I sottoscritti ricercatori della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Roma “Tor Vergata”, visto il contenuto del disegno di legge n. 1905, recante Norme in materia di organizzazione delle Università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario, così come approvato dalla Commissione VII del Senato della Repubblica, ribadiscono la validità delle considerazioni di fondo espresse dal Senato Accademico dell’Ateneo nella seduta del 19 gennaio 2010 e dal Consiglio di Facoltà di Lettere e filosofia nella seduta del 3 maggio 2010.
I motivi di dissenso e di forte preoccupazione sono acuiti dall’emanazione del decreto legge n. 78 del 31 maggio 2010 recante Misure urgenti finalizzate alla stabilizzazione finanziaria e alla competitività economica. Si disegna in questo modo un massiccio attacco a tenaglia al sistema universitario pubblico italiano che non può lasciare indifferenti coloro che ne hanno a cuore la salvaguardia e il progresso. Per questo si chiede a tutte le componenti dell’università di agire, per quanto nelle possibilità di ciascuno, non certo per difendere l’esistente ma per riformare davvero il sistema nella direzione richiesta dagli obiettivi strategici sottoscritti dall’Italia nel Consiglio europeo di Lisbona nel 2000.
In questo quadro che richiede decisioni urgenti i sottoscritti ricercatori assumono la posizione seguente.
La legge n. 133 del 2008 e il dl n. 78 del 2010 stanno compromettendo gravemente la funzionalità dell’università pubblica attraverso continui e pesanti tagli indiscriminati delle risorse per la ricerca e per il fondo di finanziamento ordinario. I dati elaborati dal Sole 24 ore (31 maggio 2010) indicano una riduzione del FFO per il 2011 pari al 17,2%, cioè 1,3 miliardi in meno, con una magra ripresa nel 2012 pari all’1,4% sull’anno precedente. Se s’includono il blocco pluriennale del reclutamento, la decimazione del turnover e l’inevitabile superamento generalizzato della soglia del 90% del bilancio per il funzionamento, emerge una prospettiva di drastica contrazione e soprattutto di scadimento qualitativo della ricerca e dell’offerta formativa. Strumentazione, biblioteche, mense, interventi sull’edilizia, servizi agli studenti e ai docenti ne subiranno le conseguenze. Si sfrutterà personale precario sottopagato in ogni settore nei nuovi limiti imposti (nel 2011 al più il 50% di quanto speso nel 2009), che imporrano, comunque, numerosissime espulsioni. Si renderà necessario aumentare le tasse d’iscrizione a un’università divenuta meno dotata e più cara.
Dietro il vaniloquio sulla “meritocrazia” e sull’“eccellenza” procede a grandi passi un’opera di screditamento e di smantellamento, cui contribuiscono una crescente burocratizzazione e una snervante incertezza normativa. Non si scorge alcuna intenzione di governare, mediante criteri autenticamente selettivi, un processo volto a migliorare l’efficacia, l’efficienza e la qualità della didattica e della ricerca, a innalzare la percentuale della popolazione italiana in possesso d’un diploma di laurea, a mettere al centro degli interessi una società e un’economia basate sulla conoscenza. Dietro la propaganda la realtà è costituita da uno strangolamento finanziario che rinvia unicamente a una strategia di disimpegno generalizzato dello Stato dal settore della formazione terziaria e della ricerca (uno Stato che già vanta dati assai poco lusinghieri in tutti i principali indicatori sulla formazione elaborati dell’OCSE), associato a un’ipotesi di parziale surrogazione con capitali privati. Resta in vigore, infatti, come una trappola tesa, la norma contenuta nella l. n. 133 del 2008 che consente la trasformazione delle università pubbliche in fondazioni di diritto privato, al contempo suggerisce chiaramente un percorso la norma contenuta nel ddl n. 1905 sulla presenza di almeno tre figure su undici esterne all’università, nominate dal Rettore, nel Consiglio di amministrazione.
L’atteggiamento sprezzante con cui il Governo guarda all’università ha trovato una nuova forma d’espressione nella misura del dl n. 78 del 2010 con cui tutti gli stipendi di ricercatori e docenti dovrebbero subire un blocco dell’adeguamento retributivo nel triennio 2011-13 e del conguaglio nel triennio 2010-12 senza possibilità d’un futuro recupero a differenza di quanto previsto per altre categorie del pubblico impiego. Una misura tanto più incisiva quanto più basso è lo stipendio. Una misura che genera inevitabili conseguenze sul trattamento di fine rapporto e sulla pensione. Di concerto il ddl 1905 si occupa di rendere triennali gli scatti d’anzianità fin qui biennali.
Si prendono a pretesto, ancora una volta, incoerenze, distorsioni e disfunzioni non per correggere e migliorare, ma, da un lato, per chiudere o accorpare corsi e sedi attraverso vincoli e coercizioni ciecamente quantitativi in luogo d’un progetto culturale coerente, dall’altro per cancellare sic et simpliciter il governo democratico dell’università, mettendone a repentaglio persino l’autonomia. Se di quest’ultima in più d’un caso s’è fatto in passato, purtroppo, un uso incauto, se essa deve certamente rispondere a precisi requisiti di responsabilità, la soluzione non può implicare che si riconduca tutto il potere al Governo (e, di fatto, più al Ministero dell’economia e delle finanze che a quello dell’istruzione, dell’università e della ricerca), al Rettore e a un Consiglio d’Amministrazione non elettivo, cui si affidano poteri estesissimi. Il ddl n. 1905 elimina o restringe drasticamente o depriva di poteri reali tutti gli attuali organi in cui si struttura il governo dell’università. In tutti la rappresentatività di tutte le diverse componenti universitarie viene soppressa.
Inoltre, così come sono contenute nel ddl n. 1905, presentano un profilo ambiguo la misura con cui l’attribuzione degli scatti d’anzianità viene sottoposta a una valutazione di cui non si specificano forme e natura e quella con cui s’istituisce ex novo un Collegio di disciplina e si affida al Rettore l’iniziativa dei provvedimenti disciplinari, invocando il regio decreto 31 agosto 1933, n. 1592, a proposito del quale l’Avvocatura dello Stato osserva che «sebbene mai esplicitamente abrogato, è da ritenersi ormai superato, per effetto della legislazione successiva».
I proclami ipocriti dalla ministra Gelmini sul merito, sulla trasparenza, sull’intacco dei cosiddetti poteri baronali, sulla valorizzazione dei ricercatori non trovano, insomma, alcun riscontro nel dettato del ddl n. 1905. Le procedure concorsuali conservano caratteri di contorta opacità, reclutamento e progressione di carriera restano di fatto confusi a dispetto delle enunciazioni, i ricercatori e i professori di seconda fascia sono estromessi da tutti o quasi i luoghi decisionali, in particolare quelli di maggior momento, i nuovi ricercatori sono precari assunti con un contratto triennale rinnovabile una sola volta, privi di qualsiasi garanzia di accesso al ruolo di professore associato anche nel caso di una valutazione positiva.
Quanto agli attuali ricercatori a tempo indeterminato, il ddl n. 1905 li destina all’esaurimento. Nel nostro Ateneo i ricercatori costituiscono più del 48% del personale docente, in Italia oltre il 40% (poco più di 25.000); nell’ultimo decennio, il loro numero è cresciuto progressivamente, con un tasso superiore a quello dei professori. Grazie al loro impegno, non dovuto per legge, nella didattica essi garantiscono nella nostra Facoltà, come nelle altre facoltà italiane, l’esistenza stessa di circa il 30% dell’offerta formativa. Oltre a svolgere compiti didattici “frontali”, essi lavorano nella ricerca e svolgono una quota prevalente delle funzioni organizzative nelle Facoltà, nei Dipartimenti e nei Corsi di studio; una percentuale consistente di loro svolge funzioni assistenziali nelle strutture sanitarie; nelle facoltà che sono maggiormente orientate alla formazione delle libere professioni, essi svolgono una funzione essenziale di raccordo tra il mondo della ricerca e quello dell’attività professionale. Ora, anziché accedere, come da più parti e da tempo viene richiesto, al pieno riconoscimento del loro ruolo docente con ciò che ne consegue in merito allo stato giuridico, il ddl n. 1905 imponeva inizialmente ai ricercatori a tempo indeterminato, oltre alla “messa in esaurimento”, l’obbligo, per soprammercato, della didattica frontale senza alcuna contropartita, accompagnato dallo schiaffo della cancellazione di qualsiasi aspirazione ad un avanzamento di carriera, poiché i nuovi ricercatori a tempo determinato si sarebbero giovati nei rari concorsi futuri d’un percorso preferenziale.
Prima ancora che il ddl n. 1905 iniziasse il suo iter parlamentare, in tutti gli atenei del nostro paese si è diffusa una grandissima preoccupazione e si sono levate voci di protesta; mozioni ed appelli sono stati approvati da Senati accademici, da Consigli di Facoltà, da Conferenze dei Presidi.
I ricercatori universitari, particolarmente colpiti dal provvedimento, hanno scelto di dare una forma concreta alla loro protesta: poiché ogni attività didattica valida per il conseguimento di crediti formativi può, a norma di legge, essere svolta dai ricercatori con il loro specifico consenso, ma non costituisce un’attività dovuta, è maturata la decisione, confermata dall’assemblea nazionale dei ricercatori universitari tenutasi a Milano il 29 aprile 2010, di dichiararsi indisponibili a tutte le forme di didattica frontale non obbligatoria.
Grazie all’estendersi delle iniziative di protesta a tutte le università italiane i punti del ddl n. 1905 più intollerabili per i ricercatori a tempo indeterminato sono stati emendati nella discussione parlamentare. Ma i ricercatori italiani che hanno intrapreso il difficile percorso di questa protesta non sono guidati da una mera difesa d’interessi settoriali, sono mossi, innanzi tutto, dalla passione per la ricerca, per l’insegnamento, per l’istituzione universitaria pubblica, libera e indipendente iscritta nella nostra Costituzione; sono mossi dallo sdegno per le umiliazioni che l’università e la ricerca subiscono giorno dopo giorno, sono mossi dalla seria preoccupazione che, oltrepassato un certo stadio, la metamorfosi non sia più arrestabile. Quote crescenti di studenti e di professori, anch’essi impegnati nella difesa e nello sviluppo della ricerca e della formazione pubblica universitaria, si stanno muovendo. D’altra parte, la forma di protesta adottata può essere l’occasione, sotto un altro profilo, d’un ripensamento collettivo sull’offerta formativa e sulla programmazione, per come queste sono andate conformandosi negli ultimi anni, con i loro lati positivi e con quelli meno luminosi.
Siamo ormai giunti a un passaggio decisivo. Nel ribadire che la loro lotta è soltanto uno specifico tassello, nell’ambito di un’agitazione più ampia, che riguarda una questione d’importanza nazionale, i sottoscritti ricercatori della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Roma “Tor Vergata”, dopo essersi riuniti in assemblea in diverse occasioni e aver già elaborato due documenti, il primo dei quali fatto proprio dal Consiglio di Facoltà, in adesione alla protesta estesasi a tutti gli atenei italiani
- dichiarano di non essere disponibili, allo stato dei fatti, a svolgere attività didattiche non obbligatorie, valide ai fini del conseguimento di crediti formativi;
- chiedono che nei rispettivi Consigli di corso e nel Consiglio di Facoltà, i professori ordinari e associati – coinvolti allo stesso titolo nell’agitazione – rinuncino a ricoprire gli insegnamenti rimasti vacanti ed evitino di adoperarsi affinché tali insegnamenti vengano ricoperti mediante contratti rivolti a personale di ruolo o non di ruolo;
- alla luce del fatto che la difesa dell’Università pubblica è un interesse comune, a prescindere dal ruolo e dalla funzione, chiedono a tutti coloro che condividono lo spirito e il contenuto di questa protesta – professori, personale tecnico e amministrativo, studenti e dottorandi della Facoltà e dell’Ateneo – di sostenere la presente mozione;
- subordinano una revisione della posizione assunta al conseguimento di risultati significativi in relazione ai tre obiettivi seguenti, ritenuti fondamentali.
- Stato giuridico – Riorganizzazione delle tre fasce attuali in un ruolo unico della docenza, articolato su tre livelli e chiara separazione, anche sul piano finanziario, fra reclutamento e progressione di carriera.
- Governo democratico dell’università – Partecipazione o rappresentanza di tutte le componenti univesitarie ed eleggibilità dei rappresentanti delle componenti negli organismi di governo e di controllo dell’università; attribuzione delle competenze d’indirizzo e di programmazione, sulla didattica e sulla ricerca all’interno della comunità universitaria.
- Finanziamento del sistema universitario – Inversione della tendenza al definanziamento dell’università e della ricerca pubbliche da parte dello Stato, garanzia d’un fondo di finanziamento ordinario adeguato a un funzionamento decoroso, risorse aggiuntive correlate ai risultati di valutazioni indipendenti e imparziali.
Università di Roma “Tor Vergata” – Facoltà di Lettere e Filosofia
3 giugno 2010