Il dolore degli altri (e il mio)


Inizia con il titolo di una poesia di Billy Collins che amo perché dice la verità (sono sempre più innamorato della verità, costi quel che costi) e odio per lo stesso motivo, e mi fa sentire nudo sul serio, come dico nella mia, di poesia.
Ho scritto questa poesia in una vita precedente, avevo una famiglia (intesa come la intendeva Marzio Barbagli: persone che vivono sotto lo stesso tetto), avevo un'auto e addirittura con quella andavo a lavorare. I vicini sono cambiati, ma certi giorni il mio sguardo sullo sguardo degli Altri ha ancora lo stesso effetto.

Certi giorni
Io mi preparo come faccio sempre
Mi lavo piano, con una certa cura
Mentre penso alle cose che ho da fare
Organizzo la mia agenda nella doccia.

Poi viene l’ora di pensare ai bimbi
La colazione da inventare
Gli zaini di controllare
Hai fatto i compiti? Hai messo la sciarpa?
Tutto sembra normale fino al bacio
Di saluto del nostro rituale
“Impara e divertiti” questo dico a loro
Sperando che li aiuti
A gustare l’agrodolce della vita.

Ma mentre mi avvicino all’automobile
Mi rendo conto che, di nuovo,
un’altra volta, senza sapere come
ho lasciato tutta la pelle a casa.

Sono vestito, ho la giacca e le scarpe
La cravatta mi chiude la camicia
Ma sotto sono tutto in carne viva
E ogni sguardo, ogni fiato del mondo
Distilla acqua salata
sulla mia ferita.

C’è una signora anziana
Che passa sotto i portici a quell’ora
Con un cappotto di cammello morto
Con i capelli morti pure quelli
Si trascina il carrello della spesa
E dentro ha accumulato i suoi dolori
Di una vita qualunque
Quindi una vita vera.

Spero di non incrociarla in quei frangenti
Quando io sono senza alcun riparo
Ma i miei occhi senza palpebre si tuffano
Dentro la sporta di tessuto grigio.
Vedo l’artrite,
L'anca perennemente dolorosa
La figlia che non chiama più da mesi
Il marito davanti alla finestra
Morto da anni senz’essersene accorto
La muffa in cucina
La collezione di banane morte
E soprattutto, e mi si spezza il cuore,
Il diario iniziato mille volte
Quelle pagine che non sanno che dire
Neanche a sé stesse
E a poco a poco tacciono.

Vorrei abbracciarla ma il bruciore
È troppo forte e non resisto: scappo
Faccio tardi al lavoro stamattina
Ma devo ritrovare quella pelle
Che mi protegga che mi dia sollievo.

Certi giorni
La ritrovo in fondo al letto
E con cura me la sistemo tutta.
Esco senza parere
Saluto, se la incontro, la vicina
Col mio sorriso più professorale
Mi sento a posto con la mia corazza
Spunta un filino di mascella maschia
E sento anche un principio di erezione
Che mi assicura
Che ora controllo io la situazione.

Ma molte volte
A casa non ha senso ripassare
Tanto la pelle non si trova e basta.
Allora salgo in macchina guardingo
E mentre penso all’università
Non accendo la radio e guido piano.
Guardo solo la strada, tutto il tempo.
Non devo mai commettere l’errore
Di controllare nel retrovisore
Rischierei di incrociare gli occhi stanchi
Di un uomo un po’ ingobbito dal dolore
Che mi guarda con la sua carne viva
Mentre ripensa ad un cammello morto
Che gli somiglia più di quel che vuole.