Mi ha fregato. Avevo detto che accettavo scommesse sul fatto che le dimissioni di Gustavo Selva sarebbero state respinte dal Parlamento, corporativo come un sol uomo in questi casi. Mi ha fregato perché il mitico democristiano di AN ha visto bene di evitare il rischio (forse spaventato dalle iniziative messe in piedi contro il suo disinvolto modo di utilizzare l’ambulanza come taxi, e di raccontarlo pure, dopo) ritirando le sue dimissioni. Ma ci ha spiegato il motivo: le migliaia di lettere e email, “soprattutto dal Veneto”, che gli chiedevano di restare. Per questo l’ha fatto. Per spirito di servizio.
Un’ulteriore conferma del vuoto pneumatico che lo isola dalla realtà. Come non si è reso conto che raccontando la sua bravata in ambulanza avrebbe scatenato un casino, così ieri non si è reso conto che spacciando la stronzata delle “migliaia di lettere e email, soprattutto dal Veneto” non può che farci incazzare. Tutti. Soprattutto a chi, come me, ha la maledetta sfiga di "venire dal Veneto". Anche quelli di AN, spero.
Quel che uno sospetta, veramente, è che il sentire di Selva sia ampiamente maggioritario tra i membri della sua tribù di politici professionisti: il senso di un privilegio costante e irrefrenabile.
E a noi sempre quello resta: dacci oggi il nostro sdegno quotidiano.
Ho insegnato a Venezia, Lubiana, Roma, Napoli, Firenze, Cosenza e Teramo. Sono stato research assistant alla Queen's University of Belfast e prima ho vissuto per due anni in Grecia, per il mio dottorato. Ora insegno a Tor Vergata e nel campus romano del Trinity College di Hartford (CT). Penso che le scienze sociali servano a darci una mano, gli uni con gli altri, ad affrontare questa cosa complicata, tanto meravigliosa quanto terribile, che chiamano vita.