Al di là delle diverse posizioni (preoccupato da come il comunitarismo tenda a produrre una concezione reificata e fasullamente compatta di cultura, io propendo per l’individualismo di Habermas, che prova a mantenere il diritto alla propria cultura nell’ambito del dibattito della sfera pubblica, sottraendolo quindi alla dimensione giuridica dove lo collocherebbe invece Taylor) mi fa impressione più come mi immagino questi filosofi al lavoro:
sono esploratori ciechi di una terra sconosciuta, e a tentoni provano a dirci quel che sta giusto un passo più in là, così che possiamo evitare gli ostacoli più impervi, le buche, o anche solo di fare male agli altri che come noi stanno andando in quella direzione. Sono come volontari in avanscoperta, quel che ci riportano sono comunque idee approssimative, sperando che servano.
Lo dico ai miei studenti di Napoli. Proprio in questi giorni, in cui si bruciano campi nomadi e si preparano leggi che sembrano dare per scontata l’equivalenza tra clandestinità e crimine, io sto qui a raffinare strumenti analitici che sembrano veramente campati per aria. Forse, ma solo forse (e lo dico proprio perché non ho molto da dire “in concreto” su quel che sta succedendo in Italia in queste settimane), siamo, io e i miei studenti, come i biologi di un laboratorio, che mente fuori infuria una terribile epidemia, altro non possono fare che scrutare vetrini, impiantare colture e mettere a punto reagenti. Sperando, dentro l’assurda serenità della scienza, di trovare un rimedio al male lì fuori.