Guardavo King Kong di Peter Jackson in dvd assieme a mia figlia Rebecca, quasi cinque anni.
Carl, uno dei personaggi principali del film è un regista spiantato e fanfarone, che per una serie di traversie si trova a filmare attori vanesi, tirannosauri, insettoni e King Kong.
Rebecca – Che fa quel signore?
Io – Fa delle riprese, fa un film.
Rebecca – Ah! Sta facendo il secondo film?
Non capisco bene cosa voglia dire, ma credo si riferisca alla distinzione tra questo film, che stiamo guardando, e quello che filma lui.
– Sì, sta facendo l’altro film, un film dentro il film.
Dopo un’inutile scena di dinosauri in fuga (non sono contro gli effetti speciali, anzi. Solo che il film è così bello come storia, così ricco di spunti metafilmici sul rapporto con l’alterità, umana e animale, che proprio non si capisce perché aggiungerci scene del tutto superflue che lo riducono narrativamente a un b-movie in certi passaggi) la cinepresa di Carl si trova a terra, con tutta la pellicola (bruciata) sparpagliata in giro. Vista la faccia distrutta di Carl, mia figlia chiede spiegazioni.
– Vedi, la pellicola si è tutta bruciata, perché era una cinepresa vecchia, di una volta, e quindi Carl ha perso tutte le riprese che aveva fatto. Ha rovinato il film che stava facendo.
– Ma no, lo vedi che è a colori? Questo è un film nuovo, mica vecchio. Fanno finta di essere vecchi. Quindi King Kong 2 lo stava facendo con una macchina nuova come quella che hai tu e quindi non si rovina la pellicola.
¬– King Kong 2?
– Certo. Questo che vediamo è l’uno, e lui stava intanto facendo il due. Papà, non capisci proprio nulla.
Sedotta dalla serie infinita di sequel in dvd dei cartoni animati (hanno osato pure fare Peter Pan 2!) Rebecca aveva interpretato la presenza della cinepresa dentro il film come una garanzia dell’esistenza di un sequel. Di cui ha iniziato a chiedermi notizia.
Ho insegnato a Venezia, Lubiana, Roma, Napoli, Firenze, Cosenza e Teramo. Sono stato research assistant alla Queen's University of Belfast e prima ho vissuto per due anni in Grecia, per il mio dottorato. Ora insegno a Tor Vergata e nel campus romano del Trinity College di Hartford (CT). Penso che le scienze sociali servano a darci una mano, gli uni con gli altri, ad affrontare questa cosa complicata, tanto meravigliosa quanto terribile, che chiamano vita.