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domenica 3 novembre 2024

La costruzione culturale tra categorie e immaginazione. Lezione #05 di Antropologia culturale PIETRO VERENI per Tor Vergata

 

LEZIONE Numero 05 registrata l’11 ottobre 2024

 

 

20241011 Antropologia culturale 2024-25 Mod A Lez 04 La costruzione culturale tra categorie e immaginazione

 

1. Introduzione: percezione e cultura

  • La lezione si apre esplorando come la cultura organizzi la percezione umana, strutturando gli stimoli sensoriali in sistemi di significato comprensibili. Gli esseri umani interpretano i segnali ricevuti tramite i sensi grazie a un apparato cognitivo che “traduce” questi segnali in segni che acquistano valore all’interno del contesto culturale.
  • Vereni introduce il concetto di “buckets” (contenitori) come metafora dei filtri cognitivi e culturali usati per classificare ciò che percepiamo. Questi contenitori sono frutto di una dotazione biologica che viene però riempita e strutturata dal contesto culturale di riferimento.
  • Per comprendere il mondo, gli umani utilizzano non solo la vista – prevalente tra i nostri sensi – ma anche altre percezioni, come l’udito, che gioca un ruolo chiave nello sviluppo del linguaggio. Ogni cultura determina l’importanza di determinati segnali, rendendoli rilevanti per l’individuo in modo unico e distintivo.

2. Esempio del bambino con la psicologa e le categorie cognitive

  •    A questo punto, Vereni illustra il ruolo della cultura nelle categorizzazioni cognitive attraverso un esempio pratico, raccontando l’esperimento di un bambino sottoposto a un semplice test di categorizzazione condotto da una psicologa.
  •    Durante l’esperimento, al bambino vengono presentate alcune carte con disegni diversi (ad esempio, un leone, un orso, una zebra, un carretto) e gli viene chiesto di individuare quale di queste figure sia “diversa” dalle altre. Il bambino, tuttavia, fatica a risolvere l’esercizio, poiché non ha ancora acquisito le categorie che gli permetterebbero di identificare ciò che per un adulto è evidente.
  •    Vereni evidenzia come il bambino percepisca ogni oggetto come unico, senza riuscire a ricondurlo a una categoria più generale. Questa difficoltà sottolinea che la categorizzazione non è innata, ma richiede un certo sviluppo cognitivo e un’introduzione alle categorie culturali. Per esempio, mentre per un adulto è naturale suddividere gli oggetti in animali e oggetti non animali, un bambino non ancora socializzato in queste distinzioni può pensare che tutti gli elementi – essendo ciascuno diverso dall’altro – non siano affatto collegati.
  •    Questo processo di apprendimento delle categorie, nota Vereni, richiede tempo e maturazione sia neurologica che culturale: “Ci vuole una maturazione neuronale e una maturazione sociale per imparare i buckets”. L’esempio sottolinea come la cultura agisca come una sorta di “sistema dittatoriale” che ci insegna a privilegiare alcune differenze piuttosto che altre. In altre parole, ogni cultura stabilisce quali categorie e differenze hanno valore per gli individui e quali possono essere ignorate.

3. Categorie, percezione e semiotica culturale

  •    Proseguendo, Vereni parla del dilemma antropologico se le categorie siano naturali o culturali. Viene richiamata la concezione della “tabula rasa” illuminista, secondo cui tutte le categorie sono apprese dall’esperienza. Tuttavia, questa teoria è considerata limitata, poiché non tiene conto di una dotazione minima innata che gli esseri umani possiedono per classificare le percezioni, come suggerito da Kant.
  •   I sistemi categoriali culturali, aggiunge, costruiscono segmentazioni che appaiono naturali solo una volta apprese. Per esempio, il concetto di colore: pur essendo lo spettro cromatico un continuum, le diverse culture definiscono e distinguono i colori in modo variabile. Alcune culture individuano pochi colori di base, altre molteplici, e ogni sistema categoriale è valido solo all’interno del proprio contesto culturale.
  •    Il riferimento a Umberto Eco e alla semiotica serve a sottolineare che gli umani interpretano il reale attraverso “filtri” che la cultura offre loro, trasformando il percepito in una serie di segni e significati che rendono il mondo intellegibile. Eco spiegava che ogni oggetto percepito diventa “utile” solo quando collegato a una funzione specifica, e il significato di ciascun oggetto varia in base al contesto culturale. Il mondo materiale, dunque, non è fatto solo di oggetti, ma di segni che ci guidano nelle nostre interazioni quotidiane.

4. La critica al costruttivismo radicale

  •    Un’altra tematica rilevante è la critica al costruttivismo radicale, ossia l’idea che tutto sia un costrutto culturale e linguistico, senza alcuna base naturale. Vereni cita Judith Butler e le sue teorie sul genere come performance, per evidenziare che anche se le identità di genere possono essere performative, rimangono legate al corpo biologico.
  •    In sintesi, Vereni ribadisce che, pur essendo condizionati dalla nostra biologia, la cultura gioca un ruolo fondamentale nel formare come percepiamo e interpretiamo il mondo. Senza il supporto della cultura, l’essere umano rimarrebbe in una condizione di incompletezza.

5. Intenzionalità, interpretazione e thick description

  •    L’interpretazione delle azioni sociali e delle intenzioni è uno dei punti centrali della lezione. Vereni introduce Clifford Geertz e il concetto di “Thick Description” come metodo per l’antropologo di andare oltre l’osservazione superficiale e ricercare il significato che gli attori sociali attribuiscono alle proprie azioni.
  •    L’esempio dell’occhiolino è utile per chiarire l’importanza di comprendere l’intenzionalità dietro un’azione. Senza considerare il contesto e il significato attribuito dagli attori, un occhiolino potrebbe essere indistinguibile da un semplice tic nervoso. Vereni enfatizza che lo scopo dell’antropologia culturale è interpretare le azioni cogliendone le intenzioni sottostanti, esaminando il contesto e il significato che queste azioni rivestono per chi le compie.

SINTESI

  •    In questa prima parte della lezione, Vereni riassume i concetti fondamentali della percezione e delle categorie culturali, evidenziando come la cultura agisca come filtro interpretativo che trasforma il percepito in una rete di significati.
  •    La capacità di usare sistemi di segni – simile a quella che Harari chiamerà “immaginazione” – è ciò che distingue l’essere umano. La cultura, intesa come interpretazione condivisa e continua dei significati, è lo strumento che ci permette di trasformare la realtà in un sistema comprensibile e strutturato di simboli.

IL TED TALK DI YUVAL HARARI

1. Gli inizi dell'homo sapiens: da insignificanti a dominatori

  •    Premessa storica: 70.000 anni fa, i nostri antenati non avevano un impatto significativo sul mondo, paragonabili ad animali come meduse o lucciole. Oggi, invece, gli esseri umani sono diventati i dominatori del pianeta.
  •    La domanda fondamentale: Harari si chiede come sia avvenuta questa trasformazione. La differenza tra gli esseri umani e gli altri animali non si trova a livello individuale; infatti, individualmente, gli umani non sono molto diversi dagli scimpanzé, che potrebbero facilmente superarci in situazioni di sopravvivenza uno-contro-uno.
  •    La vera differenza: La chiave è la capacità umana di collaborare su larga scala e in modo flessibile. Questa abilità è unica dell'Homo Sapiens e consente agli umani di raggiungere risultati straordinari, come la costruzione delle piramidi e le missioni sulla Luna. Senza dimenticare che la stessa capacità ha prodotto anche forme meno nobili di interazione umana: i mattatoi, le prigioni, i campi di concentramento sono tutte conseguenze istituzionali di questa capacità umana di collaborare in modo flessibile e amplissimo.

2. Collaborazione: la flessibilità e la scala

  •    Limiti della collaborazione negli altri animali: Altri animali, come le api e le formiche, possono collaborare in grandi numeri ma solo in modo rigido, seguendo schemi predefiniti. I mammiferi sociali, come i lupi e gli scimpanzé, collaborano in modo più flessibile ma solo in piccoli gruppi, basandosi su una conoscenza reciproca.
  •    Esempio del caos tra scimpanzé: Se si riunissero 100.000 scimpanzé, il risultato sarebbe il caos, mentre gli esseri umani possono collaborare in modo organizzato anche con decine di migliaia di persone.
  •    Cooperazione senza conoscenza personale: Gli umani possono collaborare efficacemente con estranei, costruendo una rete complessa di interazioni sociali. Per esempio, Harari sottolinea che non conosce personalmente le persone che hanno organizzato il suo TED Talk, ma tutti lavorano insieme per il successo dell'evento.

3. L’immaginazione come chiave della cooperazione umana

  •    La svolta dell'immaginazione: La capacità unica dell'Homo Sapiens di collaborare è resa possibile dalla immaginazione. Solo gli esseri umani sono in grado di creare e credere in finzioni, ovvero storie inventate che permettono loro di condividere norme, leggi e valori.
  •    Storie che creano realtà: Gli umani non solo descrivono la realtà come fanno gli altri animali, ma possono crearne di nuove. Esempi di queste storie includono le religioni, i sistemi politici e le leggi, che esistono solo perché gli umani credono in esse collettivamente. Solo attraverso questa capacità di creare storie condivise si possono costruire società complesse e organizzate.
  •    Religione come esempio: Harari spiega che milioni di persone si uniscono per costruire cattedrali o moschee e per combattere crociate e jihad perché condividono storie su Dio, il paradiso e l'inferno.

4. Le finzioni moderne: diritto, politica ed economia

  •    Il diritto come finzione: Anche i diritti umani, fondamento di molti sistemi legali, sono una creazione umana. Non sono una realtà oggettiva; non esistono nel corpo umano, ma solo nelle storie che abbiamo inventato e diffuso.
  •    Gli stati e le nazioni: Le entità politiche moderne, come Israele, Iran, Francia o Germania, non sono realtà oggettive. Sono costruzioni immaginarie a cui ci siamo affezionati, proprio come le religioni.
  •    L'economia e le multinazionali: Le aziende e le multinazionali sono finzioni legali. Le attività economiche si basano su denaro, che è la storia di maggior successo mai raccontata dagli umani. Il denaro non ha valore intrinseco, ma funziona perché tutti ci credono.

5. Il potere del denaro: la storia di successo universale

  •    Il denaro come storia universale: A differenza delle religioni, dei diritti umani e dei nazionalismi, tutti credono nel denaro. Anche persone come Osama Bin Laden, che odiavano la cultura e la politica americana, non avevano problemi ad accettare i dollari americani.
  •    Esempio del dollaro: Harari illustra come un pezzo di carta verde possa essere scambiato per beni reali come le banane, solo perché tutti credono che abbia valore. Questo è qualcosa che non funzionerebbe mai con gli scimpanzé, che non scambierebbero mai un pezzo di carta per cibo, a meno che non lo riconoscano come tale.

6. La realtà duale degli umani

  •    Realtà oggettiva e immaginaria: Gli umani vivono in una realtà duale: una realtà oggettiva fatta di entità fisiche come fiumi e alberi, e una realtà immaginaria composta da entità come nazioni, dei e denaro.
  •    L'evoluzione delle finzioni: Con il passare del tempo, queste entità immaginarie sono diventate sempre più potenti. Oggi, la sopravvivenza degli elementi naturali dipende dalle decisioni di queste entità fittizie, come gli Stati Uniti e Google.
  •    Conclusione: Il successo dell'Homo Sapiens si basa sulla capacità di costruire e credere in realtà immaginarie che consentono la cooperazione su vasta scala, creando una società organizzata e complessa. Questo è ciò che distingue gli esseri umani dagli altri animali e ci ha resi i dominatori del pianeta.