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giovedì 19 maggio 2022

Quanto contano le intenzioni (Perle ai social)

Il 17 maggio 2022 ho postato il mio ultimo commento su Fb. Avevo letto (e mal me ne incolga) un post di un sedicente saccente con diverso seguito su Fb, che aveva pubblicato giorni fa lennesima tirata di mansplaining sulla questione Alpini. Con il tono di chi la sa lunga, aveva sintetizzato: C'è uno stacco generazionale ingestibile, è tutto qua”. E a noi che non capiamo nulla aveva dato il suo spiegone, che si può sintetizzare in questo gap generazionale: noi ultracinquantenni capiamo le battute di Lino Banfi sulle forme di Edwige Fenech, di Gloria Guida, e quelli più piccoli si offendono. Prendiamone atto. Fine.

Non contento della nettezza di questa banalità, aveva insistito su un aspetto preciso, che possiamo chiamare il “Punto dell’intenzione”. Ecco i passi:

E aggiungo, sempre a sfavore della mia generazione, che la colpa è tutta da questa parte: se la società progredisce e si evolve non è che si possa aspettare i ritardatari: se una ragazza percepisce come molesto qualcosa, è molesto. Punto. Non ci sono distinguo da fare. Non è questione di intenzione ("ma volevo solo fare un complimento"), è questione di percezione e fastidio altrui.

[…] Non importa l'intenzione dell'emittente, importa il fastidio percepito, che dovrebbe essere chiaro prima ancora di crearlo.

A parte la sicumera, su cui possiamo sorvolare per umana pietà (per anni, sono stato un campione niente male di questo atteggiamento, nella categoria “intellettuali frustrati”, so di cosa parlo), ho trovato letteralmente inaccettabile un tale sprezzo verso l’intenzione dell’agente sociale, che a me puzza da morire di totalitarismo.

Alquanto perplesso, e vedendo quanto il post sembrasse attrarre letteralmente migliaia di like e moltissimi commenti, ho sentito di dover replicare sul punto:

A mio modesto parere, il vero cambiamento culturale è avvenuto quando abbiamo iniziato a dare credito come assiomatica a questa perentoria asserzione: "non importa l'intenzione dell'emittente". Scusate, ma in quale altra cultura questa affermazione è presa così letteralmente? Questa affermazione implica la fine di qualunque progetto comunicativo.

 

Il giorno dopo trovo questa risposta dell’autore del post originario:

Piero Vereni Nei rapporti umani finalizzati al contatto, emotivo e fisico. Che hanno bisogno di un consenso mostruoso, a differenza di qualsiasi altro ambito relazionale e comunicativo.

 

In attesa dal dentista, avevo trovato questa risposta ancora meno consistente (e molto più imbarazzante) del post che aveva suscitato il mio commento. E avevo risposto di getto, compulsando le mie frasi in attesa che l’anestesia facesse effetto. Le riporto qui (aggiungendo gli a capo per maggior leggibilità) perché nel bailamme dei commenti sugli Alpini più o meno bavosi è passata sicuramente inosservata

 credo di non aver capito. Se fosse vero che non importa l'intenzione dell'emittente solo nei rapporti affettivi, allora ciò significherebbe che invece l'intenzione conta in quelli di altro tipo, poniamo economici. Dunque, se voglio instaurare un contatto fisico con X mi debbo disinteressare delle sue vere intenzioni mentre se voglio comprare un'auto usata da Y allora dovrei tener conto delle intenzioni di Y. Davvero i conti non mi tornano e mi trovo intrappolato in un sistema socialmente paranoide e economicamente improponibile. Se poi la norma "spingi al limite zero le intenzioni dell'emittente come variabile in gioco" si applica in forma generalizzata nei contesti di contatto fisico, il disastro si affaccia ben presto, se chi applica quella norma ha più potere fisico.

Uno stupratore seriale potrebbe giustificare i suoi atti dicendo che non contano le intenzioni delle sue vittime (lasciami stare) ma la sua interpretazione dei loro enunciati come richiami sessuali. Questa conseguenza incresciosa di un principio così spudoratamente fallace si può risolvere solo introducendo la variabile Potere nell'equazione e consentendo solo alle Vittime di imporre la norma in loro difesa (caso Alpini, appunto: solo le intenzioni dei carnefici non contano nulla, mentre contano quelle loro vittime). La questione è che non c'è un criterio intrinseco né oggettivo per calcolare l'entità del potere in una relazione umana e, per salvare dall'inconsistenza empirica l'affermazione che le intenzioni non contano mai, si dovrebbe supporre un universo di Tutti Carnefici, cosa logicamente impossibile (perché non si saprebbe CHI mai sarebbero vittime). Il problema è quello classico del Derridismo, una sorta di gioco d'azzardo del linguaggio per cui se perdi una mano raddoppi la posta alla mano successiva (Agamben è campione mondiale della specialità). Ma così, appunto, si riduce l'analisi sociale a un gioco linguistico (che Wittgenstein mi perdoni) e la comprensione o anche solo l'umana voglia di capire vanno a farsi benedire, travolte dal godimento per la fallace furbesca retorica. Se si parte da assiomi falsi nella loro assolutezza di assiomi (l'autore è morto; sapere è potere; siamo in uno stato di eccezione; l'intenzione non conta) quel che se ricava è al massimo aria fritta. Al peggio aria viziata.

 

Perle ai porci, certo. E duplice morale dell’apologo:

1. Nel mondo dei social non importa per nulla la consistenza argomentativa di quel che si dice. È essenziale invece il cipiglio. Più fai lo sbruffone, più ti daranno ascolto. E credito, anche se dici non solo banalità, ma vere e proprie sciocchezze (ho fatto la scoperta, eh?).

2. Non commentare mai su Facebook. Mai più. Al massimo un cuoricino e un saluto sotto il post con le frasi di Snoopy dello zio lontano. Pubblica i post del tuo blog, e poi dimenticateli.