2011/12: INFORMAZIONI PER CHI AVEVA 12 CFU E TUTTI GLI MP3 DELLE LEZIONI

martedì 12 agosto 2025

Cultura, Civiltà e doppio standard



Se ieri abbiamo provato a ripercorrere le radici storiche e politiche della crisi attuale in Medio Oriente, oggi voglio spostare lo sguardo su una lente interpretativa meno frequentata: la distinzione tedesca tra Kultur e Zivilisation — traducibile, con tutte le cautele del caso, come Cultura e Civiltà. Questa  opposizione, resa celebre da autori come Oswald Spengler e Thomas Mann, non è soltanto un esercizio erudito, ma può funzionare come una griglia analitica capace di far emergere le contraddizioni profonde del discorso occidentale sul conflitto israelo-palestinese.

In questo schema, Kultur è il radicamento organico di un popolo nella propria forma di vita, la coerenza interiore di un’identità che si difende; Zivilisation è la forma alta e impersonale dell’universale, la razionalità tecnica, la regolazione astratta delle differenze.

Per una certa parte del sostegno occidentale alla causa palestinese, la Kultur palestinese è un bene in sé. È radice, autenticità, resistenza organica a un ordine globale alieno: islamica, anticoloniale, orgogliosamente altra rispetto all’universalismo occidentale. Dall’altra parte, Israele è visto come Zivilisation pura: tecnocrazia oppressiva, astrazione universale che schiaccia le differenze.

Il problema comincia quando la Kultur ebraica, religiosa o comunitaria, si manifesta. Allora, di colpo, non è più “autenticità” ma “regresso”. Non è più “identità resistente” ma “integralismo”. Qui scatta il doppio standard: la Kultur palestinese è celebrata; la Kultur ebraica è respinta.

E la Zivilisation? Qui non c’è doppio standard: per la Civiltà, Israele è condannato in partenza. Viene percepito come l’incarnazione della forma più “astratta” e “violenta” di Civiltà: quella occidentale, bianca, capitalista, tecnologica. In questa visione, non c’è distinzione tra Tel Aviv e Wall Street, tra un laboratorio israeliano e la City di Londra: è tutto lo stesso “Occidente” da respingere. Tanto che persino i movimenti LGBTQI, che nulla conoscono della Kultur palestinese, si allineano con essa non per affinità culturale, ma per ostilità verso la Civiltà occidentale, accusata di non saper neppure rappresentare la condizione trans o queer se non nei termini del suo stesso “astrattismo” tecnologico.

Questo doppio standard sulla Kultur, e la condanna monolitica della Zivilisation, non sono solo vizi del giudizio politico: strutturano il modo stesso in cui si parla della questione. Entrano nelle immagini, nei titoli, nelle metafore. Producono un immaginario dove Kultur è libertà solo se appartiene a chi ci piace, e Civiltà è oppressione sempre, se a esercitarla sono i nostri nemici ideologici.

In fondo, se fosse una partita a Risiko, la mappa sarebbe già chiara: i Palestinesi, popolo di Kultur, resterebbero a difendere l’ultimo lembo di identità con fionde e metafore; gli Ebrei, popolo di Civiltà, dovrebbero presentarsi con cravatta e brevetto depositato, chiedendo scusa prima di tutto per essere così maledettamente occidentali e poi, una seconda volta, scusa se ancora pretendono di avere una storia. Poi, certo, la partita vera si gioca altrove, ma fa comodo a molti che resti una di quelle sfide dove uno vince solo se l’altro si dimentica di esistere.