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giovedì 10 ottobre 2019

Mafiosi e ergastolo


 Mentre aspettavo le mie studentesse americane per visitare l’Istituto Tevere, stamattina ho scritto di getto questo post su Facebook:
Sto per prendere la tessera del Partito Democratico. Lo faccio convinto, sereno che non ci sarà mai il posto perfetto dove veder rappresentate tutte e sole le mie idee politiche. Lo faccio però addolorato di sapere che il mio partito sostiene un governo il cui ministro della giustizia è un forcaiolo che non ha capito nulla del senso della sentenza di Strasburgo sull'ergastolo ostativo. Governare con questa gente è indecente. Lo so che sembra apodittico e puzza tanto di radical chic, ma chiunque ha lavorato in carcere sa che il "fine pena mai" prodotto dal 4bis è una mostruosità giuridica e una crudeltà indegna di qualunque paese civile. Un ministro della giustizia che non capisce questo è un politico meschino che non dovrebbe neppure essere degno della considerazione di un partito con la tradizione giuridica e garantista del PD.

A parte i commenti sulla mia tessera, un caro amico con non trascurabili competente giuridiche commenta così:
quanto invece al fine pena mai, potrei anche essere d'accordo con te, ma ti faccio una domanda: un Provenzano, un Totò Riina, un Matteo Messina Denaro dopo 25 anni di carcere, li rimetteresti in libertà?
Un altro amico, Giorgio, ribadisce:
Caro Piero ti seguo sempre nei tuoi commenti e sai che ho molta considerazione su quello che dici però penso che personaggi di quel calibro non conoscano pentimenti e di questo ne sono quasi certo e pur vero che se vogliono anche in carcere possono coordinare attività malavitose. Purtroppo noi porgiamo la guancia a persone che non hanno scrupoli è difficile essere garantisti in questi frangenti! Ciao Piero!
Così, da qui, con un filo di calma in più, rispondo al mio amico Matteo e al mio amico Giorgio, ma mi piacerebbe (scusate l’ardire) che queste due cosette che vorrei dire fossero lette anche dal Ministro Bonafede.
Provenzano e Riina sono morti in carcere, Matteo Messina Denaro è latitante, quindi a loro la discussione sull’ergastolo ostativo continua a non fare un baffo. Io considero però questo esteso lapsus estremamente significativo del fatto che ormai pensiamo alla mafia (“ormai” è dalla Piovra in giù) come a una lunga fiction con i suoi protagonisti, di cui si siamo persi un sacco di puntate ma di cui ogni tanto ci torna in mente qualche protagonista. La spettacolarizzazione della mafia (inevitabile nella nostra società dello spettacolo, non ne faccio colpa a nessuno) produce questo strano effetto per cui due capimafia morti in carcere e un capomafia irreperibile dal 1993 diventano un argomento per sostenere la legittimità o almeno la giustezza dell’ergastolo ostativo.
Tutto si basa, temo, sulla diffusa ignoranza di come stanno le cose, vale a dire la distinzione tra due articoli dell’ordinamento penitenziario italiano. Il 41bis era una norma (“carcere duro”) che in origine (nella modifica del 1986 dell’ordinamento penitenziario del 1975) si applicava solo ai casi di emergenza (rivolte nelle carceri) e dopo le stragi mafiose del 1992 venne estesa ai capimafia. In pratica col 41bis si è sottoposti alla sorveglianza continua e i contatti con l’esterno sono ridottissimi. NON è un ergastolo, è solo un modo speciale di scontare la pena, quale che sia.
L’articolo 4 bis invece è tutt’altra cosa, non è “carcere duro” ma istituisce una condizione speciale sulla pena di coloro che lo subiscono. La pena ordinaria, in effetti, viene intaccata da diversi benefici, tra cui la possibilità di accedere a permessi dopo un certo periodo (metà della pena) e il conteggio dei giorni, vale a dire lo “sconto” di 45 giorni di condanna ogni sei mesi trascorsi in buona condotta. Se si subisce una condanna ostativa significa che, per quella porzione di condanna, non si possono conteggiare i benefici e “ci si fa la galera”. Se uno, poniamo, è stato condannato a 10 anni di cui 6 ostativi, significa che fino al compimento del sesto anno “se la fa tutta” e dopo inizia a scontare una pena ordinaria, con il conteggio dei giorni, la possibilità di permessi, le possibilità di richiedere misure alternative (domiciliari o altro).
Chi sono i condannati che subiscono il 4bis? Sono coloro che hanno subito la condanna anche per “associazione a delinquere” (mafia o spaccio internazionale, di fatto) e non sono diventati collaboratori di giustizia, non hanno cioè attivamente fornito informazioni utili a smantellare l’organizzazione di cui fanno parte. Di fronte a un reato “di mafia”, quindi se ci si pente in questo senso (si coinvolgono altre persone consentendo la loro incriminazione) si possono beneficiare di molti sconti di pena e di altri vantaggi. Succede così che Giovanni Brusca (soprannominato lo scannacristiani) condannato per la Strage di Capaci, condannato per la strage di via D’Amelio, condannato per l’omicidio di Giuseppe Di Matteo (rapito a tredici anni perché figlio di un boss rivale, tenuto in ostaggio per due anni e infine strangolato e sciolto nell’acido), essendosi pentito ha ottenuto così tanti benefici che nel 2021 avrà finito di scontare la sua pena e sarà un uomo libero.
Invece, ci sono nelle galere italiane centinaia di uomini della bassa manovalanza mafiosa, criminali professionisti (nel senso di stipendiati) che a venti o venticinque anni sono entrati in galera per uno, due, o dieci omicidi e assieme alla condanna per omicidio stanno scontando la condanna per associazione e, non avendo parlato, non essendosi “pentiti”, hanno subito la condanna nel regime del 4 bis, vale a dire senza poter usufruire di alcun beneficio. In questi casi, l’ergastolano non può usufruire dei benefici di legge, che di fatto lo fanno terminare dopo 25 anni di reclusione, fatte salve le garanzie pretese dal giudice di sorveglianza, e il suo ergastolo nominale diventa “fine pena mai”. Questi uomini non si sono pentiti, e questo potremmo dire che è un male, ma è anche vero che in molti casi non sono rimasti chiusi in sé stessi, e tutti sono cambiati dentro il carcere. F.R., in carcere da 27 anni, è entrato con la seconda elementare e tra qualche giorno sosterrà la discussione della sua tesi di laurea in giurisprudenza. Altri ostativi che conosco hanno fatto un percorso veramente inimmaginabile nel carcere, e ora che hanno passato i cinquanta, dopo venticinque o trent’anni dentro, sono persone totalmente diverse da quei ragazzi criminali che erano entrati.
Il dramma di questi uomini è che il loro cambiamento non è riconoscibile con gli occhiali della giustizia italiana. Non possono più pentirsi perché i fatti in cui sono stati coinvolti molti anni fa sono ormai del tutto risolti, o i loro coautori sono già in galera, o sono morti. Il loro pentimento (per quanto possa essere sincero nello spazio della loro coscienza) non ha alcun valore per la giustizia perché non serve a nulla, non può produrre nuovi arresti e non conduce a nuove indagini. Questi uomini sono allora definiti “inesigibili”, vere nullità giuridiche che, indipendentemente da quel che hanno commesso e ormai indipendentemente da quello che sono diventati dietro le sbarre, sono costretti a morire in carcere.
Ecco, forse se pensassimo un po’ meno a Gomorra e un po’ di più al vecchio pensionato che vive la porta accanto, capiremmo un po’ meglio che la corte di Strasburgo ha detto solo che tutto questo non è giusto. Che un mostro come Brusca il prossimo anno uscirà perché si è “pentito”, mentre la trasformazione profonda e totale di tanti uomini non trovi alcun riconoscimento pubblico e li tenga a marcire in carcere.
Io mi chiamo fuori, il Ministro Bonafede sappia che non mi rappresenta, che io non voglio essere rappresentato da lui e da quelli che la pensano come lui. Una giustizia che cessa di essere umana cessa di essere giustizia.