Prendo spunto da un bel post di un’amica (che affronta da pasionaria un tema collegato), per sintetizzare il mio disagio corrente, che diventa anche un modo di rispondere a qualche (altro/a) amico/a che mi aveva sollecitato a una maggior partecipazione a certe iniziative in rete.
Da qualche tempo ho preso l’abitudine di non rimanere più collegato a internet tutto il tempo che sono davanti al computer. Soprattutto, quando inizio a lavorare, al mattino, NON controllo la posta elettronica e non controllo il mio aggregatore per nuovi post. In questo modo, mi metto a lavorare a un unico obiettivo, e vedo che funziona, dato che il mio livello di produttività sale vertiginosamente, il mio livello di stress scende di conseguenza ed è meno probabile che alle tre di notte sia ancora davanti al pc a smadonnare perché non ho finito il lavoro che devo spedire domani mattina oppure ad alienarmi con l’ennesima partita di Asteroids.
Non dico che per tutti debba essere così. È probabile che personalità più salde della mia abbiano gli strumenti per non naufragare sistematicamente nel mare della rete, ma per me – e mi pare anche per altri, a leggere in giro – non è così, e la semplice possibilità di cliccare su qualche cosa che potrebbe vagamente avere attinenza con quel che faccio in quel momento è una sorta di imperativo a cliccare, con conseguente dispersione totale di quel che sto facendo. Se, ad esempio, traduco e sono online, ogni dubbio diventa un mare magnum nel quale mi lancio, a fondo (affondo). Se invece sono offline mi segno a parte i veri dubbi. Poi, alla fine, diciamo dopo quattro ore di vero lavoro, mi collego e mi metto a cercare le informazioni che mi servono per risolvere i dubbi che mi sono annotato.
Certo, in questo modo leggo meno post, e questo per certi versi è un male. Ma, di fatto, mi accorgo che leggo quel che mi serve di più (o mi piace veramente). Soprattutto, non ho più il minimo tempo da buttare per twitter o altre cazzate. Il social networking è divertente quando hai tempo di farlo, ed è improbabile che di tempo vero per cose del genere ce ne resti dopo il compimento del 24esimo anno d’età (o il conseguimento della laurea), a meno di non sottrarlo al lavoro, cosa che mi pare insensata non solo se si è veramente schiavi del lavoro, ma anche se dal lavoro si vuole essere veramente liberi. Ora non twitto più, ma vedo che telefono più spesso a quelle cinque-sei persone cui tengo e che sono lontane. Non passo tante ore a navigare, ma mi resta un sacco di tempo in più per qualche spritz con la mia compagna. Insomma, ho bisogno di una pedagogia della rete, o di una disciplina, per usare una parola fuori moda.
Ho insegnato a Venezia, Lubiana, Roma, Napoli, Firenze, Cosenza e Teramo. Sono stato research assistant alla Queen's University of Belfast e prima ho vissuto per due anni in Grecia, per il mio dottorato. Ora insegno a Tor Vergata e nel campus romano del Trinity College di Hartford (CT). Penso che le scienze sociali servano a darci una mano, gli uni con gli altri, ad affrontare questa cosa complicata, tanto meravigliosa quanto terribile, che chiamano vita.