2011/12: INFORMAZIONI PER CHI AVEVA 12 CFU E TUTTI GLI MP3 DELLE LEZIONI

sabato 31 ottobre 2020

Parlare di morte

 

Per due anni, noi del PEF- Polo Ex Fienile e soprattutto noi del LaPE - Laboratorio di Pratiche Etnografiche, abbiamo organizzato una festa al Fienile, carinamente intitolata "Mortacci nostra". 

E' stato un modo per dire che a noi Halloween ci faceva un baffo, non nel senso che lo schifavamo come l'ennesima americanata, ma che ce lo ricordavamo come una tradizione ben radicata nella memoria popolare, e cioè la commemorazione (seria, scherzosa o grottesca, a seconda degli stili locali) delle persone defunte.

Da antropologi quali siamo, ci sembrava un'emerita stronzata ridurre il ricordo dei morti a una questione in cui dovessero competere solo le religioni istituzionali o i responsabili della mercificazione di qualunque cosa. Anche noi normali, il 99% si potrebbe dire, avevamo il diritto di non alienare il ricordo della morte, la presenza inevitabile della morte, il senso della morte nelle nostre vite.

Mortacci nostra è stato un modo di inventare una tradizione, e attorno al fuoco o nella sala teatro del PEF abbiamo ascoltato e raccontato storie da brividi, storie da lacrime, storie insomma.

Quest'anno non si può, come è noto. E con molta sofferenza ci siamo adeguati alle necessità sanitarie. Il che non significa che non ci si possa incontrare anche a distanza, senza baci e abbracci, certo, ma con qualche storia.

Per le studentesse e gli studenti di Antropologia culturale di quest'anno ho pensato così di offrire un piccolo spazio online al link delle mie lezioni su Zoom. Porteranno una piccola storia, una foto da mostrare, un oggetto di una persona cara. Oppure una canzone da condividere o una poesia da ascoltare (YouTube è una miniera fantastica, per questo). I più coraggiosi potranno anche recitare i loro versi, o una storia scritta da loro.

Basta venire nell'aula Zoom di Antropologia culturale oggi, 31 ottobre, tra le 21.30 e le 22.30, prenotandosi sulla chat della classe per chi volesse può avere tre minuti di microfono e video.

Fare antropologia non è solo capire, fare antropologia è anche vivere capendo un po' di più.

sabato 24 ottobre 2020

Antropologia culturale Modulo A 06 del 16 ottobre 2020: di chi è l’intepretazione? Thin vs thick

 


[Tutta la tiritera che segue è orientata a introdurre la lettura di “Verso una teoria interpretativa della cultura” di Clifford Geertz]

La teoria REFERENZIALE del significato è inadatta a spiegare la sostanza più specificamente specifica del linguaggio umano.

La teoria DELL’USO invece sembra funzionare molto meglio. Il “secondo” Wittgenstein è uno dei pensatori che più ci ha aiutato a capire che il significato di un segno è nel suo uso, cioè nei modi “sensati” (appunto) in cui possiamo usare quel segno, sia esso una parola, o un anello di matrimonio.

Abbiamo fatto l’esempio delle “cotolette di cane” che solitamente qualcuno NON capisce non perché nel nostro contesto culturale è “insensato” dire di aver mangiato cotolette di cane.

Nella Teoria Referenziale = il Significato somiglia alla voce di DIZIONARIO;

Nella Teoria dell’uso = il Significato somiglia alla voce di ENCICLOPEDIA.

La RETE di SEGNI è più di una metafora

Se ogni segno è composto di un significante e di un significato, e ogni significato è di fatto una “connessionecon altri segni, ecco che dal segno Cane devo agganciarmi (in Italia) alla Amicizia, alla Fedeltà, alla Compagnia, che sono tutti Segni, ognuno dotato di un Significante e di un Significato, e ogni segno a sua volta è agganciato ad altri segni nella teoria dell’uso.

In Italia e in Corea le rispettive reti che definiscono il segno “cane” sono molto poco sovrapposte, dato che in Corea il segno ‘cane’ può essere associato ai segni del Cucinare e quindi la rete che rende possibile l’uso sensato del segno ‘cane’ in Corea rende “sensata” anche l’espressione “ieri ho mangiato cotolette di cane”.

Insomma, la RETE DEI SEGNI È LA CULTURA, CULTURA È LA RETE DEI SEGNI e per quanto qualcuno potrebbe (anche a buona ragione) contestare che la rete dei segni NON CONCLUDE tutta la cultura, di certo ogni specifica società è dotata di una rete condivisa di segni tra i suoi membri che ne costituisce l’ossatura simbolica, e senza la quale non solo non esisterebbe comunicazione all’interno di quella società ma anche per ogni individuo non ci sarebbe modo di sentirsi tale, perché gli eventuali significati idiosincratici che fosse mai riuscito a elaborare nella solitudine del suo cervello non avrebbero mai modo di uscire fuori.

È questa consapevolezza che porta Clifford Geertz a elaborare la sua concezione semiotica della cultura con l’immagine dell’animale impigliato nelle reti di senso che egli stesso ha intessuto, secondo la metafora di Max Weber.

Quindi, mentre le scienze sperimentali cercano CAUSE tramite la SPIEGAZIONE, le scienze umane cercano SIGNIFICATO tramite l’INTERPRETAZIONE.

La PAREIDOLIA è il modo più evidente di questa disposizione del nostro cervello animale trovare significati anche dove non ce ne sono di intenzionali. Diciamo che l’antropologia insegue questa disposizione degli umani non solo nella percezione visiva, ma nel quadro generale dell’IMMAGINAZIONE: immaginiamo (oggetti, valori e relazioni) sulla base di MODELLI che abbiamo già acquisito per altri campi.

L’esempio dell’AMICIZIA che per noi non è formalizzata ma per altre culture lo è: studiare l’altrove ci consente non solo di riflettere sulle regole culturali altre (to’, guarda che strani, quelli fanno un rituale per stabilire formalmente che quello è un amico speciale e cominciano a chiamarlo “fratello”) ma anche di riflettere sulle nostre regole culturali (siamo sicuri che l’amicizia sia solo una relazione spontanea lasciata alla nostra libera scelta? Guardate quanti diventano amici perché hanno figli nella stessa scuola, e poi ripensateci).

Quindi l’antropologia insegue il significato culturale, vale a dire il senso che “le cose” hanno nel contesto in cui sono vissute e praticate. Cerchiamo insomma di raggiungere quella che Gilbert Ryle ha definito una THICK DESCRIPTION, una DESCRIZIONE DENSA, cioè una descrizione di una situazione cercando di offrire il senso che vive l’attore sociale dell’azione che stiamo analizzando. Se invece ci limitiamo a utilizzare la nostra rete di significato (e non quella dell’attore sociale) otteniamo al massimo una THIN DESCRIPTION, cioè una descrizione che si sforza di essere “neutra” o “oggettiva” ma che in realtà non riesce a cogliere il senso dell’azione per chi la sta compiendo e impone su quell’azione le categorie dell’analista.

(46:00) Abbiamo ripreso l’esempio dell’occhiolino contrapposto al tic nervoso, che Geertz cita da Ryle, e ci abbiamo ricamato un po’ sopra.

Con un po’ di problemi di connessione, abbiamo cercato di riflettere sul fatto che la thick description NON è una descrizione “più accurata”, visto che può consistere di una sola parola (“battesimo”) per chi la sa interpretare, e che la thin description NON è una descrizione superficiale nel senso che sia “frettolosa”. Se non sapessi cos’è un battesimo in una chiesa cattolica potrei andare avanti giorni raccontando tutti i dettagli di questo strano posto con delle decorazioni alle pareti dove un uomo con un camicione butta dell’acqua sulla fronte di un bimbo piccolo, ma la cura maniacale del dettaglio della mia descrizione NON la renderebbe meno thin, dato che la sua superficialità non sarebbe data dalla mancanza di precisione “oggettiva”, ma dalla incapacità di “coglierne” il senso dal punto di vista dell’attore sociale.

Uno degli esempi più chiari della differenza tra Thin e Thick è quello (che rubo a Marshall Sahlins) dell’ACQUA BENEDETTA. Cosa c’è di oggettivamente diverso tra acqua normale e acqua benedetta? Nulla, ovviamente, e un chimico mi dirà che si tratta sempre della stessa sostanza, ma se voglio capire la differenza devo vedere le cose dal punto di vista del credente, che pensa che l’acqua benedetta abbia una qualità spirituale, e possa essere taumaturgica.

(1:09:45) THIN E THICK SI SOVRAPPONGONO A -ETIC e -EMIC, facendo però attenzione al fatto che “il punto di vista del nativo” (che sarebbe l’-emic) non coincide esattamente con il senso dell’azione consapevole dell’attore sociale. Il millepiedi non sa come fa a camminare, ed è inutile, spesso, chiedergli come fa aspettandosi una risposta coerente. Di fatto, l’antropologo lavora anche a livello del subconscio culturale, cogliendo sensi che NON sono praticati consapevolmente dagli attori sociali.

Tutto, questo, dicevamo, per introdurre il racconto che Geertz ci farà del vecchio mercante ebreo Cohen.

Abbiamo concluso (1:20:00) con un TEST sul “SIGNIFICATO”.

Le ultime considerazioni (1:32:15) sono sulla fragilità epistemologica dell’opposizione THIN/THICK (come di quella -etic/-emic): diciamo che sono opposizioni di cui abbiamo bisogno come “limite” o come “obiettivo” ma l’antropologa sul campo non può che aspirare a ricostruire il punto di vista -emic o a produrre una thick description, ma questo lavoro di ricostruzione sarà sempre incompleto (basta parlare con “un’altra persona ancora” e il quadro può mutare).

Il punto insomma è che questa incompletezza della nostra ricostruzione culturale è intrinseca e irrinunciabile.

Ho poi finito con un doppio appello di eventi al PEF – Polo Ex Fienile, che però è andato completamente a vuoto… (anzi no, una ex studentessa sabato è venuta a darci una mano a fare pacchi al PEF).


lunedì 19 ottobre 2020

Antropologia culturale Modulo A 05 del 14 ottobre 2020: La forma simbolica del culturale

 


Abbiamo visto il pregiudizio della omogeneità interna e della separatezza delle culture e in questa lezione abbiamo cercato di capire da dove venga quel pregiudizio. Ci sono delle motivazioni di ordine cognitivo, e altre di ordine politico. In questa lezione abbiamo solo le prime, lasciando le motivazioni politiche a una prossima lezione. 
Il pregiudizio (o bias, ogni tanto dico) cognitivo dipende dal fatto che abbiamo bisogno di categorie dove "incasellare" la fantasmagorica complessità del reale percepito, ma queste categorie non sono affatto innate, o lo sono per grandi contrapposizioni (animato/inanimato, per esempio, che possiamo elaborare già verso i 6 mesi) e non ci consentono quelle sottigliezze necessarie nella vita associata. In pratica, impariamo gran parte delle etichette o categorie con cui riduciamo la complessità ingestibile del reale e ci mettiamo anche un po' ad impararle, come dimostra questo video:


Per non essere sopraffatti dalle occorrenze del reale (dalle carte che il mondo ci fa vedere, con tutte le figure) dobbiamo imparare presto a inscatolarle in etichette. Le etichette si possono chiamare types, le occorrenze tokens, ma il senso è quello indicato. Senza etichette possiamo contare le occorrenze solo fino a un certo punto, oltre il quale ci perdiamo e veniamo semplicemente travolti. In questo video una definizione di Type e di Token:

Quindi come animali abbiamo bisogno di scatole, etichette o categorie, ma proprio perché non le possediamo incorporate nei geni, quei types possono e debbono essere in gran parte appresi.
La Realtà è lì, inossidabile, ma Kant ha ragione quando ci dice che è inconoscibile direttamente (noumeno) mentre può essere afferrata solo dentro le categorie.
Senza entrare in polemica con Kant, diciamo che a fianco di alcune generali e universali categorie per conoscere il mondo gli esseri umani hanno bisogno anche di categorie più specifiche (quali labbra femminili siano belle e quali invece considerate volgari) e questo livello di categorizzazione dipende dalla cultura cui apparteniamo.
Creare categorie significa trovare le somiglianze e le differenze e dare RILEVANZA ad alcune e considerare IRRILEVANTI altre. NON c'è nella realtà alcuna ragione intrinseca per cui alcune somiglianze o alcune differenze siano rilevanti, dato che la RILEVANZA è un giudizio esercitato dagli esseri umani, non è una qualità della realtà. La realtà certo che ha qualità intrinseche (forma, colore, peso, attrattiva, ecc.) ma la rilevanza di alcune qualità e non di altre è una decisione umana, e gli uomini sembrano in grado di decidere molto diversamente rispetto alla rilevanza, a seconda dello spazio e del tempo in cui si collocano per quel loro giudizio.
Il racconto di Borges su Funes, o della memoria, è un buon esempio di quel che succede se si perde la possibilità di raccogliere il percepito in categorie ma si mantiene il ricordo del percepito.
Applicata alle relazioni umane, questa necessità delle categorie produce l'opposizione Noi/Loro che categorizza prima di tutto coloro con cui posso avere un rapporto cooperativo (il Noi) per distinguerli chiaramente da gli Altri, con cui invece dovrei pensarmi in relazione competitiva. NON c'è alcuna base biologica per stabilire dove si pone "naturalmente" questo confine (vedremo nelle lezioni sulla parentela che proprio i "legami di sangue" sono un modo con cui molte culture si illudono di poter stabilire almeno un confine iniziale di questo tipo) ma intanto anticipiamo che il Nazionalismo è il sistema politico che porta alla perfezione questa contrapposizione necessaria tra categorie di persone.

Una volta apprese, le categorie funzionano al punto che ci possiamo ficcare dentro anche "cose" che in sé non hanno ragione di starci, come dimostra la bellissima poesia di Fosco Maraini, letta da Gigi Proietti
E' un testo "senza senso" ma riusciamo a capire tantissimo, proprio perché utilizziamo categorie che già abbiamo per ficcarci dentro quel nonsense.
Se non parlassimo italiano, il Lonfo non avrebbe senso. Anche le parole senza senso le ficchiamo dentro qualche categoria. Come quando vediamo nelle nuvole dei volti, o degli oggetti (pareidolia). NON sono nelle nuvole, ma sono nelle categorie che abbiamo acquisito e dentro cui forziamo quel che vediamo. Questo aspetto cognitivo è stato studiato dagli psicologi ma quasi solo per gli aspetti strettamente percettivi (forme e colori) ma dobbiamo capire vale a che per i giudizi morali o estetici: una volta elaborate, alcune categorie si radicano in profondità e le utilizziamo anche per includere aspetti del reale che non erano originariamente concepiti in quella categorizzazione (Robert Sapolsky lavora su questi temi, ma non ci sono traduzioni italiane delle sue riflessioni si questi temi, o almeno io non le conosco).
Questa capacità di produrre senso, quando non è socialmente condivisa può produrre il "delirio", la fine della significazione come comunicazione. Ora, c'è una disputa tra filosofi del linguaggio per stabilire se il linguaggio sia prima COMUNICAZIONE (quindi presupponga l'altro) o sia ESPRESSIONE (per portare fuori quel che si ha dentro) e non intendo prendere posizione in proposito. Mi basta dire che il linguaggio è sempre tutte e due le cose, e quando perde la sua dimensione CONDIVISA diventa facilmente ALIENAZIONE.
Questo significa collegare la cultura come sistema categorizzante al POTERE di esercitare quella funzione. NON tutti hanno la stessa voce nello stabilire quale sia il senso di quell'aspetto culturale. Il tè è diventato comune in Inghilterra perché era una regina a consumarlo e le donne nobili l'hanno imitata, presto imitate dalle borghesi e giù nella scala sociale. Ci sono diverse teorie in questo senso (penso ad esempio alla Teoria della classe agiata di Veblen) ma quel che conta è che ci imitiamo tra gruppi e sottogruppi e spesso capita che siano quelli che dispongono le quantità maggiori di diverse forme di POTERE (economico, di prestigio, politico) a fare da modelli e a stabilire quali siano i "giusti" (dentro quella cultura) significati da attribuire a determinati segni.

Avere un quadro categoriale è quindi necessario, non possiamo farne a meno. Ma una volta che lo abbiamo incorporato, da un lato ci consente di non dubitare tutto il tempo per ogni cosa, ma dall'altro rischia di farci "perdere di vista" aspetti del reale che NON ABBIAMO NOTATO perché eravamo intenti a categorizzare altro:
Il video "Awareness test" serviva a farci capire questo punto.

I FAP (Fixed Action Patterns) sono necessari agli umani come a qualunque altro essere vivente. Ma mentre gli altri animali si basano su FAP innati, noi dobbiamo APPRENDERLI e una volta appresi, li sentiamo nostri come fossero innati. Come il nostro modo di parlare.

-EMIC -ETIC
Quando studio quindi un gruppo sociale, posso insistere sulle mie categorie di analisi oppure posso cercare di ricostruire le categorie utilizzate dal mio interlocutore (singolo o gruppo). L'antropologia è la ricerca del livello -emic.
(Il casino è che quel che chiamiamo -etic è spesso l'-emic di chi parla, ma non voglio scatenare il panico e quindi soprassediamo, anche se è evidente per tutti che un punto di vista "oggettivo" sul reale semplicemente è un'illusione, perché quello a cui puntiamo è sempre un livello inter-soggettivo, e il problema diventa a quel punto quanto ampio debba essere quell'-inter per poterlo attribuire al genere umano e non a un suo specifico sottogruppo.)
Abbiamo insistito molto su questa differenza, perché è essenziale per capire la nostra disciplina. Come si giunge a capire questo punto di vista -emic?
E' la INTERPRETAZIONE il punto di svolta.
Per cogliere il punto di vista dell'altro dobbiamo pensarci come i protagonisti di Flatlandia.
Abbiamo poi introdotto altri concetti essenziali.
SEGNO  come unione arbitraria di SIGNIFICANTE e SIGNIFICATO. Abbiamo detto della natura MATERIALE del significante.
Abbiamo chiuso anticipando la doppia teoria del significato: Teoria referenziale vs Teorie dell'Uso.

domenica 18 ottobre 2020

Antropologia culturale Modulo A 04 del 12 ottobre 2020: la cultura è condivisa(?)


Abbiamo raccontato la storia dei due archeologi per dimostrare che abbiamo incorporato alcune regole culturali (in questo caso regole fonologiche su come si pronunciano i suoi nasali in italiano) SENZA SAPERE che le abbiamo e che le sappiamo usare con estrema precisione. CHI è che sa quelle regole? I parlanti, certo, ma a che livello di CONSAPEVOLEZZA lo "sanno"? Molto basso, possiamo dire. E certo questo esempio è indicativo di come funzioni tanta parte dell'apprendimento culturale. Siamo a volte "culturati" dalla nostra cultura, ci pare del tutto inevitabile che le cose siano così, perché non concepiamo le ALTERNATIVE al nostro comportamento. Gli italiani monolingue non riescono a pensare che una nasale di fronte a una occlusiva velare si possa realizzare in maniera DIVERSA da come la realizzano loro. Estendete questa idea al modo in cui ci pone a distanza dagli altri (qual è la distanza di cortesia? E quale quella di distacco sprezzante?)  oppure al modo in cui ci si debba salutare tra estranei, o al mondo in cui si considerano belle le labbra di una donna, o al modo in cui ci si debba comportare con i figli, o con i genitori, quale sia la giusta decisione da prendere in quel caso e quale invece sia completamente sbagliata, ed ecco che di colpo la cultura si appare per quel che è: uno strumento molto potente di controllo nella conformità. Non sto dicendo che la cultura sia la nostra gabbia, ma Franz Boas, che di diversità culturale decisamente se ne intendeva, parlava di "shackles of culture", cioè i ceppi, le catene che si mettevano ai piedi degli schiavi o dei prigionieri per contenerne in movimenti entro un raggio di azione limitato. Questo fa la cultura, e non c'è nulla di mostruoso o di eccessivamente drammatico in questo, perché lo DEVE fare, vista la nostra disposizione a collegare tutto con tutto. Se non avessimo quei ceppi la nostra vita sarebbe un inferno (come in effetti a volte è la vita dei bravi antropologi...). Diceva Boas:
Il pregio dell'antropologia è il suo potere di impressionarci con il valore relativo di tutte le forme di civiltà. Noi siamo troppo portati a considerare la nostra cultura come la meta ultima dell'evoluzione umana, privandoci così dei benefici ricavabili dagli insegnamenti altrui. Ciò che penso della vita è determinato da una domanda: come possiamo riconoscere le catene della tradizione? Perché, se riuscissimo a riconoscerle, potremmo anche spezzarle
La cultura è quindi un sapere appreso che fa di tutto per nascondersi in quanto appreso, e il lavoro dell'antropologo è anche e soprattutto portare a galla quel sapere sotterraneo o inconsapevole.
Per capire come questo lavoro di consapevolezza sia tutt'altro che confortante,  abbiamo raccontato l'apologo del bruco e della formica (dal minuto 31:45), come esempio della complicatezza di agire SAPENDO di agire, osservandosi nel proprio agire. La CONSAPEVOLEZZA è una  conseguenza della riflessività, dell'osservarsi mentre ci si confronta con l'Altro, questo oggetto primigenio della riflessione antropologica.
Piccola digressione su quanto il lavoro dell'antropologia sia stato efficace in questo senso e quanto invece sia stato zeppo di errori e di complicità con il potere. E per parlare della natura intrinsecamente "progressista" dell'antropologia. 

Vediamo ora (42:00) se e quanto la cultura è CONDIVISA da parte di coloro che la POSSIEDONO. Condivisione e Possesso sono due termini economici, che hanno a che fare con la proprietà materiale. Ma la cultura è un oggetto materiale che può passare di mano come un campo di terra o un orologio?
SE FOSSE COSI' SAREBBE FORIERA DI DISTINZIONE netta tra gruppi ma invece sappiamo che le culture non sono divise in questo modo (anche se si raccontano così) e che "la roba" intera (the cultural stuff di F. Barth) sappiamo che viene usata per creare confini: DE-LIMITAZIONE e DE-FINIZIONE e etimologia dei termini. = Limes e Finis.

Le culture, insomma, si raccontano sempre più OMOGENEE internamente e più NETTAMENTE SEPARATE tra di loro di quanto non ci dimostri l'analisi empirica dell'etnografia. Abbiamo dimostrato questo punto centrale della riflessione antropologia con un piccolo racconto (49:40)
Il caso delle due signore a Venezia. Una signora è Veneziana "da sempre", e l'altra signora è invece una badante venuta una ventina d'anni da dall'Europa dell'Est. La signora veneziana ha inoltre un nipote (lei è la nonna, non la zia) che le vuole bene e la va a trovare. Ci siamo chiesti se sia possibile "misurare" le somiglianze e le differenze tra queste tre persone. Quale coppia si somiglia di più tra nonna-nipote e nonna-badante, per quanto riguarda pratiche di vita, immaginario, sistema di valori, gusti estetici eccetera? Nel raccontare la storia ho citato (senza nominarlo perché il nome mi sfuggiva) un antropologo che ha fatto una bella indagine sulle badanti: si chiama Francesco Vietti e il saggio si intitola Il paese delle badanti (Meltemi). Ci sono diversi studiosi che si occupano del lavoro domestico e del lavoro di cura nel mondo globalizzato e mi piace qui ricordare l'importante lavoro di ricerca coordinato dalla sociologa Sabrina Marchetti all'Università Ca' Foscari di Venezia.

Alla prova dei fatti, sappiamo che le culture sono MENO condivise all'interno e più condivise attraverso di quanto non pensiamo "istintivamente". Più o meno reddito, più o meno educazione, più o meno competenze ad hoc: chi ne sa di più tra gli elettricisti e gli idraulici? 
Nessuno possiede TUTTA e SOLA la propria cultura.

(1:06) IL TEMPO e LA VARIAZIONE CULTURALE (la creazione storica dei contesti tradizionali)
il Tè inglese delle cinque a questo video.
Un altro esempio di cui abbiamo parlato è quello della nduja Calabrese (1:12:38).
La pasta al pomodoro napoletana del Cuoco galante (1799) è un'altra impressionante dimostrazione della finzione del primordialismo: a inizio Ottocento la pasta al pomodoro ancora non c'era, non era rappresentata in un libro di ricette napoletano. 

QUINDI le culture non solo sono complicate al loro interno ora, ma LO SONO SEMPRE STATE
Abbiamo visto le Figure a pagina 8 della dispensa con gli ELEMENTI culturali e i CONFINI culturali
Questa ricostruzione post hoc di unità interna ci induce all'errore del PRIMORDIALISMO e dell'ANCESTRALITA', per cui una cosa è usata "da tempo immemore". In realtà una cosa diventa TRADIZIONALE non se è usata da sempre (nulla ha questa durata), né se è usata da tempo immemore (eh, trovarne cose così...) e neanche se quella cosa è stata "creata" da coloro che ora la usano orgogliosamente (il tè inglese, la nduja calabrese, non sono "ab ovo" né inglese né calabrese).
Le figure che vediamo (da 1:24:40) ci dimostrano un errore categoriale enorme, dato che l'illusione della condivisione omogenea e primigenia della cultura si può realizzare solo se poniamo "la nascita" delle culture in un momento "Prima del Tempo", prima del Divenire
Questo errore di FUORIUSCITA DAL TEMPO e di presunzione che le cose siano sempre state così è un altro esempio di accettazione subconscia del culturale, dato che a livello razionale siamo tutti e tutte perfettamente consapevoli che le cose, non sono "sempre" state così, e che  quel "si è sempre fatto così" è un giudizio fallace. 
Siamo quindi indotti da questo tipo di pregiudizi cognitivi a considerare inossidabili categorizzazioni che esistono solo in quanto prospettiche, prodotte da una certa posizione classificatoria (con certe scatole di cui non consideriamo la costruzione storica), che sicuramente esiste, ma non ha necessariamente la priorità rispetto a prospettive alternative che raggruppano le cose e le persone in classi assai diverse. Le persone, insomma, si possono raggruppare per categorie o appartenenze in modi veramente fantasmagoricamente diversi, eppure il mondo in cui viviamo ci induce a privilegiare alcune categorie e a sottovalutarne altre.
Il video della TV Danese (che non si vede in questa registrazione per ragioni di copyright) è un esempio molto ben congegnato di questo fatto della realtà sociale che spesso tendiamo a dimenticare: ciascuno di noi appartiene a moltissime categorie, classi o raggruppamenti, e molto spesso l'Altro secondo una certa categoria può essere un Noi secondo un'altra categoria:
VIDEO TV DANESE 

La parte finale della lezione è stata dedicata a un piccolo test di verifica su: la differenza tra cultura alta e cultura bassa; la nozione di tradizionale, quando un oggetto si possa considerare tradizionale; e in che senso la cultura è condivisa.

domenica 11 ottobre 2020

Antropologia culturale Modulo A 03 del 9 ottobre 2020: è la differenza che fa la differenza


Abbiamo iniziato confermando che per gli studenti e le studentesse che prendono iscrizione al corso per quest’anno o che comunque portano il programma di quest’anno, per il modulo A la MONOGRAFIA sarà Oltraggi della memoria, di Lorenzo D’Orsi, Meltemi 2020. Si tratta di una monografia sulla questione della memoria politica in Turchia, e diventerà un modo per gli studenti di antropologia culturale per riflettere sul significato sociale del passato. La storia non è una sequenza oggettiva di eventi ma è vissuta sempre nel presente come forma di collegamento ad alcune identità, modi di essere, sistemi di valori.

Per il modulo B, la professoressa Casentini ha spiegato come ci saranno due monografie tra cui scegliere, a seconda che si prediliga il tema della MIGRAZIONE o quello del GENERE. Nel primo caso si studierà Shahram Khosravi, Io sono confine, Eleuthera, 2019, mentre per il genere la monografia da studiare sarà Alessandra Chiricosta, Un altro genere di forza, Iacobelli Editore, 2019. TUTTE le informazioni per il Modulo della prof. Casentini sono ora incluse nella cartella online del Modulo B.

Nel corso della lezione siamo partiti (dal minuto 11:45) da dove avevamo finito, e cioè la varietà culturale. La varietà culturale quindi, essendo legata alla nostra disposizione simbolica, è veramente enormemente vasta: nessun essere umano, da solo, può immaginare tutto l'immaginabile, ma sicuramente gli esseri umani nel corso della storia, dentro la varietà culturale (le diverse "immaginazioni") che li caratterizza, hanno immaginato COME SPECIE ben oltre l'immaginabile individuale. E una cosa evidente è che queste immaginazioni possono essere in contrasto, opposte da posto a posto, o da tempo a tempo. Pensate a come la pensiamo noi anziani all'utilizzo del social e l'uso che mediamente ne fate voi. Noi abbiamo Facebook come se fosse un salotto di casa, voi usate Instagram come un razzo spaziale per andarvene in giro per il mondo. Pensate ad esempio alle differenze sui gusti estetici.

Per avere un esempio di come possono essere veramente divergenti i gusti e i giudizi culturali, abbiamo visto insieme un breve video che ci racconta quella che ho definito "l'inevitabile tristezza giapponese di Julia Roberts. Il video è un inglese ma l'ho tradotto in consecutiva:

Cosa diavolo è OCHOBO?

https://youtu.be/A5kTiP4wDQU

Apprezzare Julia Roberts per quelli della mia generazione, vi assicuro, ci sembrava una questione del tutto "naturale", ma il valore estetico di Ochobo ci dimostra che così NON è, e che se la povera Julia fosse stata adattata da una famiglia di Tokio sarebbe stata la racchia del quartiere...

Un punto centrale di questa forma complessiva umana della diversità è che istituisce una importante differenza con la diversità comportamentale entro le specie animali. Nessun essere umano pratica TUTTE le tradizioni culturali, ognuno di noi finisce per praticarne alcune, e molti sentono di praticarne una e una sola, ma la IDOSINCRATICITÀ (vale a dire l’unicità esclusiva) della pratica non è mai specificante, cioè NON fa di quei praticanti un gruppo biologicamente separato da coloro che hanno pratiche diverse, proprio perché il nostro sapere è principalmente acquisito e trasmesso per vie non-biologiche. Mentre le api che smettessero di raccogliere polline e iniziassero a nutrirsi di altri insetti sarebbero condannate, per sopravvivere, a diventare un’altra specie, gli esseri umani hanno DENTRO la loro specie una varietà di comportamenti e di pratiche che diventa l’oggetto della nostra riflessione. Sotto il comportamento delle api possiamo cercare il fondamento comune dell’essere ape: studio api in tutto il mondo, guardo come si comportano e induttivamente cerco di ricavare cosa costituisca dal punto di vista comportamentale l’essenza dell’ape, l’apismo o l’apità dell’ape, per usare un lessico aristotelico. Ma con gli esseri umani NON possiamo lavorare allo stesso modo, dato che la loro umanità va vista all’inverso dell’apità, non come comunanza di pratiche (che non c’è) ma come forma della costruzione locale della conoscenza attraverso la comparazione delle differenze. Il video sull’Ochobo ci dice che non ci sono comportamenti prefissati per quanto riguarda l’attrazione dei maschi umani verso la forma delle labbra femminili, dato che in Giappone vige un canone che sembra opposto a quello dell’Occidente Euroamericano. Come minimo, Ochobo ci dice che per gli umani i modelli prefissati di azione (FIXED ACTION PATTERNS) vengono attivati in forme molto, molto più peculiari a seconda dei contesti, ed è quella peculiarità che esige attenzione e il nostro sforzo interpretativo per spiegarla. Invece, i criteri estetici grazie a cui la femmina dell’uccello del paradiso trova e seleziona il partner sono specie specifici (vale a dire unici per quella specie e totalmente uniformi all’interno della specie) e molto, molto rigidi, e questo vale per qualunque specie animale, tranne la nostra: mentre un leone africano e uno asiatico avranno gli stessi “gusti” (dettati proprio dall’interazione tra la dotazione genetica e l’ambiente in cui quel patrimonio genetico si trova ad attivarsi). L’antropologia culturale studia non tanto quel che c’è “sotto la diffenza” ma PROPRIO la DIFFERENZA. Come dice Clifford Geertz: è la differenza che fa la differenza.

Questo certo non sta a significare che dobbiamo rinunciare alle generalizzazioni o che l’antropologia culturale sia solo una scienza descrittiva. Significa piuttosto che il nostro apporto come studiosi e studiose è quello di prestare attenzione al senso locale di quella specifica pratica, e vedere sullo sfondo di quadri più ampli se pratiche diverse indicano tendenze comuni, e quali. Le regole del comportamento umano si devono quindi contenere a generalizzazioni molto generali, del tipo: “le scelte del partner sono spesso associate a principi estetici che valgono anche in altri ambiti della vita sociale, oltre a quello dell’attrazione sessuale”, ma senza poter generalizzare sui contenuti di quei principi, che dipendono dalla cultura locale.

Conclusa questa prima parte sulla VARIETÀ del culturale umano, abbiamo ripreso la questione dell'APPRENDIMENTO.

FORMALE vs INFORMALE (l'elaborazione del GUSTO, cenni di Pierre Bourdieu). Per questo aspetto, abbiamo visto come “sappiamo” un sacco di cose, su quale sia un cantante veramente da adorare e quali invece facciano “schifo”, oppure se vediamo un gruppo di persone di un certo ceto sociale è relativamente facile individuare l’eccezione che proviene da un’altra classe, e questo grazie a “competenze” specifiche che abbiamo ovviamente appreso, anche se fatichiamo a dire come e dove e da chi.

Sul SAPERE CORPOREO e SAPERE LINGUISTICO abbiamo riflettuto un po’ frettolosamente, ma possiamo sintetizzare il fatto che il sapere corporeo, in particolare quello della mano, le tecniche dell’artigianato e dei mestieri (“rubare con gli occhi”), si pongono quasi consapevolmente in contrapposizione al sapere linguistico (e non abbiamo avuto tempo di riflettere quanto questa contrapposizione sia anche “ideologica”, vale a dire utilizzabile con intenti politici, opponendo la “concretezza” alla “teoria”, il “saper fare” al “parlare vuoto”).

Sul sapere del corpo abbiamo visto qualche secondo da questo, video, che parla di Paolo Brandolisio, un "remèr" o "forcolaio" veneziano: https://youtu.be/mOkxTjtUT1s?t=116

E questo invece è un video (che non abbiamo fatto in tempo a vedere) sul "più veloce parlatore del mondo", come esempio esasperato di sapere linguistico (anche se in questo caso specifico diventa quasi corporeo...):

https://youtu.be/ExKCcndqK5c?t=41

Nell'ultima parte della lezione abbiamo toccato un'altra distinzione che gli antropologi NON fanno ma che considerano comunque essenziale dato che tutte le culture la fanno eccome: la GERARCHIA DEI SAPERI, la valutazione culturale di ciò che si sa in una scala gerarchica, e per esemplificare un poco abbiamo parlato dei vostri fidanzati e delle vostre fidanzate, facendo un piccolo test che, nonostante le resistenze di qualcuno espresse nella chat durante la lezione, ha confermato il fatto che tutte le culture istituiscono GERARCHIE DI VALORI, attribuendo più prestigio ai portatori di certe competenze e non di altre.

Ci siamo lasciati dicendo che la prossima lezione si aprirà con una riflessione su una delle cose più conturbanti del sapere culturale, e cioè il suo essere molto spesso subconscio: ci sono test che dimostrano che abbiamo delle regole in testa e che le applichiamo con estremo rigore, eppure se non si è passato un processo di istruzione formale di istruzione non abbiamo la minima idea di avere quelle regole e di applicarle. 

venerdì 9 ottobre 2020

Seconda lezione di Antropologia culturale (Modulo A) del 7 ottobre 2020: loro possono, noi dobbiamo

 

    

Abbiamo ripreso i concetti chiave di Harari, e cioè che gli esseri umani sanno cooperare in forma FLESSIBILE e in GRANDI NUMERI, diversamente dagli animali che o cooperano in grandi numeri ma rigidamente (come fanno gli insetti) oppure in modo flessibile ma in piccoli numeri (come fanno molti mammiferi). Abbiamo per ciò confrontato un alveare e una banda di cacciatori raccoglitori di fronte a una crisi ecologica: chi ha più possibilità di sopravvivere adattandosi, e quali sono le modalità di quell'adattamento? Il fatto che gli animali abbiano "meno sapere appreso" degli umani non significa che non abbiano cultura, e con l'esempio (tratto da Behave di R. Sapolsky) delle madri scimpanzé che insegnano ai cuccioli (soprattutto alle femmine) come procurarsi e usare diversi strumenti per raccogliere insetti, semi e piccole prede, e soprattutto con il clamoroso racconto (pietra miliare del Sapolsky primatologo) della banda di babbuini fricchettoni, abbiamo dovuto ammettere che anche gli animali POSSONO avere cultura, cioè attivare pratiche di comportamento apprese e trasmesse. Ho scritto POSSONO in maiuscolo per evidenziare che per gli animali la cultura è un optional, un lusso o comunque una parte minima nell'organizzazione dei loro pattern di comportamento, che sono in grande misura strutturati biologicamente e in interazione con l'ambiente naturale (cioè con l'ambiente in cui quegli stessi animali si trovano a vivere). Gli esseri umani, INVECE DEVONO affidarsi per la loro sopravvivenza di base a modelli di comportamento APPRESI e non hanno (più) schemi biologicamente predisposti, proprio perché hanno attivato con il linguaggio modi di IMMAGINAZIONE del reale che non solo si sovrappongono alla realtà fisica (come dice Harari) ma di fatto ci si impastano, rendendo sempre più impossibile dire quel che gli esseri umani vedono come reale-reale e quel che invece è reale-culturale, perché lo stesso reale-reale è elaborato secondo filtri culturali (ma su questo dovremo tornarci).

La specificità dell'uomo è quindi da un lato il peso ECCEZIONALE che il sapere appreso (la cultura, dunque) ha nella loro vita ordinaria rispetto a qualunque altro animale, per quanto socialmente evoluto e neurologicamente complesso, ma dall'altro il fatto, questo sì assolutamente unico, che gli esseri umani vivono le loro vite fin da subito dentro una DISPOSIZIONE SIMBOLICA, cioè la capacità di associare "nella loro testa" (in realtà nelle loro strutture sociali e culturali) qualunque cosa a qualunque valore o giudizio, o qualunque cosa a qualunque altra cosa "da qualche punto di vista" (questa poi è la definizione di Segno come Umberto Eco la leggeva di Ch.S. Peirce). Insomma la formula della cultura è la seguente:

St - Si = Sa = C

Dove

St = Sapere totale

Si = Sapere innato

Sa = Sapere appreso = Cultura

Il video che racconta come le bici siano diventate il mezzo principale di locomozione in Olanda è stato mostrato a lezione per associare la FLESSIBILITA' (che è il lato forte della cultura, quel che le permette di adattarsi rapidissimamente ai mutamenti ambientali) alla FRAGILITA', che è invece il lato debole, dato che ogni sistema culturale, per quanto elegante, per quanto adattivo e per quanto bello DEVE ricominciare da zero a ogni generazione, dato che trasmissione intergenerazionale avviene con un durissimo LAVORO che si chiama insegnamento/apprendimento. La trasmissione di modelli di comportamento biologicamente fissi (Fixed Action Patterns) si basa esclusivamente sulla riproduzione, per cui uno scarabero stercorario non deve fare nessun corso per imparare a fare la sua pallina dicacca, e le tartarughine che nascono sulla sabbia "sanno" già che devono correre verso il mare senza essersi iscritte a un tutorial prenatale. Abbiamo quindi concluso anticipando come apriremo la prossima lezione: la natura appresa della cultura ne fa esplodere le differenze. Mentre gli animali della stessa specie, che hanno pattern di comportamento fissati in gran parte dalla biologia devono mantenere il più uniforme possibile il loro bacino genetico che è anche bacino comportamentale, visto che ogni variazione comportamentale presuppone una variazione genetica che punta inevitabilmente alla speciazione (cioè al passaggio verso un'altra specie di coloro che praticano quella variazione comportamentale in ragione di un soggiacente mutamento genetico), gli esseri umani, che apprendono i loro modelli di comportamento in modo attivo e che hanno in gran parte slegato quei modelli da qualunque matrice biologica (non c'è alcuna ragione biologica per cui alcuni popoli sono vegetariani) sono d fatto "liberi" di variare i loro comportamenti senza per questo sminuire la loro umanità, anzi arricchendola. Se un cane cominciasse a miagolare o ad arrampicarsi sugli alberi potremmo mettere in dubbio la sua caninità, ma se un uomo comincia a parlare una nuova lingua o mette in atto una nuova pratica mai provata prima, questo arricchisce la sua umanità, non certo la mortifica.


martedì 6 ottobre 2020

Prima lezione di Antropologia culturale (Modulo A) del 5 ottobre 2020


Non lo sapevo che le aule Zoom avessero una capienza massima di 300 collegamenti (ma mi dicono che quelle Teams sono ferme a 250, per cui non mi lamento) e quindi ieri, alla prima lezione del Modulo A di Antropologia culturale (che quest'anno insegno con Giulia Casentini, che si occuperà soprattutto del Modulo B) eravamo strapieni con lo Zoom che schioppava di presenze.
Bene, direi che è andata bene, abbiamo presentato un po' il corso, come si svolgerà per l'organizzazione pratica. Lavoriamo cercando di produrre interazione con gli studenti, che è la cosa fondamentale da fare, se non si vuole insegnare a vanvera, e quindi usiamo la chat incorporata in Zoom ma anche Mentimeter, che consente di fare presentazioni non tanto "fighe" quanto strutturate attorno alla risposta costante con chi ascolta. Non sono certo un fan delle assemblee, e anzi credo che "la lezione" debba avere una sua struttura gerarchica di comunicazione, se non vuole scadere nel discorso da bar, cosa purtroppo non impossibile quando si maneggiano le scienze sociali, ma dai miei colleghi pedagogisti ho imparato che non è tanto la compresenza fisica a rendere efficace la trasmissione del sapere, ma piuttosto la capacità di ascoltare quelli che, prima di tutto, devono ascoltare, e gestire le loro esigenze per tempo, senza attendere le verifiche delle calende greche. Gli studenti e le studentesse hanno bisogno di far capire se e quanto hanno capito, e la cosa bella della DaD è che ti costringe a tenere conto della questione senza seppellirla sotto la convenzione del "siamo tutti assieme", e "condividiamo", perché anche un'aula in presenza gremita di studenti con un professore che parla senza interagire per 90 minuti non è il massimo di efficienza didattica.
Dai, per ora mi pare sia andata bene, vediamo ora poi come proseguirà.

 

domenica 4 ottobre 2020

Programma e materiali ANTROPOLOGIA CULTURALE 2020-2021


 Il corso di Antropologia culturale 2020-21 (Modulo A e Modulo B) di Tor Vergata si tiene quest’anno a partire dal 5 ottobre 2020 sulla PIATTAFORMA ZOOM. Il corso è nominalmente assegnato a Piero Vereni per molti corsi di laurea e a Giulia Casentini per il Corso di Beni Culturali, ma di fatto è un corso congiunto per tutti i corsi di laurea, compreso il PF24. In pratica, Piero Vereni insegnerà soprattutto nel modulo A e Giulia Casentini soprattutto nel Modulo B, ma i due docenti potranno contribuire a entrambi i moduli e la valutazione degli esami sarà congiunta.

Tutte e tutti coloro che intendono superare a qualunque titolo un qualunque numero di crediti di Antropologia culturale nel corso dell’anno accademico 2020/2021 sono tenuti a compilare questo modulo online con i loro dati, che ci consentono di avere precompilato un file excel privato predisposto dove i docenti potranno riportare le valutazioni intermedie, gli esoneri e la valutazione della tesina finale.

Il modulo è organizzato quindi per le lezioni con dirette Zoom i cui link sono già disponibili nel calendario di Tor Vergata caricato su questo blog, ma ogni lezione viene contemporaneamente registrata e il file audio è scaricabile qui, mentre il file audio-video si può vedere sul canale YouTube di Piero Vereni.

NON faremo lezioni su Teams ma tutto il corso si terrà su Zoom. Per interagire durante le lezioni, gli studenti potranno usare in diretta la chat interna di Zoom (che verrà registrata come file di testo e acclusa ai materiali didattici a fine di ogni lezione) e verranno sollecitati a usare la piattaforma Menti.com dove avranno la possibilità di partecipare a rapidi questionari e quiz sui temi della lezione.

La valutazione dell’esame sarà in forma scritta, con un test sul programma generale e un test sulla monografia. Le prove scritte saranno effettuate esclusivamente online sulla piattaforma ClassMarker.

Oltre alle prove online, le studentesse e gli studenti saranno valutati anche su una tesina finale che prepareranno seguendo le dettagliatissime indicazioni contenute nella “cartella studenti”.

Ecco i principali link per ora disponibili:

MODULO DI ISCRIZIONE ONLINE: http://tiny.cc/ModIscrizVERENI20-21

PROGRAMMA DI ESAME (DA LEGGERE BENE): http://tiny.cc/PROGRAMMAAntCult20-21

CARTELLA STUDENTI: http://tiny.cc/CartellaStudenti20-21

DISPENSA MODULO A: http://tiny.cc/AntCultDispensa20-21

MP3 MODULO A: http://tiny.cc/Mp3ModAVereni20-21

PLAYLIST YOUTUBE MODULO A: http://tiny.cc/YouTubeAntCultA20-21

DISPENSA MODULO B: http://tiny.cc/DispensaAntCultB20-21

MP3 MODULO B: http://tiny.cc/Mp3AntCultB20-21

venerdì 2 ottobre 2020

Insegnare Italiano L2 al PEF – Polo Ex Fienile

 

Con la crisi sanitaria ci siamo messi in ascolto, noi che facciamo lavoro al PEF – Polo Ex Fienile, e invece di imporre o importare sul territorio progetti calati dall’alto, abbiamo capito in questi mesi che il primo passo è quello di ascoltare le storie delle persone, le loro motivazioni, le loro richieste, le loro aspirazioni.

Il confezionamento e dei pacchi bebè e poi dei pacchi alimentari è iniziato per questo, per rispondere a una vera emergenza economica esplosa con il lockdown, e il servizio ora attivo di “doposcuola” è sulla stessa linea, quella di fornire alle persone e alle famiglie del quartiere ciò di cui hanno più bisogno in questo periodo.

Una richiesta pressante da parte di molti genitori (soprattutto mamme) che frequentano il PEF è quella di avere accesso a lezioni di lingua italiana per stranieri, dover acquisire senza oneri economici lo strumento di base della cittadinanza e dell’integrazione, e cioè le competenze linguistiche e civiche dell’italiano.

Al PEF – Polo Ex Fienile ci siamo preparati e stiamo quindi per partire con corsi di lingua italiana per gli adulti stranieri nel VI municipio e nel quartiere di Torbellamonaca in particolare. Abbiamo bisogno di volontari e volontarie, persone abilitate per l’insegnamento o comunque in grado di maneggiare le competenze necessarie per questo lavoro che ha pochi equivalenti per importanza nell’acquisizione della cittadinanza attiva.

Se siete studenti o studentesse di lingue che pensano di lavorare nell’insegnamento dell’italiano come lingua seconda, e se vi interessa mettere a frutto le vostre competenze e la vostra passione per un lavoro di cui tutta la comunità territoriale non potrà che beneficiarne, vi preghiamo di mettervi in contatto con il PEF e i suoi operatori. Se mandate qualche riga di presentazione al mio indirizzo mail piero.vereni@gmail.com con un vostro recapito e ogni altra informazione pensiate possa essere utile, sarà mia cura girare la vostra mail a Lorenzo Natella, l’operatore della Associazione 21 Luglio che gestisce questo progetto al PEF.

Con un gruppo di studenti di Tor Vergata, in modo del tutto sgangherato (mio) e incredibilmente appassionato (da parte degli studenti) per tre anni abbiamo organizzato una scuola di italiano al TMC – Torpignattara Muslim Center, una delle più belle esperienze per me da quando sono a Roma, in termini di arricchimento personale, di creazione di relazioni e di condivisione di umanità attraverso la condivisione dei principi della cittadinanza. Sono convinto che chi vorrà partecipare (per ora, ripeto, a titolo totalmente volontario, appena la situazione dei tirocini – legata alla pandemia che ancora blocca o rallenta molte cose – si sistemerà negli Atenei vedremo se si potranno erogare crediti formativi a qualche titolo) troverà in questa esperienza una grande ricchezza, e una grande bellezza.