprio il bello delle scritture potenti, mica si prendono la briga di stare lì a spiegare tutto per filo e per segno, tanto meno le correlazioni causali che sono alla base del loro potere esplicativo.
Dunque, dicevamo, Singapore va meglio col PIL perché usa meglio le sue risorse umane. In che modo? Producendo più ingegneri e meno filosofi, dice Persico. In effetti, a Singapore si laureano il doppio di ingegneri rispetto all'Italia (22 a 11 per cento) e questo spiegherebbe perché Persico chiede più ingegneri per la patria. Sui filosofi la faccenda è un po' più ingarbugliata, perché non si capisce dove vadano conteggiati nelle statistiche che riporta: stanno con le "scienze sociali" (ma lì i nostri sono pochi di più: 13,6 contro 12,4) oppure, come temo, con le "Belle arti/letteratura"? Certamente qui, dato che la sproporzione tra i nostri laureati in questo settore e i singaporegni è strepitosa: 10 contro 1,2. In realtà, dunque, la ricetta corretta sarebbe "più ingegneri e meno umanisti" (meno letterati, meno storici dell'arte, meno esperti di patrimonio, oltre che meno filosofi) e qui già si comincia a capire la portata della proposta: visto che siamo il paese con la più alta concetrazione di beni culturali al mondo, il modo migliore per sollevare il nostro PIL è quello di ignorare questa risorsa storica (tanto, dice Persico, mica è una "risorsa naturale" come l'uranio o il carbone) e buttarci tutti a fare ingegneria.
Dopo aver letto questo pezzo, per qualche giorno sono rimasto ammutolito dal suo fascino, e ho lasciato ad altri, per esempio a Gustavo Piga, il compito di porne in evidenza tutta la portata.
Dato che però, come antropologo (quindi in posizione già spuria) sono entrato da poco a far parte di un nuovo Dipartimento universitario che si chiama "Studi di Impresa Governo Filosofia" (che insomma mette assieme economisti (come Persico) e filosofi (ciò che Persico considera superfluo, in sintesi), vorrei provare anch'io a dare il mio modesto contributo, provando ad articolare con un po' più di respiro concettuale quel che nel testo di Persico viene un po' ridotto a una grigia querelle tra scienze applicate e scienze umanistiche (cioè pseudo-scienze, ça va sans dire).
In realtà la potenza dell'articolo di Persico sta tutta nella sua potenziale espansione: visto che non c'è traccia della motivazione del perché siano poi i poveri filosofi a dover portare sul groppone lo scotto di un PIN nazionale in terribile affanno, io credo che si debba prendere quel silenzio come indicazione che la questione è molto più ampia. Se vogliamo alzare il PIL, cioè, dobbiamo abbassare quel che è percentualmente alto in Italia e basso a Singapore. Per esempio: in Italia ci sono circa 30mila ebrei, mentre a Singapore sono meno di un migliaio. Bene, visto tutto quel che abbiamo detto, è garantito che se portiamo il numero degli ebrei allo stesso ordine di grandezza di quello di Singapore, il nostro PIL ne beneficierà.
Ma non dobbiamo fermarci qui: non si tratta solo di abbassare quel che è esageratamente elevato da noi, visto che quel che conta è in realtà un allineamento delle statistiche tra i due paesi, e questo di può raggiungere non solo abbassando quel che è "troppo" da noi, ma anche elevando quel che ancora è "troppo poco". Ad esempio, la cucina di Singapore è nota per la tradizione di presentare i cibi su foglie di banana, cosa che attira i turisti da tutto il mondo e certamente contribuisce al PIL nazionale. Ora, tutto possiamo dire della meravigliosa cucina italiana, ma quanto a foglie di banana mi pare siamo ancora un po' scarsini. E' arrivato il momento di impegnarci tutti nell'incrementare la produzione di questa preziosa pianta. E se qualcuno facesse notare che le condizioni climatiche del nostro paese sono sfavorevoli a questo tipo di coltivazione e che, per di più, abbiamo un sacco di altre cose nutrienti su cui basare la nostra produzione agricola, è chiaro che quel qualcuno è un disfattista che non tiene conto della certezza dei numeri. Quasi sicuramente un filosofo.
Ecco, dunque, il potere della scienza esatta. Ora sappiamo come fare per tornare a galla, noi Italiani: meno ebrei, e più foglie di banana.
PS (che si prega di leggere accuratamente prima di lasciare qualunque commento) Visto il basso livello di riflessività che circola in rete, vorrei evitare eccessivi malintesi e quindi, pur lasciando ampio spazio di interpretazione a chi legge, vorrei dare almeno un paio di dritte ermeneutiche:
1. NON ce l'ho con Nicola Persico, ma con un articolo da lui firmato pubblicato su un importante sito di economisti (che seguo e apprezzo), articolo che mi pare influenzato da un clima incomprensibile di disprezzo per le scienze umane che circola da qualche anno. Credo che gli scienziati (di qualunque versante) dovrebbero avere come comune nemico l'ignoranza, non il settore dei colleghi che loro frequentano di meno.
2. NON ce l'ho con gli ebrei e ho usato anzi il paradosso del loro numero proprio perché sono ben consapevole della loro funzione storica di capri espiatori, funzione che non ha ancora cessato di solleticare molte forme anche recenti di antisemitismo ("E' chiaro che la guerra del golfo è stata provocata dagli ebrei e dai ciclisti!" "Scusa, perché anche i ciclisti?" "Scusa tu, e perché gli ebrei?").
Ho insegnato a Venezia, Lubiana, Roma, Napoli, Firenze, Cosenza e Teramo. Sono stato research assistant alla Queen's University of Belfast e prima ho vissuto per due anni in Grecia, per il mio dottorato. Ora insegno a Tor Vergata e nel campus romano del Trinity College di Hartford (CT). Penso che le scienze sociali servano a darci una mano, gli uni con gli altri, ad affrontare questa cosa complicata, tanto meravigliosa quanto terribile, che chiamano vita.
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sabato 17 marzo 2012
Una modesta proposta (per risolvere in modo radicale la crisi italiana)
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