Dopo le marce e le polemiche, dopo i distinguo e i confondo, forse è il caso di ribadire un concetto.
Lo stato di Israele è uno stato inventato.
Uno stato creato a tavolino.
Artificiale. Praticamente finto.
COME QUALUNQUE ALTRO STATO DEL MONDO (chiedere a Thomas Jefferson e ai nativi per gli USA, a Luigi XVI e ai suoi prefetti per la Francia, oppure chiedere ai baschi e ai catalani in Spagna, ai ceceni e a mille altri in Russia, ai tirolesi, agli arbresh, ai sardi, ai catalani, ai ladini, agli sloveni, ai provenzali, ai grecani ai cimbri e Dio sa quanti altri in Italia). Lo stato di Israele ci ricorda che “stato naturale” è, più che un ossimoro, una cazzata.
Nonostante gli ignoranti e i mistificatori dicano l’opposto, Israele non è uno stato confessionale (anche se accetta partiti politici confessionali) e la sua stessa esistenza sta lì a ricordarci che qualunque forma di convivenza sociale è un prodotto della storia e della cultura degli uomini, non un diritto naturale. Che i palestinesi (inventati pure loro, ricordiamocelo) abbiano diritto a un loro stato è ora una necessità politica, ma io spero che non vinca l’apartheid del “due popoli due stati” (verificate che risultati ha prodotto in Irlanda, o nella ex Jugoslavia, questa politica deleteria), e spero che ci saranno ebrei in Palestina come ci sono arabi in Israele, e che sia la cittadinanza (non la lingua o la religione) a fare da collante sociale in entrambi gli stati. Chiunque insiste sulla natura “fittizia” dello stato di Israele come argomento delegittimante non si rende conto (spero) di portare acqua al mulino del nazionalismo naturalista, che è quello che produce pulizia etnica, sterminio e dolore. Se lo stato di Israele non esistesse, ohibò, bisognerebbe inventarlo.
PS Questo non è un giudizio sulla politica di Israele, ma una riaffermazione della sua legittimità ad esistere.
Ho insegnato a Venezia, Lubiana, Roma, Napoli, Firenze, Cosenza e Teramo. Sono stato research assistant alla Queen's University of Belfast e prima ho vissuto per due anni in Grecia, per il mio dottorato. Ora insegno a Tor Vergata e nel campus romano del Trinity College di Hartford (CT). Penso che le scienze sociali servano a darci una mano, gli uni con gli altri, ad affrontare questa cosa complicata, tanto meravigliosa quanto terribile, che chiamano vita.