La morte di Charlie Kirk segna una netta transizione simbolica che non mi pare abbiamo ancora compreso nella sua portata: il ritorno del Cristianesimo come fattore identitario nello spazio politico. Kirk, fondatore di Turning Point USA, è stato il volto più evidente di una generazione di conservatori americani che hanno riportato con determinazione la religione dal piano privato a quello pubblico, costruendo chiese, reti, scuole e media come infrastrutture di mobilitazione. Non solo fede personale, ma progetto politico di lungo periodo.
Questo dato va letto in parallelo con l’editoriale
che lo storico Niall Ferguson ha scritto l’11 settembre scorso per Free
Press (Giulio Meotti ne propone una sintesi sul Foglio del 22
settembre). In quel testo Ferguson ammette dopo un quarto di secolo ciò
che aveva sempre cercato di rimuovere: quel martedì 11 settembre non
fu solo terrorismo, ma il segnale di uno scontro di civiltà. Bin
Laden lo disse chiaramente:
era una guerra di religione.
Ferguson, cresciuto in un quadro laico,
ha cercato a lungo spiegazioni economiche o geopolitiche, ma oggi
riconosce che lo schema era religioso fin dall’inizio. Nello sviluppo di questa
nuova consapevolezza del grande storico britannico ha sicuramente giocato
un ruolo essenziale sua moglie, Ayaan
Hirsi Ali, somala e musulmana di nascita, cittadina olandese come rifugiata
scappata da un matrimonio
combinato, da un decennio anche cittadina americana, da un paio d’anni convertita con un certo
clamore al Cristianesimo e fondatrice di uno dei media “conservatori” emergenti,
il sito Courage Media, in cui il pensiero
conservatore anglosassone riconosce senza esitazioni le sue radici giudaico-cristiane
e, in particolare, la minaccia dell’espansione islamica.
Da alcuni decenni – sostiene Ayaan Hirsi
Ali – il mondo intero subisce l’assalto islamico – militare,
culturale,
demografico,
economico – e mentre Cina,
Russia
e India
hanno risposto a questo assalto sui loro territori con l’esercizio spesso brutale
della forza, i paesi occidentali a maggioranza cristiana hanno finora esportato la guerra (Afghanistan, Iraq, Palestina) mentre nella
politica interna hanno provato a rispondere alla crescente pressione
culturale della propaganda islamica solo con gli strumenti politici dell’appeasement,
del silenzio
complice, del politically
correct
e della
secolarizzazione,
evitando o reprimendo
tutte le prese di posizione più nette.
Ma il lavoro certosino di Charlie Kirk nel
guadagnarsi la fiducia (e il voto repubblicano) dei Gen Z con le sue discussioni nei campus universitari dimostra
che lo spazio politico occidentale si sta riorganizzando attorno a un controparadigma religioso:
non più soltanto la difesa di valori liberali, ma l’esplicita rivendicazione di
una identità cristiana come argine e come bandiera. Non ho idea
di che piega prenderà questa nuova forma di identità politico-religiosa. Come studioso della società e come cittadino ammetto di essere estremamente preoccupato,
ma credo sia arrivato il momento di prestare un’adeguata attenzione al nucleo
sempre più esplicitamente religioso del dibattito politico, e a quanto
quel nucleo si possa descrivere come una contrapposizione tra il crescente proselitismo
e pressione politica dell’Islam in occidente ed l’emergere di un Cristianesimo
reazionario (e dico reazionario in senso pragmatico, il giudizio morale
non mi interessa, non qui, almeno. Reazionario come Mary Harrington parla di
Femminismo reazionario).
Il cordoglio per la morte
di Kirk in quanto
cristiano ha mostrato quanto questa identità sia condivisa e
quanto riesca a saldare comunità disperse e a produrre reazioni piuttosto polemiche e esplicitamente critiche
dell’Islam. Perché se
lo scontro di civiltà è stato a lungo negato in nome di una politica del tutto
secolarizzata, oggi si ripresenta nella sua forma più nuda: scontro di
religioni. Da una parte il potere di un Essere Supremo che è prima di tutto un Padrone (Allah), dall’altra il
potere di un Essere Supremo che si dichiara Padre (Yahweh/Dio). I nodi stanno venendo a pettine, e
Charlie Kirk li sapeva enfatizzare
come pochi. Il fatto che sia stato ucciso rischia di produrre un effetto catastrofico,
cioè che i suoi epigoni o
seguaci, meno dotati di lui per intelligenza e capacità retoriche, possano
pensare che la guerra non sia più solo una metafora.