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martedì 5 giugno 2007

Leopardi e Berlusconi (e la questione nazionale)

Bene, è andata così. Io ho messo 50 euro e Berlusconi quelli che mancavano per arrivare a 100.000. Mi sembra di essere Troisi in Ricomincio da tre, quando parla al fratello ricco per il regalo del compleanno di mammà: “Io e nostra sorella mettiamo 50mila, tu metti 450mila…”
Sono contento, veramente. Antonio Moresco, che aveva creduto all’importanza di impegnarsi per questa battaglia, si chiede (tra il sorpreso e l’amareggiato) come mai abbia trovato risposta solo nella destra (prima Libero, che ha scritto della cosa, e poi Berlusconi che ha risolto la faccenda), e anzi ci racconta che un “famoso giornale di sinistra” (ma perché questa omertà? Ce n’è bisogno? O era Repubblica oppure, meno probabile, il manifesto, ce lo fa sapere, per cortesia?) a cui si era rivolto gli aveva fatto capire che la cosa non gli interessava proprio.
Quando avevo postato la prima volta su questa storia mi ero reso conto che non sapevo come scriverne. Parlando bene di Leopardi tradotto in inglese mi rendevo conto che avevo paura di cadere nel “retorico”, nel “nazionalismo” d’accatto.
E infatti mi sono censurato riscrivendo un paio di frasi in tono meno enfatico, dove non si capiva “quanto” mi attraesse anche emotivamente quest’idea di far leggere agli anglofoni la ricchezza di un uomo che ha scritto nella stessa lingua in cui scrivo io.
Diciamolo, e proviamo ad aprire veramente la “questione nazionale”. Proprio Leopardi (che l’aveva colta con lungimiranza) può essere il giusto spunto per dirlo: l’indifferenza “della sinistra” per questo caso specifico credo dipenda dall’incapacità storica della “sinistra italiana” di fare i conti con forme di appartenenza collettiva trasversali rispetto alla rigida appartenenza di classe. Lo dico a fiuto, ma lo dico anche con la “competenza” di uno che studia le appartenenze collettive, in particolare quelle nazionali ed etniche, da dodici anni. Mentre quella stessa questione è vissuta dalla “destra storica” come un proprio patrimonio.
Insomma, vale ancora il vecchio riflesso condizionato (determinato dagli sfaceli causati dalla retorica fascista in questo campo) per cui ogni cosa che vagamente puzzi di orgoglio nazionale, di amor di patria o di rispetto per la ricchezza culturale di una comunità nazionale viene sdegnosamente schifato da una parte e sensualmente corteggiato dall’altra.
Io la butto lì, ma sarà il caso che ci inventiamo un “patriottismo di sinistra”? Per uno che ormai dalla sinistra è sempre più lontano, forse sarebbe un modo per ricucire fili di discorso ormai sempre più tenui.