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lunedì 5 maggio 2008

Effetto Rutelli


Ho votato Rutelli, anche al ballottaggio, e a una settimana dal fattaccio vorrei dire la mia. Non mi piace come sia passata senza ostacoli l’interpretazione che “Rutelli ha perso sulla sicurezza”. Dopo l’uscita sul braccialetto elettronico, e dopo aver “rinfacciato” ad Alemanno di essere colpevole di aver regolarizzato centinaia di migliaia di immigrati che lavoravano in Italia senza permesso di soggiorno, non si capisce proprio cos’altro poteva fare il bel mascelluto sulla sicurezza (riaprire le camere a gas?). A guardare le cose con un filo di distacco (no, proprio non ce la faccio a strapparmi le vesti perché ha vinto Alemanno) mi sembra che ci siano stati due fattori del tutto trascurati nell’analisi, che hanno contribuito, uno al primo turno, e l’altro al ballottaggio, alla sonora sconfitta del Partito Democratico romano.

1. Il primo fattore lo chiamerei semplicemente “effetto Rutelli” e si misura con lo scarto tra la percentuale bulgara dell’ultimo Veltroni capitolino e lo striminzito 44 per cento di Rutelli al primo turno. Le migliaia di voti perduti sono conseguenza del fatto puro e semplice che a Roma Rutelli è stato vissuto come un candidato bollito, vecchio, stantio, rifritto, senza un minimo di appeal. Alemanno gli è stato alle calcagna al primo turno semplicemente perché era quello “contro Rutelli”, e se avessero candidato me nelle liste del popolo delle libertà avrei preso più o meno lo stesso. Rutelli se ne è andato da Roma che doveva fare sfaceli nell’Ulivo, e invece l’abbiamo visto diventare un margheritiano sempre più di palazzo, sempre meno in giro in motorino (per non parlare della bicicletta). Eletto sindaco come ex radicale, ex verde, a Roma nel 1993 Rutelli dava l’impressione del nuovo in agguato. Eravamo in piena Mani Pulite, e ci sembrava (era, ovviamente) una faccia onesta, che per la prima volta potevamo votare “noi”.
Nel 2008 Rutelli sembrava lo zio pedante e rancoroso di quel giovanotto. Una maschera da Vecchio Regime. Io “mi sono turato il naso” e l’ho votato, ma molti altri semplicemente non ne hanno visto la ragione. Tutto qui.

2. Al secondo turno, invece ha pesato in maniera fondamentale quel che la sociologia dei media chiama spirale del silenzio. Elisabeth Noelle Neumann ha individuato questo meccanismo negli anni Settanta (il libro è tradotto da Meltemi, una sintesi della sua teoria si trova in Mauro Wolf, Gli effetti sociali dei media, Milano, Bompiani, 1992, pp. 65-78) e si può riassumere in una formula:
una porzione rilevante del pubblico comincia a credere vero quel che crede che gli altri credano.

In pratica, la vittoria di Berlusconi ha fatto sì che molti, a Roma, abbiano cominciato a pensare che “forse Alemanno ce la può fare” e tra gli indecisi questo si è presto tradotto in “Alemanno vincerà le elezioni”. Dato che per molti tra questi soggetti indecisi un fattore fondamentale di scelta del voto è la gratificazione di aver votato per la parte “giusta” (cioè per chi ha vinto), convinti che avrebbe vinto Alemanno, hanno votato per Alemanno per poter dire (in cuor loro più che pubblicamente) di essersi schierati dalla parte del vincitore. Noelle Neumann racconta come scoprì sulla sua pelle questo meccanismo alle elezioni tedesche del 1965: aveva previsto (sondaggi alla mano) un testa a testa tra Cristiano Democratici e Socialdemocratici, ma i primi vinsero con oltre 10 punti di scarto (do you remember?) perché quasi tutti gli indecisi, una volta che cominciò a consolidarsi silenziosamente l’idea che avrebbero vinto i Democristiani, votarono effettivamente per quelli che loro erano sicuri avrebbero vinto, e che con il loro comportamento in effetti vinsero. Dico che per Alemanno è valsa la stessa regola.

Ci tengo a proporre questa mia interpretazione degli ultimi fatti elettorali anche per dare qualcosa da pensare ai Democratici che non sia semplicemente come affrontare la “questione sicurezza”. Certo, avrà avuto un suo peso, ma non quanto l’effetto Rutelli e la spirale del silenzio. Magari la prossima volta propongono un candidato scelto con le primarie e organizzano la campagna elettorale su temi loro, senza andare a rimorchio di quelli del rivale. E senza fare a gara a chi ce l’ha più duro con gli immigrati.