L’invenzione del sassofono (poesia di Billy Collins)

Non sono un grande appassionato di jazz e il sax non è mai stato tra i miei strumenti preferiti. Forse è proprio per questo che amo particolarmente questa poesia: perché Collins riesce a farmi entrare in un mondo che normalmente non mi appartiene. Come antropologo, sono abituato a cercare di intrufolarmi nei sentimenti degli altri, a provare – per dirla con Thomas Nagel – a capire “cosa vuol dire essere un pipistrello”, e cioè a guardare il mondo dalla prospettiva di un altro. Questa poesia mi piace perché, con leggerezza e ironia, mi fa percepire la bellezza di un genere musicale e di uno strumento a cui, di solito, non dedico molta attenzione. Collins mi prende per mano e, con poche immagini precise, mi mostra la magia notturna e sensuale del sassofono: una magia che io da solo non avrei mai saputo vedere.

 

Fu Adolphe Sax, ricordate,
non Saxo Grammaticus, a ricevere l’ovazione.
E quando ebbe finalmente messo assieme tutti i pezzi–
la forma serpentina, l’ancia singola,
l’incastro delle dita,
l’inclinazione verso l’alto della campana dorata –
era già il 1842, e ho come l’impressione
che fosse anche di notte, e molto tardi.

C’è qualcosa di notturno in quel suono,
qualcosa letteralmente corno-so,
come forse notarono quel giorno memorabile
in cui le prime strane note uscirono ciondolando dal suo studio
nella piccola città oscurata,

richiamando alle finestre gli insonni (che erano lì,
in attesa dell’invenzione del jazz),
ma lasciando indisturbato chi dormiva,
anzi facendo più calde e più profonde le acque dei suoi sogni.

Perché questo non è lo strumento a pistoni della sveglia,
piuttosto la voce affumicata della nostalgia e della mancanza,
il grido di un delfino dal subconscio.
A nessuno verrebbe in mente – senza ironia
di suonare la sveglia militare con un sax tenore.
Gli uomini rimarrebbero solo sdraiati nelle loro brande di metallo,
le dita intrecciate dietro la nuca,
a galleggiare su pozze di ricordi e desideri.

E quando sarà il momento di risvegliare i morti,
non vedrete Gabriele agganciarsi al collo numinoso un sax contralto.
Un angelo che suona l’ultima canzone del mondo
su un luccicante sassofono potrebbe bastare
a riportarli alla superficie,
ma di certo non oltre.

Una volta resuscitati, si sdraierebbero soltanto
nell’erba alta del cimitero
o si appoggerebbero da soli contro un tasso lugubre,
lasciando che sia la musica a farli risalire
come serpenti incantati che salgono a spirale dai loro cesti
invece di aspettarsi l’acuto assolo di tromba
che li spazzerà via verso il Regno eterno.