Ieri, in macchina, mi sono concesso uno di quei piaceri da antico regime: la radio. Capita raramente, perché guido poco, ma quando succede può ancora regalarmi perle di puro imbarazzo. Stavolta è toccato a un omaggio a Franco Califano cantato da Mina, anno 1973, titolo Amanti di valore. La canzone – presentata come “una delle più belle” – era in realtà un disastro musicale, quindi ho fatto l’errore di concentrarmi sulle parole.
Peggio.
Il testo racconta di due che si incontrano
per un one-night stand con tanto di ideologia incorporata. “Amanti di
valore” perché scopano come ricci e, soprattutto, perché sanno che è una botta
e via: Un’altra notte uguale / Non si ripeterà / E certo non ci incontreremo
più / Come si fa / Fra amanti di valore. Fino a qui, amen: nell’italietta
pruriginosa del 1973, ognuno si arrangiava come poteva.
Poi arriva il colpo di genio: Torneremo
i due borghesi di sempre, noi / Quando andremo via da questa stanza dove / Morì
l’ipocrisia…
Borghesi, a chi?
Per permettersi la stanza d’albergo (e la
coca), stare svegli tutta la notte senza preoccuparsi della sveglia, fregarsene
di malattie e gravidanze indesiderate… serve un portafoglio borghese.
Sono le famiglie popolari, operaie, di borgata, quelle col
lavoro precario e i turni massacranti, che non possono nemmeno sognarsela una
notte così. Non certo chi può pagare babysitter, taxi e extra vari per
dedicarsi alla magnifica caccola identitaria detta “io”.
E qui entra in gioco la Teoria della
classe agiata di Thorstein Veblen: il sesso diventa un oggetto di consumo
da vantare e mostrare, un bene simbolico da esibire nelle scopate-volanti
come merce a disponibilità illimitata per chi ha il portafoglio (economico e
morale) abbastanza gonfio da poterselo permettere. Le one-night stands
di questo tipo sono forme di consumo vistoso (conspicuous consumption),
quasi sempre accompagnate da consumi alimentari altrettanto vistosi –
champagne, cene, sostanze – che sono la versione più ingente e plateale di
consumo ostentato. Tutto lo stile della canzone trasmette un’idea maledettamente
altoborghese, lontana anni luce dalla modestia e parsimonia (anche
sessuale) della piccola borghesia e delle classi popolari.
Negli anni Settanta la cosiddetta
rivoluzione dei costumi non ha fatto altro che portare le classi subalterne
al livello di spesa sessuale della borghesia. Il “popolo” non era più
casto: era solo più povero. E il consumo sessuale intensivo – quello con hotel,
drink, luci soffuse e possibilità di dire “non ci vedremo più” – nasce e
prospera dove ci sono i soldi. Un conto è limonare nel tinello mentre i
genitori sono a messa, o nel fienile con quella che “tocca” sposare se resta
incinta; un altro è diventare un “amante di valore” a pagamento, in contanti o
in carta di credito.
Perciò, leggere che i due torneranno
“borghesi di sempre” mi ha fatto salire il sangue agli occhi. Ma davvero tu,
che stappi champagne e ti fai una pista con una sconosciuta in décolleté prima
di pagare la camera, vedi come “borghesi” i poracci che non escono di sera
perché hanno l’affitto da pagare e il doppio turno in catena di
montaggio?
Ecco: la prossima volta che qualcuno mi
vende come poesia un’autocertificazione di privilegio, con sottofondo di
archi, vorrei almeno l’onestà di chiamarla per quello che è: marketing erotico
da ceto medio alto. Tutto il resto è
Califano.