Le R e le L della parentela: ultima lezione, ultimi inciampi cognitivi

 

Antropologia culturale Modulo A Lezione 16 registrata il 5 novembre 2025

Ultima lezione del Modulo A (in realtà è una lezione extra, o lezione bonus, come l’abbiamo chiamata in omaggio alla florida mercificazione di qualunque cosa), e siamo finiti dentro il culmine della parentela comparativa, quel punto esatto in cui gli studenti capiscono che non basta ricordare i simbolini dei grafi: bisogna anche capire perché il mondo li usa in modi così diversi.

Il nodo più importante, oggi, era la distinzione tra cugini paralleli e cugini incrociati. Una distinzione che per noi è trascurabile quanto la differenza tra R e L per un parlante cinese, ma che in una società a discendenza unilineare decide il confine tra incesto e matrimonio, tra noi e loro, tra chi “fa parte del gruppo” e chi ti conviene sposare. È una cosa buffa, se ci pensate: noi che ci crediamo liberi e romantici, loro che usano le genealogie come un algoritmo sociale. E però il loro mondo, spesso, funziona molto meglio del nostro.

Abbiamo parlato anche di adozione, paternità sociale, maternità legale, e di quanto sia povero il nostro immaginario quando riduciamo la parentela alla genetica. I sistemi tradizionali, invece, inventano di tutto: latte condiviso, fratellanze rituali, paternità “di investimento”, linee uterine che governano l’eredità. Tutta roba profondamente culturale, e che ci obbliga a rivedere l’idea stessa di “natura”.

Poi siamo passati ai quattro grandi modelli terminologici:
il Hawaiano che appiattisce tutto su “questa generazione” vs “G+1 e G-1”,
l’Eschimese che è il nostro (stesso nome per tutti gli zii, distinti dal nome per i genitori)
l’Irochese che chiama “genitori” gli zii paralleli e “fratelli” i cugini paralleli, ma distingue il lato paterno da quello materno,
e il Sudanese che distingue tutto, perfino ciò che noi non vediamo più (gli zii paterni da quelli materni, i cugini incrociati da quelli paralleli, ma anche i paterni dai materni).
Qui gli studenti si dividono sempre: c’è chi trova tutto questo “complicato” e chi, finalmente, capisce che la complicazione è la bellezza del pensiero umano. E che la thick description serve proprio a questo: entrare nella testa dell’altro senza perdere la propria.

In chiusura, ho ribadito che l’antropologia non serve a esotizzare le stranezze altrui, ma a smontare le nostre. La parentela è un cantiere culturale, non un destino biologico, e noi – che viviamo in sistemi cognatici a cipolla – siamo spesso i meno attrezzati a vederlo.

Domani si toccheranno nuovi temi, del modulo B. Oggi, almeno per un’ora e mezza, ci siamo ricordati che le R e le L della parentela non stanno nei libri, ma nel modo in cui gli esseri umani producono legami, danno forma all’appartenenza e decidono chi può amare chi.