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sabato 23 dicembre 2017

Ius Macedoniae (antropologia, diritti, cittadinanza)

22 12 2017. Ieri ho finito anche il modulo B di antropologia culturale (antropologia economica) e oggi ho fatto gli ultimi “esoneri” dell’anno, dopo aver chiuso Anthropology of globalization a Global Governance e Urban and Global Rome al Trinity College - Rome Campus.
Quel che, mi rendo conto, sempre più mi interessa è trovare il modo di veicolare agli studenti degli strumenti di consapevolezza culturale, che mi accorgo sempre più prendono la forma di strumenti di cittadinanza. Se non serve a comprendere, organizzare e costruire pezzi della loro vita di cittadini attivi, l’antropologia non mi interessa, e anzi mi innervosisce alquanto la fascinazione per l’esotico, per l’antico, per quel che rischia di svanire. E che svanisca, una buona volta, la tradizione moribonda. L’antropologia che mi interessa è una disciplina della consapevolezza, uno strumento per capire dove ci ha collocati la nostra storia (come pezzo della Storia).
Tipo. Stamattina ho finalmente trovato modo di leggere un poco il manifesto, versione online cui sono abbonato da un anno, l’unico giornale leggibile in lingua italiana (diciamo che loro sono più per l’analisi politica; se volete invece le buone e sane notizie curate come si faceva una volta (quelle che tanto dovrebbero piacere proprio agli antropologi, dunque…) allora leggete Il Post, che si chiama così perché ha pres il post della carta stampata, quanto ad autorevolezza, professionalità, verifica delle fonti e coscienza del ruolo civico della propria missione).
Allora, sfogliavo il manifesto e ho subito letto la lettera di colui che considero il mio Presidente della Repubblica, vale a dire Luigi Manconi, che ha scritto un commento in forma di lettera rivolta al Presidente della Repubblica, quello vero, Mattarella. Diceva Manconi, con la sobrietà che lo contraddistingue e che gli invidio, che non è affatto vero che “non c’è tempo per votare la legge sullo ius soli”. Basterebbe che il Presidente non sciogliesse le Camere, come pare farà, la settimana prossima, per andare a votare per forza il 4 marzo. Se posticipasse la chiusura di due settimane ci sarebbe tutto il tempo per votare la legge sullo ius soli e poi andare alle elezioni il 18 marzo.
Da antropologo, ho imparato che ogni volta che si dice “non c’è alternativa” si sta imputando alla Natura o al Destino Ineluttabile quel che invece è una Strategia Umana per eccellenza. Il principio TINA (There Is No Alternative) tanto cara alla Destra quando deve colpire duro, è il trucco più subdolo dell’ideologia, perché nasconde la Scelta sotto la maschera della Necessità. Non c’è alcuna necessità di votare il 4 marzo, ovviamente, e allora si tratta di capire che tipo di patata bollente la politica parlamentare non riesce a gestire.
A me, da studioso delle identità, la questione appare trasparente: il Governo in carica (e in primis il PD che ne è l’anima numerica e ideologica) non vuole votare lo ius soli perché “la pancia del paese” sarebbe contraria e non ci si vuole attribuire una responsabilità che gli avversari potrebbero far pesare a ridosso della campagna elettorale. Ora, che il razzismo salviniano, il cripto-fascismo fratelliota, il becero qualunquismo pentastellato e il viscido perbenismo centrista degli Alfano e dei Berlusconi giochino questa partita è del tutto prevedibile, ma che il PD accetti di smussare e glissare proprio lì dove si gioca la sua identità, be’, a me pare una porcata con pochissimi precedenti storici.
Siamo al punto che un grande (?) partito di centro-sinistra rinuncia a una battaglia politica essenziale per timore di inimicarsi “le masse”: invece di assumersi la sua responsabilità di partito di massa, che produce senso civico insegnando alle masse cosa dev’essere di massa, il PD cede alla politica del sondaggio, alla vergogna dell’ignoranza trasformata in opinione, dell’uno vale uno. Scusate eh, ma uno vale uno un par di cifoli, e un partito come il PD dovrebbe essere lì per dirlo forte, tutto il tempo.
Chi è “contro lo ius soli” non è cattivo, o perlomeno non è prevalentemente cattivo. Prima di tutto è ignorante, profondamente ignorante, vittima delle macerie della sua insipienza. Stabilire se una persona possa o non possa avere il passaporto italiano non è una questione etica (avere il passaporto di qualunque nazionalità non è in sé un bene o un male, spero questo sia chiaro per tutti). Vediamo se riesco a farvelo capire, zucche dure che non siete altro.
Avere la nazionalità x è un evento storico, perché la nazionalità non è una qualità naturale degli esseri umani (come lo è invece avere i capelli di quel colore o gli occhi di quel colore); avere una nazionalità riconosciuta civicamente con gli strumenti giuridici del certificato e del passaporto è un’usanza recente (duecento anni o giù di lì), da quando esistono gli stati nazionali moderni basati sul principio della “sovranità popolare”, per cui tocca contare chi è di quel popolo (e sovraneggia colà) e chi invece di questo popolo (e sovraneggia costì).
Bene, ce la fate a vedere che la nazionalità è un prodotto della storia? E allora perché insistete a scrivere (come mi è capitato di leggere in orrendi commenti del popolo bue) che “tu cara ragazza romena, sei figlia di romeni e non sarai mai italiana, e io ti voglio pure bene ma non sarai mai italiana anche se sei nata qui e hai fatto tutte le scuole qui, perché sei figlia di romeni”? Gli italiani ignoranti sono contro lo ius soli perché sono ignorantemente conviti che l’italianità sia una qualità biologicamente ereditaria (come le corna delle mucche, che non ci avete pe’ puzza) e non invece quel che è, un prodotto della storia che circola, muta, si insegna e si impara, come qualunque altro tratto culturale.
Sono tre mesi che spacco la testa ai miei studenti con la storia di Leonidas. E chi cavolo era Leonidas? Un poveraccio, un contadino di cultura tradizionale slava finito con molti suoi compaesani dentro i confini dello stato greco. E lo stato greco, fin da subito, vale a dire dagli anni Trenta, ha iniziato a chiedergli il conto identitario: e dimmi che sei greco, e dimmi quanto sei greco, e dimmi quanto ami la Grecia, e dimmi quanto moriresti per la Grecia! E intanto giù pesci in faccia, multe perché non riusciva a parlarla bene quella lingua greca. Ma Leonidas si è innamorato della Grecia, ha amato sul serio la Grecia e però gli hanno massacrato la famiglia, gli affetti, spezzati nella Guerra Civile greca, in cui se eri socialista e venivi da quelle parti della Macedonia greca il minimo che ti poteva capitare era che ti accusavano di essere bulgaro, e non importa se ti sentivi greco.
Ecco, io so che i miei studenti non escono da questa porta, non finiscono l’esame di antropologia culturale se non hanno imparato almeno questi due punti: 1. l’appartenenza nazionale è una costruzione culturale, non c’è alcuna natura, e tutti i discorsi che la spacciano come naturale sono o in malafede o frutto della più grossolana ignoranza; 2. Una volta “creata” l’appartenenza nazionale va mantenuta viva. Poniamo che l’Italia divenga di colpo un paese perfettamente nazionale, dove tutti, ma proprio tutte e tutti, sentono di essere null’altro che italiani. Questo farebbe dell’Italia un paese sicuro dal punto di vista identitario? Una persona ignorante che ancora naturalizza potrebbe pensare di sì, che i giochi finalmente sono fatti, fatta l’Italia, vivaddio si son fatti gli italiani. Ma si dimenticherebbe di nuovo, quella persona ignorante, che l’appartenenza non passa per il dna o il sangue, e che quindi non basta avere un branco di italiani puri per riprodurre i nuovi nati naturalmente come italiani puri. Appena nascesse in quella nazione perfettamente compatta un nuovo cittadino, che garanzie avremmo che sia “naturalmente” italiano? Nessuna, ovviamente, dato che quel bambino basterebbe farlo crescere altrove per farlo divenire altro dal punto di vista nazionale. E anche se lo fai crescere in Italia, lo devi esporre alla cultura italiana, non gli devi mica far sentire Bossi con le ampolle che biascica il suo luridume leghista in un italiano stentato; mica gli devi far sentire le oscenità di certa tv commerciale, sennò quello ti si sderena e altro che italiano, ti diventa italiota. Meglio se non gli dici che quel che conta è il livore, la rabbia espressa senza alcuna competenza, sennò tutta la tradizione culturale politica di questo stupendo e stupido paese se ne andrebbe in rovina, e tireremmo su trogloditi, mica italiani.
Appartenere è essere parte di un processo appreso. Gli italiani di seconda generazione sono già italiani, fatevene una ragione, voi beceri ignoranti che non avete aperto un libro, fatto un ragionamento con un inizio e una fine, esercitato la libertà di pensare, mentre vi vantate della libertà di esprimervi. State zitti, per cortesia, smettete di rilasciare dichiarazioni, conferenze stampe, post di blog, stati di facebook, e soprattutto smettetela di commentare su tutto quel che non conoscete e non sapete. Sappiate, per una volta, imparate, per una volta, che appartenere non è una condizione della Natura, ma della Storia, e se la storia di quei giovani che aspettano lo ius soli è una storia italiana, quei giovani sono italiani, vi piaccia o no. E molti di loro, posso dirlo con cognizione di causa, sono più italiani di voi, buffoni ignoranti e squallidi calcolatori politici. Sono più italiani perché dell’Italia hanno preso la cultura, la passione politica, l’amore per la conoscenza.
Io sono orgoglioso di insegnare questo ai miei studenti raccontando la vita sderenata di un contadino greco macedone morto dieci anni fa, di cui non potrebbe interessare di meno al resto del mondo. Perché imparano così che sono le vite che fanno le politiche, sono le storie che fanno i progetti, sono le relazioni umane che fanno quelle strane sostanze che chiamiamo culture.