Fino
allo scorso anno accademico la valutazione degli studenti, per i miei moduli di
Antropologia culturale, veniva effettuata con una prova scritta di dieci
domande a risposta aperta su tutto il programma. Da quest’anno, visto il numero
degli studenti (si sommano infatti gli ordinari studenti in corso a Tor Vergata
e gli studenti del Percorso
Formazione Insegnanti; ormai gli iscritti ad Antropologia culturale si
contano nell’ordine delle centinaia, ben oltre ottocento lo scorso anno, siamo
a quota 450 quest’anno, senza ancora gli iscritti del Percorso Formazione
Insegnanti che arriveranno ora) sono stato costretto a cambiare metodo di
valutazione, con un test
a risposte multiple e solo due domande aperte. Ma ancora continuano a sostenere
l’esame studenti residuali dello scorso anno, cui sottopongo la vecchia prova
con dieci domande aperte.
Una
domanda, l’ultima, dell’ultimo appello, faceva così:
Perché la presenza straniera tra gli squatters a Roma eccede di molto la loro percentuale media sul territorio e quale ruolo attribuiscono a questa presenza i leader delle occupazioni e i mass media?
La domanda (che in realtà ripropongo uguale ad
ogni appello, visto che tratta dell’unico argomento che non ho spiegato a
lezione ma che gli studenti devono affrontare per conto loro) fa riferimento a
un testo che ho scritto nel 2015 (“Cosmopolitismi
liminari. Strategie di identità e categorizzazione tra cultura e classe nelle
occupazioni a scopo abitativo a Roma”, ANUAC, 4, 2:
130-156. ISSN: 2239-625X –DOI: 10.7340/anuac2239-625X-1978) per cercare di
raccontare le diverse economie morali (vale a dire i sistemi di giudizio e il
loro modo di circolazione) di fronte alla presenza straniera tra gli occupanti
a scopo abitativo. Il saggio parte dalla considerazione puramente statistica
(un “dato”, dunque) che se a Roma ci sono circa il 12% di stranieri residenti
rispetto alla popolazione, nelle occupazioni questo numero schizza ad oltre il
50%. Il numero di stranieri occupanti, dunque, non ha nulla a che fare con il
modo in cui esso viene giudicato o rappresentato. La domanda infatti implica un
dato di fatto (che gli squatters stranieri siano in percentuale maggiore degli
stranieri tout court a Roma) e chiede
che giudizio danno di quel dato di fatto da un lato i leader politici delle
occupazioni a scopo abitativo (in sintesi, dico che ne danno un giudizio
positivo ma tendono a sottovalutare il senso della diversità culturale di cui
quegli stranieri sono portatori, per accentuare invece la loro condizione di
classe) e dall’altro il sistema della comunicazione (in sintesi, dico che i
media esasperano la presenza straniera nelle occupazioni e anzi alterizzano
proprio l’azione dell’occupare come fosse una nuova tendenza indotta dagli
stranieri, e non invece quel che è, vale a dire una tradizione italiana e anzi
romanissima, visto che l’emergenza abitativa costituisce la storia di Roma da
quando è capitale italiana, che ha semplicemente accolto gli stranieri come
nuova massa critica).
Il
saggio, dunque, su questo aspetto è lineare: c’è un dato di fatto che viene letto
moralmente in modo antitetico dai suoi protagonisti politici e dai responsabili
pubblici della sua rappresentazione. Ovviamente, leggo di tutto nelle risposte,
spesso perché, nonostante le mie raccomandazioni, molti studenti tendono a
studiare solo quel che ho spiegato in classe e reso disponibile in formato mp3. Ci sono arrampicate sugli specchi,
confusioni imbarazzanti (spesso chi non ha letto pretende di spiegare perché ci
siano “così tanti stranieri a Roma”) ma a volte mi capita di leggere cose più
preoccupanti, come questa:
Secondo i leader delle occupazioni e i mass media la presenza degli stranieri tra gli squatters a Roma eccede di molto la loro percentuale media sul territorio per la peculiarità con cui è sorta e si è poi diffusa l’edilizia delle periferie.
Non voglio proseguire (lo studente poi dirà
che le “urbanizzazioni inesistenti o scarse hanno visto proliferare l’illegalità
e l’assenza delle istituzioni”, e ormai è luogo comune il nesso tra illegalità e
immigrazione, sancito nella condizione del “clandestino” che le condensa in un
unico simbolo) e mi accontento di analizzare questa frase di apertura. Non vale
neppure la pena di notare che “leader” e “mass media” sono accorpati in un
giudizio unanime (“Secondo i leader delle occupazioni e i mass media”), anche se il saggio dice l’esatto opposto.
Dobbiamo invece prestare attenzione a quel “Secondo” iniziale, che trasforma il
dato in un giudizio. La struttura logica della domanda era:
Ci sono tanti stranieri tra gli occupanti (dato)Perché i leader politici tendono a sottovalutare la loro presenza e i mass media invece la sopravvalutano (giudizio morale)?
La
domanda si è ribaltata in questa risposta:
Roma è stata costruita da schifo, dando spazio all’illegalità (dato)E quindi
Secondo i leader e i mass media ci sono tanti stranieri tra gli occupanti (giudizio morale)
La
numerosa presenza straniera tra gli
squatters (che nella domanda era un punto di partenza dato) diventa nella
risposta una valutazione di ordine morale promanata dal Popolo: leader politici
e giornali assieme hanno detto che ci sono troppi
stranieri in città.
La
cosa moralmente eccepibile diventa la presenza straniera, non il giudizio
conflittuale tra leader e mass media, e l’edilizia immorale di Roma diventa un
dato di fatto che giustifica il giudizio moralistico sull’eccesso di stranieri
che sguazzano nell’illegalità.
Questa
incapacità di distinguere una razionalità oggettiva (ci sono più stranieri tra
gli occupanti che tra i cittadini ordinari: chiamatela dato di fatto,
chiamatela realtà) da una razionalità soggettiva (ci sono troppi stranieri a Roma) è la fine della politica, che dovrebbe
essere il tentativo di far quadrare soggettività divergenti dentro un contesto
oggettivamente condiviso.
Come
professore (specifico sempre per i nostalgici renziani: sono solo un
professorino, ancora associato, e in più insegno una materiucola marginale come
l’antropologia culturale) mi sento profondamente chiamato in causa da sintomi
come questa risposta alla mia domanda, e mi chiedo che cosa dovrei fare. Di
fronte a chi mi dice che “a scuola non si fa politica” io, che una scuola
di politica la gestisco direttamente, cosa dovrei rispondere?
Che non devo parlare di occupazioni a scopo abitativo? Che non devo parlare di
immigrazione a Roma? Che dovrei tornarmene da bravo antropologo obbediente
nelle Trobriand e curarmi dei miei selvaggi mentre qui Coloro che La Sanno
Lunga si occupano delle Cose Importanti?