Inizia giovedì 18 ottobre al Macro Asilo una nuova avventura intellettuale e umana. Una volta al mese, artisti, studiosi, scienziati e performers incontreranno al Macro Asilo quanti vorranno esserci per riflettere, nella "stanza delle parole", sulla parola che mi è stata assegnata e che cercherò di sviluppare in tutte le sue molteplici sfaccettature.
La parola è UMANO, e come non pensare al saluto di Vittorio Arrigoni, "restiamo umani!", ma io ho subito pensato al fatto che umano, nella nostra lingua, incorpora il doppio senso di human e humane, di ciò che ci caratterizza "oggettivamente" come animali (contrapposto a "bovino", per esempio) e che insieme umanizza perché ci rende in grado di provare compassione, sentimenti per l'Altro.
Questa comprensenza di umano animale e umano morale nell'aggettivo UMANO mi è sembrata molto feconda ed è attorno a quella che voglio costruire gli incontri dei mesi a venire.
Abbiamo diverse opzioni di artisti, scienziati, filosofi, genetisti, antropologi che ci racconteranno la loro concezione dell'umano nei mesi del 2019, ma intanto per questi ultimi mesi dell'anno, i primi di apertura del Macro Asilo, il calendario è questo:
ottobre (18, ore 16) Introduco il tema da una prospettiva antropologica
novembre (21, ore 11) Franco Farinelli, uno dei più importanti geografi italiani, ci racconterà in quali condizioni lo spazio diventa spazio umano
dicembre (data da definire) Fabio Dei, antropologo italiano tra i più noti della sua generazione, ci parlerà dei limiti dell'umano, dello sconfinamento nella "disumanità".
Si tratta di un progetto per me molto complesso, perché da antropologo sono esperto (se proprio così si può dire) solo di un lato dell'umanità (quello culturale) ma riconosco che ci sono tanti modi in cui si possa declinare l'aggettivo e riconoscere prospettive diverse dalla mia. Etica e estetica, nelle mie intenzioni, non sono alternative, e vorrei che il progetto UMANO (che a sua volta fa parte di un più ampio progetto #Dizionario) rispondesse agli obietti del nuovo Macro, di riportare l'arte dentro la vita associata: "il museo si fa città" è lo slogan del Macro Asilo e, come antropologo, non potrei trovarlo più allettante per quel che io penso debba essere l'arte, e la vita associata. Si tratta di recuperare anche il vecchio "l'arte come vita, la vita come arte" ma sradicando questa concezione romantica dalle secche dell'individualismo creativo, portando invece a considerare l'arte come "sistema culturale", e gli spazi della vita associata imbevuti di quel sistema e della sue strutture anzi, costituiti da quella strutturazione artistica.
Ho insegnato a Venezia, Lubiana, Roma, Napoli, Firenze, Cosenza e Teramo. Sono stato research assistant alla Queen's University of Belfast e prima ho vissuto per due anni in Grecia, per il mio dottorato. Ora insegno a Tor Vergata e nel campus romano del Trinity College di Hartford (CT). Penso che le scienze sociali servano a darci una mano, gli uni con gli altri, ad affrontare questa cosa complicata, tanto meravigliosa quanto terribile, che chiamano vita.
2011/12: INFORMAZIONI PER CHI AVEVA 12 CFU E TUTTI GLI MP3 DELLE LEZIONI
mercoledì 17 ottobre 2018
Umano (quanto vi pare)
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domenica 14 ottobre 2018
Il Punto di svolta (quello di Salvini è fascismo)
Caro Federico,
ti ho letto con attenzione e interesse in questi mesi, le
tue riflessioni sulla situazione politica italiana sono state per me
illuminanti, soprattutto nel farmi comprendere quanto la chiusura del nostro paese verso l’immigrazione e la diversità in
generale sia stata accompagnata da tutti
i governi dell’ultimo trentennio, destra e sinistra. Le tue testimonianze
dirette sulla giunta Veltroni hanno
dimostrato la profondità dell’antiziganismo
come sentimento popolare coccolato
dalle giunte romane, in quegli anni di sinistra dell’amministrazione
capitolina.
Non c’è alcun rigurgito
di fascismo, ci hai insegnato, e io ho ascoltato volentieri, con un senso di amarezza perché la “mia parte” non si
rivelava certo migliore, come mi ero illuso, ma anche con un senso di sollievo, perché l’autoritarismo di
certi capetti sfrontati e rissosi non doveva essere letto come un’anticipazione di ulteriori restrizioni
della libertà di tutti, compresi noi italiani maschi borghesi intellettuali (la
porzione di classe cui apparteniamo
entrambi).
Ti chiedo se dopo la
decisione del Ministro degli Interni
di deportare tutti gli stranieri coinvolti nel “modello Riace” tu mantenga ancora con serenità quella posizione. Io
credo che siamo a una svolta che si
può configurare tecnicamente come svolta
fascista, e sarei felice di sapere che ne pensi, in proposito, tenuto conto
che nel mio immaginario configuri il mondo dei “non ostili ai 5S da sinistra”.
Quelli che, provenendoci, hanno tanto in odio il PD da assumere volentieri
alcuni dei tic linguistici del
MoVimento (e allora il PD?).
L’arresto di Mimmo Lucano non mi ha stupito ed è, nella logica del legalismo ormai imperante in Italia, un
atto dovuto. Abbiamo consegnato una ventina d’anni fa il campo della politica
ai giudici e ai magistrati, che hanno altre unità di misura e le hanno imposte
nello spazio della polis. Amen, è
andata così e quindi è del tutto ovvio che il concetto stesso di disobbedienza civile (che è una nozione
eminentemente politica) non possa trovare spazio nella gestione della cosa
pubblica: se La Legge dice x, e tu
fai una cosa in meno o in più di x, il legalismo dice che commetti un illecito
o un reato, non c’è molto da aggiungere. Se provi ad articolare un discorso sul
valore di x, sulla sua storia, sulle ragioni che hanno fatto sì che si giungesse a x, stai facendo un discorso politico sulla legge, e questo
non è semplicemente più tollerabile
per la maggior parte di chi ci governa e di chi è governato. Quindi, come si
dice, “ci sta” che Lucano venisse arrestato, nel senso che a me la cosa fa
orrore e la considero un’aberrazione folle del sistema politico italiano, ma è
del tutto conseguente al clima generale.
In questa chiave, è paradossalmente
comprensibile anche la “chiusura dei
porti”, e il respingimento dei
richiedenti asilo: se lo stato nazionale è quell’istituzione che demarca il potere che esercita con la
nettezza dei suoi limiti confinari
(fin qui comando io, oltre la linea comanda chi può) è comprensibile (certo non condivisibile
per me, che conosco la storia di formazione di quegli strani oggetti
simbolici detti confini) un atto di sovranismo: chi vuole dimostrare al suo
elettorato di “essere al potere” avrà buone ragioni per marcare
identitariamente i limiti del suo territorio, come un cane che fa territorial pissing con lo stesso
intento di dire: uè ragazzi, fin qui comando io eh!
Ma Salvini imponendo la deportazione di tutti gli stranieri di
Riace, cioè un caso riuscito di integrazione,
ha fatto un’altra mossa, non rivolta a stabilire il dentro e il fuori, ma tutta interna, orientata a dire, a noi
italiani, o con me, o contro di me,
ed è questa la svolta fascista che credo di aver individuato.
Il Ministro degli Interni ha
deciso di delegittimare il “modello Riace” in quanto tale, e l’ha smantellato
interamente deportando tutti i cittadini stranieri (in gran parte riconosciuti
come rifugiati) che vi avevano finora preso parte. Questo non è più legalismo, non è più sovranismo, ma è un’azione politica di
vecchio stampo, un atto puramente politico fascista
che definisce il senso della polis.
Lasciamo stare che “chi sbaglia
paga” lo dica uno che sta pagando in comode
rate, e lasciamo il fatto che “non si possono tollerare irregolarità nell’uso
dei fondi pubblici” lo dica uno che ci ha fatto tollerare 49 milioni di irregolarità che lo riguardavano. Guardiamo la cosa
in sé, e cioè che Salvini sta, con questo gesto, portando a compimento un atto
fondamentale e tipico del “fascismo
eterno” descritto da Umberto Eco,
vale a dire l’individuazione di un nemico che costringe l’intero popolo a
schierarsi, pro o contro. Di fronte a una decisione come quella di
trasferire tutti gli stranieri da Riace, non ci sono vie di mezzo, non ci sono posizioni terziste, non esiste il “sì però” e neppure il “ma anche”. L’intento
è tutto politico, e ricorda la strategia islamo-fascista della al-Qaeda di bin-Laden, il cui piano terrorista era soprattutto
quello di costringere “i moderati” a decidere se stare dalla parte delle
potenziali vittime del terrorismo o
di quelle dei carnefici attivi.
Il piano, poi, è quello storico
dei nazionalismi (di cui il fascismo
è una degenerazione storica quasi inevitabile), la separazione aut-aut tra Patrioti e Traditori, per consentire al capo di turno di avere una presa
immediata e totale sul Noi Patrioti grazie
alla delimitazione chirurgica del Loro
Traditori. Questo è fascismo nel senso più puro: la creazione di un discrimine
che taglia in due la nazione tra chi
è a favore e chi è contro, dissodando tutti i terzismi. Nessuno può restare
veramente indifferente rispetto alla
deportazione di Riace, perché esserlo si configura già come una postura favorevole alla deportazione (chemmefrega dei sti negri), mentre essere
contrario a spostare uomini e donne stranieri integrati nel tessuto locale di
una nazione diventa di fatto un’opposizione
radicale e totale a questo Governo e ai suoi decisori, un atto di tradimento.
Io non avrei mai voluto definirmi anti-salviniano, è proprio
una posizione idiota quella dell’anti-, proprio perché, per ragioni
professionali come puoi ben capire, detesto
essere definito interamente dal mio avversario.
Mi piace pensare che io sono quel che mi piace, sono amante della libertà, della giustizia sociale, dell’eguaglianza
delle opportunità per tutte e tutti, e il mio anti-fascismo è sempre stato una
dimensione latente, poco attiva nel
sentirmi cittadino. Ho sempre riconosciuto l’importanza
storica dell’anti-fascismo, però, vale a dire di quegli uomini e di quelle
donne che hanno veramente combattuto il fascismo quando era al potere, mentre un poco, ti dirò, mi irritava il
rituale post-bellico dell’anti-fascismo quando diventava il cardine dell’identità politica di chi se ne faceva portatore.
Bene, di fronte a Riace io non posso non definirmi anti-Salviniano,
radicalmente, totalmente, senza sconti. Come cittadino veneto, negli anni ottanta
ho resistito con il mio anti-leghismo
a tutti i tentativi di tirarmi dentro il gorgo melmoso dell’identitarismo localista, figuriamoci se
cado ora, proprio io, esperto di nazionalismi e identità etniche, dalla padella
del leghismo alla brace schifosa del “prima gli italiani”. Ho un corso di antropologia culturale con centinaia di
studenti anche quest’anno, mi sa che la
butto in politica.
E se Salvini ci costringe a
prendere parte, sappia che io gli sto
contro, e farò il mio dovere di cittadino
e di intellettuale (tranquilli, i
miei amici che hanno problemi con la parola intellettuale: non mi do un tono, è
solo che dopo aver fatto il pasticcere,
l’operaio in fabbrica, il barista e il portiere d’albergo, da diversi anni mi guadagno da vivere con il
mio cervello e con il mio pensiero, tutto qui, rilassatevi, non
me la tiro). Il mio dovere sarà quello di sollecitare chiunque, e chiedergli se è d’accordo o meno con la deportazione
degli stranieri residenti a Riace, e quali sono le sue ragioni per la sua
scelta.
È iniziata una battaglia, spero non siano i prodromi
di una vera guerra civile, ma se
sarà il caso io so già da che parte stare, e da quale parte proverò ad trascinare
le persone che mi circondano.
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martedì 2 ottobre 2018
Quatti quatti
Oggi, 2 ottobre, ho iniziato il corso di antropologia culturale 2018/19 (modulo A fino al 10 novembre, poi parte di fila il modulo B fino a Natale) a Tor Vergata. L'impatto dell'aula T12B (250 posti mi dicono) piena piena è stato piacevole, segno che ancora qualcosa da dire noi antropologi ce l'abbiamo. Ma vediamo chi regge il ritmo di questo corso, insegnato martedì, venerdì e sabato!
Nella colonna di destra di questo blog trovate i primi link, per gli appunti iniziali e soprattutto per il modulo di iscrizione. Quanti intendono fare l'esame in questo anno accademico 2018/19 sono vivamente pregati di compilare il modulo quanto prima (anche se non frequentano). Vi prende un minuto e mi risparmia un sacco di tempo quando dovrò pensare alla valutazione.
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