Questa lettera mi è arrivata da Giusy Muzzopappa qualche giorno fa, il 28 luglio per la precisione. E' importante, ed è anche bella.
Stamattina al campo rom Casilino 900 si è svolta una conferenza stampa per la presentazione del progetto "Savorengo Ker - La casa di tutti". Si tratta di un'iniziativa portata avanti dall'Università di Roma Tre e dall'associazione Stalker - Osservatorio Nomade in collaborazione con i Rom del Casilino 900. Gli animatori del progetto si sono posti come obbiettivo l'elaborazione di una risposta concreta ai due problemi fondamentali delle comunità rom in Italia: quello abitativo e quello lavorativo. Partendo dalla constatazione del fallimento delle proposte abitative alternative al campo che sono state avanzate nel corso degli anni, alcuni architetti e urbanisti dell'Università di Roma Tre e l'associazione Stalker hanno pensato di dare vita a una sinergia creativa con i rom del Casilino 900, ponendosi innanzitutto delle domande riguardo le concezioni abitative specifiche dei rom, il loro rapporto con lo spazio abitato, con la stanzialità, con le problematiche connesse alla sicurezza e alla legalità. Da questo confronto è scaturito il progetto della Savorengo Ker, la "casa di tutti", una casa di 70 metri quadri, costruita interamente in legno su due livelli, assolutamente a norma dal punto di vista delle normative vigenti e soprattutto realizzata con costi inferiori rispetto a quelli necessari all'acquisto di un container (che invece, essendo una soluzione concepita per essere temporanea, non gode degli standard di sicurezza e messa a norma di cui necessita un'abitazione). La cosa più importante nella realizzazione di questo progetto è stata l'aperta e assoluta collaborazione delle associazioni e delle istituzioni che hanno proposto il progetto con i residenti del campo Casilino 900: nella fase di progettazione e in quella della realizzazione rom e gagè hanno collaborato, lavorando fianco a fianco, confrontandosi e trovando un percorso comune che si è infine materializzato nella "casa di tutti".
Alla conferenza stampa di questa mattina sia il sindaco di Roma Alemanno che il prefetto avevano assicurato la loro presenza, ma le cose sono andate diversamente. Sindaco e prefetto hanno infatti preferito incontrare il comitato di quartiere formatosi per protestare contro alcuni roghi che in questi ultimi giorni sarebbero stati appiccati ad alcuni mucchi di pneumatici adiacenti al campo, e in generale contro la presenza del campo rom nel loro quartiere. Le istituzioni della città erano presenti solo attraverso il massiccio dispiegamento di forze dell'ordine che presidiavano il campo, forse per "proteggere" i numerosi giornalisti e il pubblico presente dai rom, notorio pericolo pubblico nella nostra città. La conferenza stampa si è svolta ugualmente, in uno spazio allestito accanto alla casa, in mezzo agli abitanti del campo, alle donne, ai bambini e agli uomini che hanno lavorato alla costruzione della casa, a titolo gratuito, per quasi un mese. Al termine della conferenza, poco prima del momento di svago e di festa che avrebbe dovuto aprirsi con una foto di tutti i presenti davanti alla casa, è stata notificata un'ordinanza del comune che intimava la cessazione immediata dei lavori (ormai finiti) per irregolarità nei documenti presentati. I realizzatori del progetto avevano fatto esplicita richiesta, al momento dell'inizio dei lavori, della DIA (la Denuncia di Inizio Attività) per fini espositivi: questo significa che la casa è stata realizzata nella piena consapevolezza che si stava realizzando un simbolo, una sorta di modellino su scala 1:1, che l'intero progetto aveva uno scopo puramente dimostrativo, era una sperimentazione di una possibile via alla soluzione del problema abitativo e lavorativo dei rom. Questo aspetto non è stato evidentemente compreso dalle istituzioni che hanno pensato bene di frustrare due volte la manifestazione di stamattina, disertandola fisicamente e rendendola apparentemente illeggittima sotto lo sguardo dei media che sono accorsi. La notifica dei vigili urbani in concomitanza con la conferenza stampa non ha, a mio avviso, nessun altro intento che non sia quello intimidatorio.
Le proteste e le considerazioni dei rom lasciavano trapelare amarezza e rassegnazione, oltre che rabbia. Un simile sforzo, non solo materiale (ricordiamo che la casa è stata realizzata con il lavoro assolutamente volontario dei rom del campo) ma anche culturale, di apertura e confronto con un mondo percepito sempre e a ragione come ostile, è stato accolto dalle istituzioni con un atteggiamento di chiusura e di ostilità. Non era questa la reazione che il progetto meritava, tanto più che gli organizzatori hanno più volte sottolineato il carattere sperimentale, e dunque aperto a critiche, modifiche e correzioni, dell'intero progetto. Quello che si è voluto punire è stato un esempio di cittadinanza praticata e partecipata, che ha visto la collaborazione di gruppi che ormai siamo abituati a considerare inesorabilmente separati, appartenenti a due mondi completamente diversi. Si è punita la proposta di dialogo su basi concrete, a partire da problemi che nessuno nega, ma che evidentemente qualcuno vuole perpetuare, ostinandosi a proporre come unica soluzione quella dell'allontanamento, dello sgombero. Dialogare con l'altro è indubbiamente più faticoso e a volte frustrante che rifiutare l'incontro e limitarsi a vivere nel proprio guscio. Ma le due vie, quella del dialogo e quella della chiusura all'altro, sono solo in apparenza alternative. In realtà non esiste alcuna alternativa al dialogo e alla ricerca di soluzioni condivise, perché, come scriveva lo scrittore africano Cheikh Amidou Kane, "non abbiamo avuto lo stesso passato, noi e voi, ma avremo rigorosamente lo stesso futuro. L'era dei destini singoli è compiuta".
Sarebbe ora che tutti capissero la semplice verità di queste parole.
Un abbraccio a tutti
Giusy