2011/12: INFORMAZIONI PER CHI AVEVA 12 CFU E TUTTI GLI MP3 DELLE LEZIONI

giovedì 17 aprile 2025

Antropologia delle religioni - Lezione #01 del Modulo B di Antropologia culturale per Tor Vergata - Pietro Vereni

 

Lezione numero B01 registrata l'11 novembre 2024

Lezione 01 - Introduzione al modulo e al tema del religioso

La lezione si apre con una riflessione personale e culturale sulla festa di San Martino a Venezia, usata come esempio per mostrare come riti e ritualità permangano nella vita quotidiana anche in forme secolarizzate. Il punto di partenza del corso è l’idea che il religioso non sia una “stranezza” relegata ad altre culture o a tempi antichi, ma una dimensione strutturale dell’umano, anche nel contesto contemporaneo.

Una prospettiva antropologica sul religioso

Il corso si propone di non trattare “la religione” al singolare, ma di riflettere su ciò che definisce “il religioso” come approccio, prospettiva, o modalità esperienziale. Come l’antropologia ha smesso di usare il concetto di “cultura” come entità compatta e totalizzante, così questo modulo proverà a destrutturare l’idea di religione come categoria universale, per riflettere invece su come certe pratiche e credenze siano modi specifici di dare senso al mondo.

Il problema del secolarismo e della scienza

Si ripercorre brevemente la nascita dell’antropologia nel contesto della modernità secolarizzata, in cui si cercava di spiegare il comportamento umano senza più fare riferimento a Dio come fondamento. L’antropologia nasce in un contesto epistemologico in cui la religione è già considerata falsa o superata, e ciò introduce un bias interpretativo nei confronti dei sistemi religiosi studiati. La difficoltà principale dell’antropologia delle religioni è allora ricostruire il punto di vista “emic” delle popolazioni studiate, pur partendo da un pregiudizio sulla falsità del loro mondo.

Obiettivo del corso

Il docente propone un approccio sperimentale e interattivo per questo modulo, con uscite sul campo (visita al quartiere di Torpignattara e alla sua “diversità religiosa” e al Santuario del Divino Amore) e l'uso di testi fondamentali ma anche materiali più recenti. L’obiettivo è lavorare collettivamente su un terreno di ricerca ancora in parte aperto.

Il programma di letture

  • Ugo Fabietti, con tre capitoli introduttivi su religione, magia e scienza.
  • Clifford Geertz, “La religione come sistema culturale”, per introdurre il rapporto tra antropologia e religioso come fatto storico e culturale.
  • Riflessione sulla Scuola Romana di Storia delle Religioni, con autori come Raffaele Pettazzoni, Angelo Brelich, Dario Sabbatucci.
  • Gregory Bateson, Dove gli angeli esitano, per un’epistemologia del sacro.
  • Marshall Sahlins, La nuova scienza dell’universo incantato, che rappresenta il cuore teorico del corso.
  • Lettura del capitolo “La società politica originaria” di David Graeber e Marshall Sahlins per riflettere sul rapporto tra religione e potere.

Religione, potere e verità

Viene anticipato un tema centrale del corso: il triangolo potere-verità-religione, spesso affrontato attraverso la lente foucaultiana. In particolare, viene criticata la posizione di Talal Asad, che vede la religione come prodotto di discorsi di potere. Il docente rifiuta questa posizione postmoderna e decostruzionista, sostenendo che la dimensione religiosa è autonoma e non riducibile a una funzione di altro.

Il religioso come provincia autonoma del significato

Viene ripresa da Alfred Schutz l’idea delle “province di significato”: scientifica, estetica, del senso comune, religiosa. Il religioso, secondo questa visione, non è una variabile dipendente, ma un modo umano di interagire con il mondo, autonomo e necessario.

Ontologie e svolta prospettica

Si introduce la cosiddetta svolta ontologica: le culture non vanno più intese solo come sistemi simbolici, ma come vere e proprie ontologie, cioè modi di concepire il reale. In molte cosmologie indigene non c’è opposizione tra natura e cultura: il mondo è abitato da esseri umani e meta-umani (spiriti, antenati, animali-soggetto). Il potere viene concepito come qualcosa di extra-umano, a cui si accede tramite riti, ruoli (re, sciamani, sacerdoti), e il religioso è proprio lo spazio in cui questo potere viene reso maneggiabile.

Inversione rispetto a Durkheim

Mentre Émile Durkheim vedeva la religione come proiezione simbolica della società (la società divinizzata), Sahlins propone un’inversione radicale: la società umana imita il potere meta-umano, e la politica nasce come tentativo di canalizzare quella forza. La politica, in questa prospettiva, è funzione della religione, e non viceversa.

Religione e spazio urbano

Il corso si occuperà anche del rapporto tra religione e città, con attenzione al contesto romano. Si leggerà un saggio del docente scritto con Valeria Fabretti, intitolato Spazio certo e luoghi vaghi, che analizza la complessità religiosa urbana e la globalizzazione del cattolicesimo romano, soprattutto dopo l’elezione di Giovanni Paolo II nel 1978.

Globalizzazione e super-diversità religiosa

Attraverso Appadurai e Steven Vertovec, si introdurranno i concetti di super-diversity e i paradossi della globalizzazione religiosa, in cui la tendenza all’omogeneizzazione coesiste con l’emergere di nuove differenze religiose locali (come il neopaganesimo urbano o le varianti locali dell’islam).


Antropologia degli zainetti


Ci sono immagini che, una volta viste, non si riesce più a togliere dagli occhi. Una di queste è la fila ordinata (si fa per dire) di schiene metropolitane, romane o milanesi che siano, su cui campeggia lui: lo zainetto. Non lo zaino, che richiama qualcosa di robusto, militare, alpino o almeno escursionistico. No, proprio lo zainetto, parola che finisce in "-etto" e che quindi, in perfetto italiano, infantilizza. Difficile immaginare che un tempo un quarantenne girasse con uno zainetto. Oggi è la norma.

Non solo: lo zainetto si è imposto come mezzo standard di trasporto delle cose del lavoro. Computer, caricabatterie, agenda, pranzo da casa, maglietta di ricambio, deodorante, borraccia termica, leggins per la palestra. L'età media dello zainetto si è alzata. Se una volta segnava il tempo della scuola, oggi è diventato il compagno di viaggio dei knowledge workers, di quelli che lavorano in coworking, ma anche del neosegretario in scooter, della pendolare con l'abbonamento annuale e dello smart worker che smart lavora in treno. Insomma, lo zainetto ha avuto successo, e va detto che ha anche dei buoni argomenti: è comodo, pratico, bilanciato. Ma è proprio nella comodità che si nasconde il virus antropologico.

Da veneziano, io ho imparato fin da piccolo che lo zainetto si toglie. Sui vaporetti c’è persino un cartello apposito: si prega di togliere lo zaino dalle spalle. Questione di sopravvivenza, di equilibrio, di non finire col sedere in briccola al primo rollìo. Ma soprattutto, questione di rispetto: lo zaino sulle spalle ingombra. Ingombra dietro, cioè in una zona del corpo che non vediamo. E questa invisibilità lo rende subdolo, pericoloso, micidiale.

Nei mezzi pubblici romani, che già di loro sono laboratori viventi di microfisica del potere (nel senso che ogni viaggio è una lotta darwiniana per la sopravvivenza), gli zainisti — così li chiameremo — si aggirano come pachidermi con la grazia di una betoniera. E lo zaino, che portano orgogliosamente sulle spalle, diventa un’arma contundente. Una zainata al fianco, una zainata alla mandibola, una zainata in pieno sterno: chi frequenta la linea B sa di cosa parlo. Il punto è che loro non se ne accorgono. Non è cattiveria: è una disfunzione percettiva. Non si rendono conto che il loro corpo eccede, che sono un volume maggiorato, che stanno invadendo lo spazio altrui. Si muovono come se nulla fosse, con la tranquilla arroganza di chi dice “io sto solo fermo qui” mentre occupa due posti e mezzo e sfregia con la cerniera del proprio zaino il giaccone del vicino.

È uno strano stato d’animo, quello degli zainisti: egocentrico e inconsapevole, un po’ come chi parla a voce alta al telefono credendo che nessuno lo ascolti. È il trionfo di una concezione distorta del corpo nello spazio urbano: il corpo come isola, come modulo impermeabile, come zona autonoma che non si interroga sul suo impatto, letterale e figurato, sugli altri.


Mi sono chiesto da dove venga questa deriva, e un pensiero mi ha colpito: le rampe metalliche sui ponti di Venezia. Una volta non c’erano. Se avevi una difficoltà — passeggino, stampelle, trolley — ti aiutava qualcuno. Ora ci sono rampe, scivoli, strutture permanenti. E questo, beninteso, è un segno di civiltà. Ma anche qui c’è un cambio di paradigma: non si fa più affidamento sul prossimo. Si presume l’assenza dell’altro. La città si progetta come se fossimo tutti da soli. Nessuno ci aiuterà: non ci sarà una mano, una parola, un gesto. Né noi saremo quella mano, quella parola, quel gesto.

Allora ecco che lo zainetto non si toglie più: perché si presuppone che gli altri non esistano, o che comunque non valgano abbastanza da modificare il nostro comportamento. Non è maleducazione, è solitudine strutturale. Ognuno è solo sul cuor della metropoli, e agisce come se fosse l’unico passeggero.

Ma non c’è nulla di catastrofico, voglio essere chiaro. Questi sono sintomi, segnali, piccoli indizi di un cambiamento nella concezione della persona nello spazio pubblico. La catastrofe, semmai, è altrove: è nel mondo che ci educa a pensare che lo spazio sia tutto nostro, nel bene e nel male. Lo zainetto in sé non ha colpe. È solo un oggetto, poveretto. È l’uso che se ne fa, il suo significato sociale, che dice qualcosa di noi.

E allora, magari, se lo togliete prima di salire in metro, non fate solo un favore alla mia milza: fate un piccolo, minuscolo gesto di reinserimento nella specie.

 

mercoledì 16 aprile 2025

La fine dei maestri


Il sapere sta uscendo dal corpo. Lo sta facendo da millenni, certo, ma ChatGPT — con quella sua “G” benedetta e maledetta — sembra compiere l’ultimo atto di questa lunga migrazione. Una migrazione etimologica, potremmo dire: perché sapere viene da sapere, ovvero avere sapore. Gustare. E invece oggi il sapere si può usare senza mai gustarlo davvero. È lì, a portata di mano, come un utensile ben affilato. Ma non ti passa nel sangue, non ti scombina i sensi.

Fu la scrittura, all’alba della civiltà, il primo passo di questa disincarnazione: spezzò l’unità tra sapere e memoria vivente. Poi venne la stampa, che rese popolare ciò che era rimasto elitario. I documenti — tavolette, pergamene, libri, microfilm, PDF, ologrammi — hanno via via sostituito la carne, oggettivando la conoscenza in forme sempre più esterne. Ne parla Simmel in Le metropoli e la vita dello spirito, lamentando come l’intensità vissuta dell’esperienza venga sostituita dalla distanza analitica, e il sapere smetta di essere interiorità per diventare architettura. Dura, fredda, impersonale.

Ora ChatGPT, generativo per definizione, non si limita a conservare o riprodurre: produce. E lo fa su richiesta. Il sapere è diventato effervescenza combinatoria. Ma resta esterno, reversibile, modulare. Possiamo sapere tutto senza mai diventare nulla di ciò che sappiamo. Ed è per questo che questa tecnologia segna la fine dei maestri.

Perché un maestro — attenzione — non era solo uno che sapeva. Era uno che aveva incorporato. Che aveva respirato, gustato, digerito e assimilato. Uno che non si era limitato a leggere libri, ma che li aveva traspirati. Come Gurdjieff diceva ai suoi allievi: “Tu puoi conoscere una cosa in tre modi — con la testa, con il cuore e con il ventre. Solo quando tutte e tre dicono la stessa cosa, allora tu sai davvero”.

Per essere un maestro bisognava aver tanto studiato e tanto vissuto. Non si era buoni maestri se non c’era stato il corpo a corpo con la vita: ginocchia sbucciate, mani graffiate, cuore esposto. Il sapere, per essere insegnato, doveva essersi fatto carne, come nei versi di Rilke: “Non ci sono esperienze spirituali che non si siano anche impresse sulla pelle”.

Con ChatGPT si possono fare un sacco di cose (anche questo post, o meta-post, se vogliamo giocare). E a volte vengono pure bene. Ma restano sempre lì fuori. Al massimo possono incastonarsi in quel che avevamo già dentro. Mai diventare parte di noi. È un sapere nuovo, potente, con cui dobbiamo imparare a convivere. Ma se vogliamo ancora coltivare la vocazione dei maestri, dobbiamo anche imparare a tenerlo a bada.

Va benissimo per giocare, per costruire ipotesi, perfino per fare scienza di alto livello — e lo dico senza ironia. Ma serve a poco per trasmettere quel sapere, quello che si insegna con la presenza e con il tono della voce, con il ritmo del silenzio, con le mani sulla carta, con lo sguardo negli occhi. Perché quello che puoi trasmettere davvero è solo ciò che ti ha trasformato: non ciò che conosci, ma ciò che sei diventato.

Jean-Pierre Olivier de Sardan lo dice con chiarezza parlando dell’apprendimento durante la ricerca etnografica: servono due cose, il taccuino e l’impregnazione. Leonardo Piasere, con la sua ironia veneta, lo traduce meglio: non "impregnato", ma imbombegà. Inzuppato. Come un biscotto nel latte caldo. Ecco, ChatGPT può fare moltissimo, ma non potrà mai farti diventare imbombegà. Non ti renderà mai zuppo di sapere vissuto. E senza quella zuppa addosso — senza quel misto di calore, fatica e sapore — non c’è verso di insegnare davvero.

E quindi sì, possiamo anche celebrare l’accesso universale al sapere. Ma sarà sempre più importante chiederci: cosa sappiamo con le ossa? Cosa con la pelle? Cosa con il respiro? Perché solo quello che è arrivato fino a lì, alla fine, può essere insegnato.

martedì 15 aprile 2025

Il mito della sovrappopolazione e la fine dell'antropologia apocalittica

 

Nel mondo reale, non in quello degli slogan ecologisti anni ’70, non siamo troppi: siamo sempre meno. Leggendo l’articolo pubblicato il 14 aprile 2025 su Il Foglio, che riporta un’analisi di Foreign Policy firmata da Ivan Krastev e Stephen Holmes, risulta evidente come il vero incubo del XXI secolo non sia la sovrappopolazione, ma lo spopolamento. Russia e Ucraina, al centro di un conflitto che viene giustamente interpretato anche come una “guerra di lutto”, sono solo i casi più drammatici di una tendenza che coinvolge quasi tutto il pianeta.

Nel 2015, il tasso di fertilità globale era già sceso alla metà di quello del 1965, e oggi la maggior parte della popolazione mondiale vive in società con tassi di natalità inferiori al livello di sostituzione. La Cina, che per decenni ha imposto politiche di controllo delle nascite con il consenso implicito degli ambienti progressisti occidentali, si trova oggi a fronteggiare una crisi senza precedenti: secondo The Lancet (2020), la popolazione cinese potrebbe dimezzarsi entro il 2100. Uno scenario simile si profila per la Corea del Sud, il Giappone, l’Italia, la Spagna e persino gli Stati Uniti, dove solo l'immigrazione mantiene a galla il bilancio demografico.

Il mito della “bomba demografica” è stato uno degli assiomi ideologici del pensiero ecologista del secondo Novecento, eredità diretta del Club di Roma e del suo famoso rapporto del 1972, I limiti dello sviluppo. Ma quel modello previsionale, che presumeva una crescita esponenziale e lineare della popolazione umana, si è rivelato sbagliato. La realtà storica ha smentito le sue premesse teoriche, ma l’ideologia sopravvive, impastata con un senso di colpa occidentale che trasforma il semplice fatto di esistere in un atto ecologicamente criminale.

È su questa base che ancora oggi si invocano riduzioni della popolazione, “decrescita felice”, e addirittura sterilizzazioni volontarie come atto di giustizia climatica. Eppure, il mondo reale ci mostra un’altra storia: il collasso demografico sta producendo, già ora, effetti sociali ed economici devastanti, e potenzialmente destabilizzanti anche dal punto di vista geopolitico. Se davvero la guerra di Putin può essere letta come un tentativo di risposta paranoide a un crollo demografico percepito come esistenziale, allora è tempo di archiviare definitivamente la retorica della sovrappopolazione.

E qui l’antropologia culturale ha delle responsabilità. Per troppo tempo, anche la nostra disciplina si è lasciata affascinare da narrazioni catastrofiste, ripetendo meccanicamente i mantra malthusiani e riproducendo la paura dell’umano in quanto tale. Ma un’antropologia che si vuole “scienza della cultura” non può fondarsi su un rifiuto della continuità umana. Se la popolazione mondiale smette di crescere, e anzi invecchia e si ritira, anche l’oggetto stesso dell’antropologia – le forme culturali dell’umano in relazione – rischia di diventare evanescente.

Il compito dell’antropologia non è assecondare l’apocalisse, ma interpretare la vita. E oggi ciò significa riconoscere che il vero problema non è “troppa umanità”, ma troppo poca umanità. Servono modelli culturali capaci di accogliere la natalità come bene collettivo, la famiglia come risorsa, la generatività come valore sociale. Continuare a immaginare un mondo da cui l’essere umano debba essere espulso per salvare il pianeta significa condannarsi all’estinzione anche come disciplina.

Forse è il momento di riscoprire l’antropologia non come “scienza della critica” permanente, ma come scienza della cura, impegnata a costruire legami, generazioni, futuro. Non un futuro senza uomini, ma un futuro umano.

Fonti principali:

  1. The Lancet (2020)Fertility, mortality, migration, and population scenarios for 195 countries and territories from 2017 to 2100: a forecasting analysis for the Global Burden of Disease Study. [DOI: 10.1016/S0140-6736(20)30677-2] (Proiezione su scala globale della contrazione demografica fino al 2100) https://www.thelancet.com/article/S0140-6736(20)30677-2/fulltext
  2. World Bank – World Development Indicators – Sezione "Fertility rate, total (births per woman)"
    https://databank.worldbank.org
  3. UN DESA – World Population Prospects 2022
    https://population.un.org/wpp/
    (Fonte ufficiale ONU per dati demografici, con grafici e tabelle dettagliate per paese e proiezioni)

Consiglio anche:

  • Paul Morland, The Human Tide: How Population Shaped the Modern World (2019) – un saggio accessibile e ricco di dati, utile per comprendere il peso reale dei mutamenti demografici nella storia recente.
  • Darrell Bricker & John Ibbitson, Empty Planet: The Shock of Global Population Decline (2019) – una critica ben argomentata all’ideologia della sovrappopolazione.

 

domenica 13 aprile 2025

Approfondimento su Antropologia della parentela - Lezione #16 di Antropologia culturale Modulo A - Pietro Vereni per Tor Vergata

 

                                               Lezione numero 16 registrata l'8 novembre 2024

L'importanza della parentela in antropologia

La lezione si apre ribadendo che l'antropologia della parentela è uno dei campi fondamentali della disciplina, nonostante la sua apparente marginalizzazione nei programmi contemporanei. Pietro ne sottolinea il carattere formativo: studiare le diverse logiche parentali aiuta a comprendere come società diverse definiscano i legami fondamentali che strutturano l'appartenenza e l'identità.

Differenze tra sistemi unilineari e cognatici

Una prima grande distinzione proposta è tra sistemi di discendenza unilineari (patrilineari o matrilineari) e sistemi cognatici. Nei sistemi unilineari si appartiene a un solo gruppo di discendenza, mentre nei sistemi cognatici, come quelli occidentali, la parentela si costruisce tenendo conto di entrambi i genitori.

Nei sistemi unilineari, la discendenza è strettamente legata alla trasmissione di status, beni e identità, mentre nei cognatici è più flessibile, spesso meno associata a obblighi collettivi. Pietro evidenzia che, in chiave antropologica, la parentela non è una mera descrizione biologica, ma una costruzione culturale che produce identità e responsabilità.

Ego e antenato come criteri di costruzione genealogica

Viene introdotta la distinzione tra genealogie ego-focus e ancestor-focus. Nei sistemi ego-centrati, tipici della modernità occidentale, si parte dall’individuo e si costruisce la parentela attorno a lui. Nei sistemi ancestor-centrati, invece, ciò che definisce l’identità e l’appartenenza è l’iscrizione in una linea genealogica a partire da un antenato comune, spesso mitico.

Clan e lignaggi

Si analizzano due modalità fondamentali di strutturazione della parentela unilineare: il clan e il lignaggio. Il clan è un’entità spesso simbolica, che si rifà a un antenato mitico e i cui membri non possono necessariamente tracciare genealogie dettagliate. Il lignaggio, invece, implica la possibilità di ricostruire in modo preciso la catena genealogica fino all’antenato. Questa distinzione permette di capire le diverse logiche di identità collettiva e di regolazione dei rapporti sociali.

Sistemi residenziali post-matrimoniali

La lezione passa poi a descrivere i diversi modelli residenziali dopo il matrimonio: patrilocali, matrilocali, avuncolocali, neolocali, uxorilocali. Ogni sistema riflette l’importanza di uno dei due gruppi parentali nella vita quotidiana della nuova coppia e si collega ai sistemi di discendenza e alle strutture di potere e trasmissione del sapere e dei beni.

Logiche matrimoniali: cugini incrociati e cugini paralleli

Pietro introduce quindi una distinzione cruciale in antropologia della parentela: quella tra cugini paralleli (figli di due fratelli o di due sorelle) e cugini incrociati (figli di un fratello e di una sorella). In molti sistemi, il matrimonio con cugini paralleli è tabù, mentre è preferito o addirittura obbligatorio con i cugini incrociati. In tutti i sistemi a discendenza unilineare il punto essenziale da comprendere è che i due cugini costituiscono due tipi sociali molto diversi: un tipo è visto come sposabile, l’altro come non-sposabile e anzi soggetto al tabù dell’incesto. Quale cugino sia sposabile e quale sia invece tabù dipende da come quel gruppo culturale ha stabilito le regole matrimoniali, se ci sia qualche tipo di endogamia o di esogamia.

La distinzione tra cugini paralleli e cugini incrociati, tipicamente, è fondamentale nei sistemi di scambio diretto, in cui due gruppi si scambiano sistematicamente donne (o uomini) tra loro, e in quelli di scambio generalizzato, in cui il ciclo di scambio coinvolge più gruppi.


Lévi-Strauss e la struttura elementare dello scambio

A partire da questa analisi, si introduce brevemente la riflessione di Claude Lévi-Strauss, che vede nel matrimonio un meccanismo di scambio di donne tra gruppi maschili. Questo scambio rappresenta una delle forme originarie di reciprocità sociale e costituisce il fondamento dell’alleanza tra gruppi. La regola dell’esogamia (divieto di sposare membri del proprio gruppo) viene quindi vista non come una restrizione, ma come un dispositivo generativo di relazioni sociali.

La distinzione tra norme e pratiche

La lezione sottolinea l’importanza di distinguere tra norme matrimoniali (prescrizioni teoriche, come chi si può o non si può sposare) e pratiche reali (quello che effettivamente avviene nella vita quotidiana). Pietro invita a non farsi ingannare dalla rigidità delle classificazioni: le società sono sempre più complesse delle loro norme dichiarate.

Matrimoni preferenziali, prescritti e proibiti

Infine, viene presentata una tipologia delle strategie matrimoniali: i matrimoni prescritti (quelli obbligatori), i matrimoni preferenziali (quelli auspicabili), e i matrimoni proibiti (quelli vietati). Queste categorie aiutano a comprendere come le società non solo regolino i legami affettivi e sessuali, ma li usino come strumenti di organizzazione sociale.

Conclusione del modulo

Pietro chiude il modulo ribadendo che l’antropologia è una scienza comparativa che consente di dislocare le nostre evidenze culturali e interrogarle criticamente. Attraverso l'analisi della parentela, si è potuto vedere come l’“ovvio” diventa “relativo”, e come anche il legame più apparentemente “naturale” – quello familiare – sia frutto di decisioni culturali, regole, narrazioni e scelte simboliche.

 


sabato 12 aprile 2025

La parentela: implicazioni culturali, sociali e simboliche - Lezione #15 di Antropologia culturale Modulo A - Pietro Vereni per Tor Vergata

 

Lezione numero 15 registrata il 6 novembre 2024


Lezione 15 - La parentela e il matrimonio: forma culturale, struttura sociale, forza simbolica 06 11 2024

L’antropologia della parentela come crocevia epistemologico

La lezione si apre con una riflessione sull’importanza della parentela come snodo centrale dell’antropologia culturale: comprenderla significa entrare realmente nella logica del sapere antropologico, superando l’etnocentrismo implicito nella nostra visione “naturale” dei legami familiari. Il docente insiste sull’idea che la parentela non sia un semplice dato biologico, ma una costruzione culturale e simbolica che ogni società naturalizza in modo diverso.

Appartenenza, identità e definizione del “noi”

Viene introdotto il problema dell'identificazione interna (ciò che un gruppo dice di sé) e della categorizzazione esterna (ciò che si dice degli altri). Si discute di come i criteri per definire chi fa parte di un gruppo siano sempre contestuali e prospettici, variando a seconda delle circostanze e delle relazioni. L’esempio delle società segmentarie (da Evans-Pritchard) illustra bene come l’appartenenza sia scalare e modulabile a seconda della posizione del conflitto o dell’alleanza.

Condivisione dell’essere e visioni culturali della riproduzione

Riprendendo Marshall Sahlins, si introduce la nozione di "condivisione dell’essere" come fondamento simbolico della parentela. Le culture costruiscono miti e credenze per spiegare la riproduzione: dallo spirito che entra nel corpo della donna attraverso le acque, al seme maschile visto come “forza vitale” che matura nel corpo femminile, fino a visioni più paritarie. In ogni caso, la parentela non è mai solo una biologia, ma sempre anche una narrazione.

Le forme del matrimonio: monogamia, poligamia e poliandria

L’analisi si sposta sulle forme familiari legittimate culturalmente: dalla monogamia alla poliginia (più frequente, spesso legata a sistemi islamici) fino a esempi rari ma importanti di poliandria (come in Tibet e Nepal), legata a motivi di gestione economica e territoriale. Il matrimonio emerge come istituzione strategica che combina discendenza (riproduzione del gruppo) e alleanza (collante sociale tra gruppi).

Discendenza matrilineare e patrilineare

Si introduce la distinzione fra sistemi di discendenza unilineare (patrilineari o matrilineari) e cognatici (entrambi i lati). Si osserva che la trasmissione dell’appartenenza tramite le donne (matrilinearità) implica rapporti familiari più labili tra coniugi, mentre nei sistemi patrilineari il controllo sulla sessualità femminile è più marcato, fino a giustificare pratiche di segregazione e controllo.

Il ruolo sociale e simbolico del matrimonio

Viene proposta una doppia definizione del matrimonio: come trasformazione dello status sociale e come sistema di legittimazione dei figli (principio “Mater certa est, pater semper incertus”). Il matrimonio, nelle culture patrilineari, è spesso il tentativo maschile di garantirsi il controllo della discendenza. Vengono citate Emily Schulz e le sue definizioni di matrimonio come regolazione dell’accesso sessuale e istituzione dell’alleanza sociale.

La questione del prezzo della sposa e della dote

Attraverso un confronto tra sistemi a dote e sistemi a prezzo della sposa, si mostra come queste pratiche economiche legate al matrimonio riflettano diverse concezioni del ruolo femminile. La dote appare in sistemi in cui la donna è un peso economico, il prezzo della sposa in sistemi in cui la donna è risorsa attiva. L’esempio della zadruga macedone mostra come queste pratiche siano parte di sistemi produttivi domestici complessi.

Il tabù dell’incesto e la logica dell’esogamia

Si affronta il tema del divieto dell’incesto, che pur avendo motivazioni anche biologiche (evitare l’inbreeding), è letto come strumento politico-culturale: “meglio sposarsi fuori che essere fatti fuori”. Il matrimonio esogamico crea alleanze strategiche fra gruppi, permettendo cooperazione e solidarietà, anche in vista di crisi o conflitti. L’eccezione delle élite (faraoni, Inca) che praticavano incesto è interpretata come rafforzamento del carattere sacro e separato del potere.

Endogamia, esogamia e la logica degli scambi

Si definiscono endogamia (obbligo di sposarsi dentro un gruppo) ed esogamia (obbligo di sposarsi fuori). La nostra cultura è formalmente esogamica a livello familiare ma contiene forme implicite di endogamia sociale (classe, reddito, istruzione, etnia). In molte società l’endogamia è esplicita (casta, territorio, religione), e il matrimonio diventa un campo dove si giocano logiche di inclusione/esclusione.

Il matrimonio come istituzione di contenimento sociale

Nella parte finale, si riflette sul significato sociale del matrimonio, che ha la funzione storica di contenere la violenza potenziale dei maschi e di proteggere la vulnerabilità femminile. Si cita Louise Perry e Mary Harrington come autrici contemporanee critiche verso la liberalizzazione sessuale, interpretata come svantaggiosa per le donne. Il matrimonio è dunque letto non come oppressione, ma come strumento culturale di regolazione e protezione.

Chiusura e indicazioni operative

La lezione si conclude con un’introduzione ai simboli genealogici e una richiesta agli studenti di costruire il proprio albero genealogico come esercizio preparatorio. Si sottolinea che la parentela sarà centrale anche nell’esonero imminente e che la lezione successiva completerà i contenuti avviati in questa.


giovedì 10 aprile 2025

A) L'arte come sistema culturale e B) la Condivisione dell'essere Lezione #14 di Antropologia culturale Modulo A - PIETRO VERENI per Tor Vergata


                                        Lezione numero 14 registrata il 4 novembre 2024


Lezione 14 – A) L'arte come sistema culturale e B) La condivisione dell'essere 04 11 2024

L'arte come sistema culturale

La prima parte della lezione è dedicata al saggio di Clifford Geertz, L’arte come sistema culturale, presentato come un caso paradigmatico di applicazione dell'approccio semiotico all’antropologia dell’arte. Geertz rifiuta due visioni dominanti dell’arte:

1. Il formalismo strutturalista, influenzato da Lévi-Strauss e Roman Jakobson, che vede nell’arte un’espressione della mente umana basata su opposizioni binarie (alto/basso, maschio/femmina, vita/morte, ecc.).

2. Il funzionalismo, che considera l’arte come uno strumento sociale per rafforzare ruoli, gerarchie e valori.

Secondo Geertz, l’arte va compresa come parte del sistema culturale generale, ovvero come una forma di discorso che una cultura fa su se stessa. Non è riducibile né alla forma né alla funzione, ma va letta nel suo contesto simbolico, in quanto manifestazione visibile e condivisa di idee, valori e visioni del mondo.

L’analisi etnografica e l’“occhio del periodo”

Geertz propone una lettura emica dell’arte, basata sulla ricostruzione del contesto culturale in cui un’opera viene prodotta e fruita. Riprendendo l’espressione del critico Michael Baxandall, introduce il concetto di “occhio del periodo”, ovvero il punto di vista culturale e storico di chi produce e fruisce l’opera.

Questo approccio si esprime nel metodo della thick description, un'interpretazione densa e contestualizzata del comportamento simbolico. Per Geertz, capire un’opera d’arte richiede quindi il recupero del significato che essa ha per i membri di quella cultura.

Esempi etnografici: Yoruba, Abelam e arte rinascimentale

Geertz applica questo approccio a tre ambiti:

  • Gli Yoruba (Nigeria): l’uso delle linee incise sui volti non è una scelta estetica fine a se stessa, ma ha valore identificativo e rituale legato al lignaggio e allo status. La linea è segno di civilizzazione e appartenenza.
  • Gli Abelam (Nuova Guinea): l’uso di simboli geometrici e ovali (rappresentanti la vagina) nelle pitture riflette la tensione tra creatività naturale femminile e creatività rituale maschile, in una cultura dove i maschi compensano la propria "inferiorità riproduttiva" con riti elaborati.
  • L’arte rinascimentale (Beato Angelico, Botticelli, Piero della Francesca): Geertz, via Baxandall, mostra che anche in Occidente l’arte è profondamente contestuale. Il Beato Angelico si rifà allo stile delle prediche, Botticelli alla bassa danza cortese, mentre Piero della Francesca dipinge con l’occhio del mercante, influenzato dalle esigenze di calcolo dei volumi e della prospettiva economica.

In tutti i casi, la forma artistica è inseparabile dal contesto culturale in cui viene prodotta. Per questo motivo, esporre opere fuori contesto (es. arte "primitiva" in musei moderni) è un errore interpretativo.

L'arte e il discorso tecnico moderno

Geertz denuncia la tentazione moderna (soprattutto occidentale) di ridurre l’arte a un discorso tecnico, come se il significato estetico potesse essere compreso solo tramite l’analisi delle forme. Questa idea, ancora marginale secondo Geertz, è sintomo di un fraintendimento profondo del senso culturale dell’arte.


Introduzione alla parentela: condivisione dell’essere

Nella seconda parte della lezione, si introduce il tema della parentela, partendo dal concetto chiave di “condivisione dell’essere”. Questo principio assume forme diverse nelle varie culture:

  • In alcune società (es. Nuova Guinea), ciò che stabilisce la parentela non è la trasmissione genetica, ma il consumo di specifiche sostanze (es. sperma, carne di maiale, patate locali) che conferiscono identità comune.
  • L’idea di "dividuo", proposta da Marilyn Strathern e Francesco Remotti, si contrappone all’individuo occidentale: la persona è vista come composta da relazioni, non autonoma, e la sua identità si definisce per appartenenza al gruppo.
  • La cultura seleziona quali sostanze e quali legami abbiano valore costitutivo. Anche l’ambiente sociale incide sullo sviluppo biologico (esempi di epigenetica e il lavoro pionieristico di Franz Boas sugli immigrati negli Stati Uniti).

Cultura, ambiente e costruzione sociale della parentela

L’ambiente, inteso in senso culturale, gioca un ruolo fondamentale nella formazione dell’individuo. Fattori come l’alimentazione, le abitudini familiari, i rituali di cura, influenzano direttamente la costituzione del soggetto.

Esempi:

  • L'intolleranza alimentare o la tolleranza a certe spezie (come nei bambini africani) si sviluppano culturalmente.
  • L'alimentazione Inuit, ricca di grassi, è tollerata perché incorporata precocemente.

Questa riflessione prepara il passaggio alle tecniche culturali di classificazione, che vedremo nella prossima lezione, a partire da concetti come lignaggio, matrimonio, e i sistemi di trasmissione dell’appartenenza.

L’idea di amicizia e la costruzione culturale dei legami

La lezione si chiude con un’esplorazione del concetto di amicizia, mostrando che in molte culture essa è meno una scelta individuale e più una relazione strutturata, vicina alla parentela. L’idea occidentale di amicizia come legame scelto, informale, basato su affinità personali, non è universale.

In molte società, amicizia e parentela si sovrappongono, e i legami si trasmettono anche intergenerazionalmente, come nel caso delle “zie” non biologiche.

La lezione si chiude anticipando il passaggio a una trattazione più tecnica della parentela, che inizierà nella lezione successiva, con schemi, disegni e riflessioni sui modi di classificazione dei gruppi di appartenenza.




mercoledì 9 aprile 2025

L'immaginazione come pratica sociale (Appadurai Seconda parte) Lezione #13 di Antropologia culturale Modulo A - PIETRO VERENI per Tor Vergata

 

Lezione numero 13 registrata il 30 ottobre 2024

Lezione 13 – Appadurai e l'immaginazione come pratica sociale 30 10 2024

I tre assi dell’antropologia contemporanea

La lezione si apre con un richiamo ai tre assi fondativi della disciplina: la dimensione ermeneutica di Clifford Geertz, la metodologia empirica di Jean-Pierre Olivier de Sardan e il ripensamento della ricerca sul campo proposto da Appadurai. Quest’ultimo mette in crisi l’idea classica di campo etnografico come spazio chiuso e stabile, introducendo la nozione di deterritorializzazione: oggi, fare etnografia significa osservare flussi – di persone, idee, immagini – che attraversano i luoghi, piuttosto che studiare i luoghi in sé.

La trasformazione dell’immaginazione

Appadurai insiste sul fatto che l’immaginazione non è più un lusso o una fuga, ma una pratica sociale centrale nella costruzione della realtà. La rivoluzione elettronica e poi digitale ha modificato profondamente il rapporto tra produzione e consumo culturale, disaccoppiando il tempo dell’azione dal tempo della fruizione. Il passato diventa un archivio sincronico, un deposito accessibile e rimaneggiabile. L’immaginario non è dunque solo il frutto di una cultura alta, ma qualcosa che agisce nelle pratiche quotidiane.

Contro l’idea di americanizzazione

Appadurai rifiuta l’equazione globalizzazione = americanizzazione, argomentando che i prodotti culturali globali vengono reinterpretati localmente in modi imprevisti. L’esempio delle soap opera occidentali fruite nel Golfo Persico (in cui personaggi “negativi” come Sue Ellen vengono letti come figure di emancipazione femminile) mostra che la ricezione culturale è sempre attiva, non passiva. Le culture non vengono omogeneizzate, ma reinterpretate attraverso processi locali di senso.

L’eterogeneità generata dalla globalizzazione

In contrapposizione alla visione di un mondo sempre più omogeneo, Appadurai introduce l’idea di eterogeneizzazione. Un esempio concreto è il caso dei bangladesi italiani a Londra, che, dopo aver ottenuto la cittadinanza italiana, si sono trasferiti nel Regno Unito. Qui, la loro identità risulta ibrida, distinta sia da quella dei bangladesi inglesi di vecchia data sia da quella dei bangladesi appena arrivati. Si tratta di nuove soggettività culturali prodotte dalla coesistenza e dall’interazione di diversità precedenti.

Il bricolage identitario

Nel mondo contemporaneo, l’identità culturale si configura come un bricolage, un “fai da te” simbolico costruito con i materiali a disposizione. Nessuno ha accesso completo a tutte le culture del mondo, ma ciascuno combina frammenti selezionati in base alla propria esperienza. Questo bricolage è reso possibile dalle tecnologie di comunicazione e rappresentazione, che moltiplicano le fonti di senso disponibili.

La nostalgia da tavolino

Un concetto centrale è la “armchair nostalgia” (tradotta come “nostalgia da tavolino”): si tratta della nostalgia per un passato mai vissuto, costruita attraverso media, pubblicità e consumo culturale. È una potente leva dell’immaginario contemporaneo, utilizzata anche dai grandi attori commerciali e politici. Il passato viene messo in scena, ricostruito, reinventato – come mostrano fenomeni di remake, retro-culture e persino le narrazioni identitarie delle diaspore.

Gli orami di Appadurai

Appadurai propone un modello analitico fondato su cinque -scapes, tradotti come orami:

  • Etnorama (ethnoscape): i flussi di persone e gruppi etnici.
  • Tecnorama (technoscape): i flussi di tecnologie.
  • Finanziorama (financescape): i flussi finanziari.
  • Mediorama (mediascape): le immagini e le narrazioni mediali.
  • Ideorama (ideoscape): i flussi di idee e ideologie.

Ciascun orama rappresenta un punto di vista dinamico, una prospettiva mobile sui fenomeni culturali globali. Questo approccio consente di superare la visione statica e compartimentata della realtà sociale.

La disgiunzione dei livelli

Appadurai critica il modello materialista classico secondo cui la struttura economica determina quella politica, che a sua volta determina la sovrastruttura ideologica. In realtà, mostra come le idee e l’immaginario possano anticipare e determinare mutamenti politici ed economici. Un esempio emblematico è l’Albania post-comunista, dove l’arrivo di programmi televisivi occidentali (come Baywatch) ha avuto un impatto culturale e sociale tale da scardinare l’ideologia dominante e incentivare la migrazione.

Tecnologia e rappresentazione

Un potente esempio della portata trasformativa delle tecnologie di rappresentazione è dato dalle ecografie 3D, che rendono visibile il volto di un feto prima della nascita, modificando radicalmente il rapporto tra genitori e nascituro. La visibilità precoce attiva legami affettivi e ha implicazioni etiche e politiche profonde, ad esempio nel dibattito sull’aborto. Le tecnologie plasmano il nostro immaginario anche nell’intimità, e non solo nelle sfere pubbliche o mediatiche.

La circolazione globale dell’immaginario

Il caso dei macedoni della diaspora (in Canada e Australia) che inviano videocassette con danze tradizionali di fatto vietate in Grecia è emblematico della logica dei mediorami: l’immaginario può viaggiare e riattivare memorie e identità rimosse anche a grande distanza. Questo mostra come i flussi globali di immagini e idee incidano direttamente sulle dinamiche locali.

Il ruolo degli ideorami nella politica contemporanea

Gli ideorami non sono mai neutri: sono influenzati dai finanziamenti, dai media, dalle diaspore intellettuali. Le mobilitazioni studentesche nei campus americani o le dinamiche nei quartieri londinesi lo dimostrano: l’accesso a certi contenuti e la loro diffusione globale modificano i termini del dibattito politico. L’ideologia, in questo senso, non è più epifenomeno dell’economia, ma agente attivo di trasformazione.

Conclusione: l’immaginazione come forza trasformativa

La lezione si chiude ribadendo l’urgenza di abbandonare le vecchie griglie teoriche e adottare un modello più flessibile, reticolare, fluido della realtà culturale. L’immaginazione è una pratica sociale concreta, che trasforma i modi di vivere, pensare, comunicare e persino amare. Studiare la cultura oggi significa seguire i flussi, osservare i punti di incrocio, interpretare gli usi locali del globale.

  SCALLETTA DI RIPASSO – Lezione 13: Appadurai e l’immaginazione come pratica sociale

1. Tre assi dell’antropologia contemporanea

  • Geertz: ermeneutica e interpretazione dell’etnografia
  • Olivier de Sardan: tecniche di campo e metodologia empirica
  • Appadurai: crisi della territorialità e nuove condizioni del campo

2. Deterritorializzazione e fine del campo classico

  • Addio al modello "esotico" (elmetto, chinino, nativi)
  • Il campo è attraversato da flussi (di persone, oggetti, idee)
  • Studio del movimento, non della staticità

3. L’immaginazione come pratica sociale

  • Non più evasione o fantasia, ma opera culturale concreta
  • Agisce nella costruzione della soggettività e dell’identità
  • Interazione continua tra individui e campi globali

4. Critica all’americanizzazione

  • La globalizzazione non è omogeneizzazione culturale
  • I contenuti globali vengono reinterpretati localmente (es. Dallas, Queen, Baywatch)
  • Contro la visione di imperialismo culturale passivo

5. L’eterogeneizzazione

  • Non solo coesistenza di diversità, ma produzione di nuove differenze
  • Caso studio: bangladesi italiani a Londra
  • Identità diasporiche plurime → conflitti, bricolage culturale

6. Il concetto di bricolage identitario

  • Accesso selettivo a frammenti culturali
  • Combinazione creativa e personale
  • Nessuna cultura è interamente disponibile a chiunque

7. Nostalgia da tavolino (armchair nostalgia)

  • Nostalgia per un passato mai vissuto
  • Strumento usato da pubblicità, politica, cultura di massa
  • Esempi: estetica anni ’50, remake, cosplay, Baywatch in Albania

8. I cinque -scapes di Appadurai (tradotti in -orami)

  • Etnorama: flussi di persone, migrazioni, diaspore
  • Tecnorama: flussi tecnologici e loro impatto culturale
  • Finanziorama: flussi finanziari e potere economico
  • Mediorama: flussi di immagini e rappresentazioni
  • Ideorama: flussi di idee, ideologie, movimenti politici

9. La disgiunzione delle sequenze causali classiche

  • Critica al modello materialista: economia → politica → ideologia
  • Esempio: Albania post-Hoxha e impatto dei media
  • L’immaginario può precedere e trasformare l’economia e la politica

10. Cultura e rappresentazione: conseguenze profonde

  • Le tecnologie cambiano il mondo rappresentato (es. ecografia 3D)
  • Impatti etici, affettivi e politici (es. lutto perinatale, pro-life)
  • La cultura come rete di simboli e flussi interconnessi