Ho dedicato la prima parte a concludere il tema della RICERCA SUL CAMPO, mentre nella seconda parte ho discusso il saggio di Clifford Geertz L'arte come sistema culturale, uno di quei saggi in cui più diventa chiara la rilevanza della prospettiva antropologica in molti settori di studio.
Nella prima parte della lezione [FINO AL MINUTO 48:38] abbiamo ripreso la lettura di Olivier de Sardan sulla RICERCA SUL CAMPO.
Abbiamo fatto una sintesi di alcuni
aspetti importanti (ma NON di TUTTI, anche se TUTTI i temi del saggio verranno
verificati nel test dell’esonero o dell’esame) e riporto qui una rapida
carrellata di come si potrebbe impostare la parte residua del saggio per lo
studio (questa sintesi non è stata presentata per intero a lezione, ma secondo
me fareste bene a tener conto di tutti i concetti qui almeno riportati).
i colloqui
Costituiscono in
effetti una parte rilevante dei “taccuini” gli appunti presi da conversazioni
che il ricercatore produce intenzionalmente dato che molti aspetti della
cultura studiata non sono “osservabili” né in senso letterale né figurato.
Consulenza e racconto sono i due estremi tra cui si
collocano i colloqui condotti. L’intento del colloquio deve essere quello di
avvicinarsi più possibile alle forme spontanee della conversazione secondo la cultura locale, e quindi il più lontano
possibile dall’interrogatorio. La guida al colloquio tende a una lista di
domande, mentre il canovaccio di
colloquio seleziona una serie di temi che si vogliono sviluppare durante il
colloquio.
La caratteristica
fondamentale del colloquio antropologico è la sua natura ricorsiva, per cui una riposta può suscitare nuove domande o
rendere pertinenti in modo nuovo vecchie domande. Naturalmente, la ricorsività
di inscrive bene in un’altra caratteristica del colloquio antropologico, che è
la dimensione diacronica. Lo stesso
informatore può diventare soggetto di numerosi
colloqui, per mettere a punto diversi aspetti dell’indagine in diversi momenti.
Anche in questo senso il colloquio antropologico si differenzia dall’intervista
giornalistica e dal questionario sociologico.
Le procedure di
censimento
Proprio per la
natura sfuggente del suo oggetto, spesso l’antropologo si aggancia a procedure
di censimento, il cui intento è
fornire un corpus di dati quanto più “completo” possibile. Una tipica procedura
di censimento degli antropologi è la ricostruzione degli alberi genealogici o le strutture matrimoniali. I censimenti sono
dati -etic contrapposti ai dai derivati dagli enunciati degli indigeni, che
sono invece dati -emic.
fonti scritte
Sono almeno di tre
tipi per gli antropologi
1. fonti propedeutiche alla ricerca sul campo.
Sono paragonabili alle fonti secondarie degli storici, ovviamente.
2. fonti integrate nel campo, come diari,
lettere, quaderni e pubblicistica locale. A queste si devono aggiungere le
fonti audiovisive locali.
3. corpus autonomi come stampa e archivi
esistenti, nonché tutto il materiale audiovisivo disponibile online.
Queste forme di
produzione del dato antropologico vanno sottoposte a quella che Olivier de
Sardan chiama “politica del campo”, basata su alcuni punti fermi.
Triangolazione
semplice (che ricostruisce la realtà degli eventi indagati) e quella complessa,
che consente invece l’individuazione dei gruppi strategici rispetto al tema
indagato.
Sulla TRIANGOLAZIONE COMPLESSA [DAL MINUTO 40:20] abbiamo aperto
una parentesi sul possibile TO che vorrei fare con gli studenti e le studentesse
disponibili.
Iterazione nel senso concreto di produzione non lineare di
informazioni (tizio mi manda caio che mi manda da sempronio che mi rimanda da
tizio) e nel senso teoretico di
costante modifica dei temi dell’indagine in base ai dati raccolti. L’esempio di
un sondaggio in una via (dal numero 1 al numero 100) e della rete dei contatti
(tizio è amico mio, poi vai da caio, che ti manderà da sempronio)
dell’etnografo che tende a riprodurre la realtà sociale.
Esplicitazione
interpretativa nel diario di campo
come spazio del dialogo anche teorico (memoing
vs data collection vs coding)
Saturazione per stabilire
quando la ricerca “finisce”.
Il gruppo sociale
testimone.
Gli informatori
privilegiati.
Individuazione dei
fattori di disturbo: l’incliccaggio,
il monopolio delle fonti, la rappresentatività del gruppo testimone, e la soggettività
del ricercatore
[MINUTO
48:38] Lettura di L’arte come sistema culturale,
saggio di CLIFFORD GEERTZ. Per questa sintesi mi avvalgo degli appunti presi
ascoltando la registrazione della lezione da un mio studente ormai moltissimi
anni fa (era il 2012, in effetti…). Lo studente si chiama MASSIMILIANO
PALUMBO e lo ringrazio molto per la sua collaborazione. Non c’è solo quel
che ho detto a lezione quest’oggi (e neanche tutto), ma è una sintesi che può
comunque consentire un approfondimento di questo bel saggio.
L'ARTE
COME SISTEMA CULTURALE
L'arte
per Geertz rende concreti i pensieri. L'attribuzione di significati
culturali è sempre un problema locale, pertanto ogni prodotto artistico
deve essere contestualizzato per comprenderlo.
Geertz,
ci dimostra come la linea e i colori, due dei principi fondanti
del formalismo occidentale assumono nuovi significati contestualizzati
in culture differenti dalla nostra.
Linee
Yoruba (ROBERT F. THOMPSON):
Sono linee di profondità, direzione e lunghezza variabile incise sulle guance e
lasciate cicatrizzare e servono come mezzo di identificazione del lignaggio,
del portamento personale, nonché espressione di status. Gli Yoruba
associano la linea alla civilizzazione ne consegue che la civiltà
per gli Yoruba è un volto segnato da linee.
Per
gli Yoruba, i significati delle cose sono le cicatrici che gli uomini lasciano
su di esse. In particolare, il taglio, l'apertura, lascia uscire lo splendore
della qualità interiore, della sostanza.
Questo
distoglie anche dalla concezione funzionalista dell'arte come mezzo per
definire i rapporti sociali: la società Yoruba non crollerebbe se gli scultori
non si interessassero della finezza della loro linea.
Pittura
piatta a 4 colori degli Abelam Nuova Guinea. (ANTHONY
FORGE): In essa ritroviamo come motivo ricorrente
un ovale appuntito che rappresenta il ventre di una donna che a
sua volta esprime la naturale creatività della donna. Gli Abelam ritengono
la creatività femminile pre-culturale, primaria.
Per
quanto riguarda la creatività maschile, essa viene ritenuta culturale
quindi appresa e dipende dall' accesso degli uomini al potere sopranaturale
attraverso il rituale.
Il
potere maschile è incapsulato dentro il potere femminile dipendente dalla biologia
è proprio di questo fatto prodigioso che trattano i dipinti ovali rossi,
gialli, bianchi e neri. La cultura è generata nel grembo della natura come l'uomo
lo è nel grembo della donna.
Per
quanto riguarda i colori per gli Abelam, essi indicano il potere nell’ambito
delle raffigurazioni d'arte rituale.
Gli
Abelam non hanno un sistema di classificazione basato sui colori tranne i
casi in cui l'oggetto che viene descritto dal punto di vista del colore ha una
valenza simbolica, totemica per esempio. Cioè, non è il colore nei suoi aspetti
formali che ne determina il valore culturale, ma la sua valenza sempre
culturale, il significato che viene attribuito in base alle sue relazioni simboliche
di potere.
Infatti,
gli uccelli sono accuratamente distinti in base al colore perché sono animali
clanici, quindi raffigurano il potere sociale. Il colore per gli Abelam
diventa visibile, un tratto significativo, solo se riguarda oggetti legati al
potere.
Geertz
a questo punto passa a dimostrare che la concezione dell’arte come “formare per
formare” e sfera totalmente autonoma sia un prodotto della modernità,
mentre fino a tutto il Quattrocento era indispensabile collegare quella
forma allo spazio culturale che le dà il suo senso.
Per
gli occidentali, da quando l'artista firma la sua opera producendo arte consapevolmente,
l'arte si stacca da quel magma culturale in cui l'arte primitiva sarebbe
ancora immersa. Geertz vuole dimostrare invece che ancora per tutto il Quattrocento,
quando ormai l’artista era nominabile e riconoscibile come autore unico,
prevaleva una concezione culturale della sua produzione artistica, che doveva
essere fruita secondo le regole culturali locali.
MICHAEL
BAXANDALL Pittura esperienza sociali nell’Italia
del Quattrocento, individua il
concetto di occhio del periodo, con cui intende ricostruire
la visione come un atto culturale.
Baxandall
individua tre forme culturali che determinano il modo con cui gli
spettatori guardavano i quadri, dimostrando come l'opera pittorica
rinascimentale viene oggi vista
sovrapponendo la nostra grammatica semplicemente perché non possediamo (più) gli
schemi culturali dell’uomo rinascimentale. E che quindi il nostro lavoro di
storici deve essere quello di ricostruire proprio i modi di vedere dell’epoca,
l’occhio del periodo, appunto.
1)
Prediche popolari: genere letterario codificato in cui uno degli
obbiettivi principali era far sì che l'ascoltatore riuscisse a immaginare la
persona della sacra scrittura di cui si parla. Gli ascoltatori incorporavano un
modello di immagine proposto dalla predica, ed erano così pronti a riconoscerlo nelle riproduzioni
pittoriche. Nel quadro si ritrova il modello che si è interiorizzato
ascoltando i racconti e le descrizioni dei predicatori.
2)
Bassa danza: Una forma di danza sociale dove l'espressione
individuale non ha alcun ruolo. Uno spettatore, per esempio, guarda la primavera
del Botticelli in quella particolare postura, applicandovi una sorta di
filtro visivo, imposto dalle posture apprese nella visione o nella pratica della
bassa danza.
3)
Valutazione: Committenti e pittori erano spesso commercianti e uno
dei problemi centrali del commerciante era quello di non disporre di un sistema
metrico decimale che consentisse di valutare i volumi delle merci
scambiate. Piero della Francesca, scrive un trattato sulla
valutazione dove si evince come il mondo visto da un commerciante si può
leggere come un sistema di forme geometriche di base.
In
definitiva la pittura di Beato Angelico è una pittura predicata, quella
di Botticelli è danzata, quella di Pier della Francesca è
valutata.
Questi
sono tre casi di pittura in cui possiamo vedere questi schemi culturali prima
ancora che la forma in quanto forma.
Quindi
gli antropologi guardano l'arte cercando di vedere dentro il sistema culturale
che l'ha prodotta, cercando di ricostruire l'occhio del periodo.
Un'
altro esempio studiato da Geertz –questa volta quasi di prima mano, dato che ha
utilizzato gli appunti di campo di quella che allora era sua moglie, HILDRED
STOREY GEERTZ – è la poesia marocchina che non si comprende se non nel
quadro complessivo di una analisi della cultura mussulmana, in particolare del
ruolo della lingua coranica. La poesia marocchina è una sorta di omaggio
sacrilego a quella lingua sacra, dato che si sforza tutto il tempo di prenderla
a modello, ma per parlare di temi spesso “profani”.
Insomma,
il succo della lezione dovrebbe essere chiaro: l’arte, non solo l’arte
primitiva, è sempre una forma “locale” di conoscenza, che per essere
compresa deve essere letta come un enunciato pronunciato in una lingua
specifica, dentro una cultura specifica.