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Nel 1966 l'antropologa britannica Mary Douglas pubblicò un libro che è rimasto nella storia della disciplina e che è diventato uno dei libri di antropologia più noti e citati, Purezza e pericolo. In quel libro si sosteneva, con dovizia di esempi storici ed etnografici, che gli esseri umani hanno necessità di organizzare il mondo in cui vivono secondo criteri di ordine, e che il disordine è sempre percepito come sinonimo di sporcizia e di pericolo, foriero di ambiguità morale e anticipatore di veri collassi culturali. Ancora più interessante, il libro rivela la natura culturalmente condizionata del concetto di sporco, che invece noi tendiamo a considerare un dato di fatto oggettivo, dunque "naturale". Non sono insomma le cose ad essere più o meno sporche, ma il posto dove le troviamo, considerato più o meno adatto. Ad esempio, se vedete della terra sul pavimento di casa dite che il pavimento è sporco, ma se uscite in giardino non dite che il giardino è sporco perché è pieno di terra! Similmente, se entrate in classe e vedete un sacco di cartacce per terra, dite che l'aula è sporca, ma se quelle cartacce le trovate nel cestino non dite che il cestino è sporco.
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Se non ci credete, fatevi un giro negli spazi della ex facoltà di Lettere dell'università di Roma Tor Vergata.