Non sono un amante di Technorati (per usare un eufemismo) e quando ho visto che c'era da usare un loro tag sono stato un po' restio, ma sembra un'iniziativa così strapaesana che non ce la faccio a resistere. Ecco qui, la mia prima partecipazione al Blog Day (che è il terzo). Vi segnalo quindi 5 blog che vale la pena di seguire. Ovviamente ce ne sarebbero tanti altri, ma molti sono già noti e quindi non ha senso pubblicizzarli in un'inizativa come questa. Ce n'erano un paio forse non notissimi in Italia, che varrebbe la pena di far conoscere di più (soprattutto sul web2.0), ma ho preferito puntare su blog non professionali, o comunque non tenuti da professionisti dell'informazione o della comunicazione, per intenderci.
Madamina, il catalogo è questo (in ordine alfabetico)
Daveblog
Se non avete la puzza sotto il naso o se comunque dovete occuparvi di cultura di massa, qui avete il guru per eccellenza. Fa figo pronunciarlo come fosse una parola italiana "DA-VE-BLOG" (non deivblog, per capirsi) da quando la Bignardi così lo disse alle Invasioni Barbariche. Feroce senza mai essere stupido. Mi domando come faccia il misterioso e credo ancora anonimo tenutario del blog ad avere tutto il cervello fino di cui fa mostra nei post, nonostante l'esposizione massiccia ai raggi catodici del video italiano.
Golublog: An Anthropology Blog
Lo cito soprattutto perché vorrei che andaste a vedervi la foto con cui Alex Golub si presenta. Che per me è una sintesi perfetta di quel che vorrei che l'antropologia fosse. Poi lui è bravo, uno scienziato serio, di quelli che si è fatto il PhD sul ruolo delle miniere in Papua/Nuova Guinea e nei suoi paper mette un sacco di grafici e numeri, mica come il sottoscritto che sfarfalla con il versante artistico dell'antropologia... Ma guardatevi la foto, e se siete antropologi rosicate insieme a me per non averci pensato voi.
Il primo amore
Un gruppo di intellettuali (Sergio Baratto, Carla Benedetti, Benedetta Centovalli, Gabriella Fuschini, Giovanni Giovannetti, Antonio Moresco, Sergio Nelli, Anna Ruchat, Tiziano Scarpa, Andrea Tarabbia, Dario Voltolini) che non vuole restare nell'angolo della "cultura", ma pretende di avere un ruolo da giocarsi nella "società". Ospitano post di altri nomi, e il blog è anche un buon modo per segnalare iniziative cui partecipano nella vita fuori dalla rete. Per me è un modo per vedere la mia stessa realtà, ma da una prospettiva che non riuscirei a produrre da solo.
Matematicamedie
Ho una figlia di quasi sei anni, che quindi a giorni inizierà la scuola. La cosa mi spaventa. A mia volta insegno all'università da diversi anni. Se insegnare è per voi una professione oppure una preoccupazione (o entrambe, come nel mio caso) allora il sito di Giovanna vi farà dare un sospiro di sollievo. Uno dice: non è possibile che qualcuno possa appassionarsi al mestiere di insegnante di matematica. Eppure è così: attenzione alla didattica, e tanta voglia di trasmettere agli studenti la passione per la materia. E poi mi piace il colonnino di destra, pieno di gadget...
Scientificando
Come Giovanna con la matematica, così Annarita (o Nereide, con il suo pseudo) con le scienze riesce a usare il blog come uno strumento per la didattica. E non si tratta di un paio di post buttati lì, ma di pagine e pagine di testi e grafica utilissime per i ragazzi e, spero, per altri professori che dovrebbero prendere spunto da questo modo di lavorare. Si tratta veramente di un modo originale di concepire il blog. E vediamo chi insiste (magari dalla strapagate colonne patinate di qualche rivista benpensante e narcisista) sulla menata che i blog sarebbero solo espressione di narcisismo...
Ecco, questa è la mia lista. Mi spiace per chi è rimasto fuori ma leggo comunque, ma il bello di questi giochi è ti puoi liberare la coscienza dicendo che tanto mica le hai decise tu, le regole...
E voi, che fate ancora qui? Via, filare, avete almeno altri cinque posti da curiosare nei prossimi minuti.
Ho insegnato a Venezia, Lubiana, Roma, Napoli, Firenze, Cosenza e Teramo. Sono stato research assistant alla Queen's University of Belfast e prima ho vissuto per due anni in Grecia, per il mio dottorato. Ora insegno a Tor Vergata e nel campus romano del Trinity College di Hartford (CT). Penso che le scienze sociali servano a darci una mano, gli uni con gli altri, ad affrontare questa cosa complicata, tanto meravigliosa quanto terribile, che chiamano vita.
2011/12: INFORMAZIONI PER CHI AVEVA 12 CFU E TUTTI GLI MP3 DELLE LEZIONI
venerdì 31 agosto 2007
Blog Day
giovedì 30 agosto 2007
Aggiornamento da M.F.
Vicino a me un vecchio turista russo si asciuga rapido gli occhi; con un nodo alla gola sono a Berlino davanti al monumento al soldato dell'Armata Rossa. 1945-2007 per non dimenticare
Inviato il 30/08/2007 alle 20:04:21
Ho cercato di salvare il salvabile con questa risposta:
Maledetto, sai come colpire basso, eh?
Inviato il 30/08/2007 alle 20:07:34
Ma temo che questo round sia suo...
Inviato il 30/08/2007 alle 20:04:21
Ho cercato di salvare il salvabile con questa risposta:
Maledetto, sai come colpire basso, eh?
Inviato il 30/08/2007 alle 20:07:34
Ma temo che questo round sia suo...
sms e politica
Sms mio a M.F.
Non è che per caso stai in zona? Sono qui e devo mangiare un boccone.
Inviato 28/08/2007 ore 13:32:21
Risposta di M.F.
Sono a Weimar davanti alla tomba di Herder.
Inviato 28/08/2007 ore 16:27:42
Mia risposta
Non lo far rivoltare troppo. Lasciagli le sue illusioni. Che creda che gli uomini possono vivere assieme anche per motivi futili e borghesi, come la patria e l’amore per una lingua. E lasciagli un fiore da parte mia.
Inviato 28/08/2007 ore 16:35:11
Per chi non lo sapesse, M.F. è un mio caro amico che insiste a fare la parte del "comunista", mentre Johann Gottfried Herder (1744-1803) è stato uno degli "inventori" del nazionalismo. Visto il modo in cui venne usato durante il nazismo, per decenni è stato relegato nell'oblio. Recentemente è tornato un po' di moda per come sembra aver anticipato alcune tematiche dell'antropologia culturale (soprattutto americana) sul ruolo della lingua nella determinazione di una specificità culturale.
domenica 26 agosto 2007
Il corpo del redattore
Uno pensa (cioè, io penso, voi potreste pensare) che l’attività di editing sia una noia clamorosa. Certo, in buona parte lo è. Ma non esclusivamente per i motivi che uno pensa (cioè che pensate voi, che non fate editing). Magari pensate che uno che fa editing se ne stia sempre a lavorare al buio, e anche se fuori c’è luce il vero editor sbarra le finestre e accende la lampada da tavolo. Il vero editor, credete, l’editor professionista, pensate, l’editor dedito al suo lavoro, siete certi, punta a scorporare se stesso per lavorare meglio. Mira a divenire null’altro che una penna e un paio d’occhi (anzi, uno solo basterebbe). Che l’editing come attività presa sul serio sia fondamentalmente un processo di assunzione di distanza dal corpo, per meglio concentrarsi sullo spirito di quel che si legge, per meglio dargli credito, per meglio migliorarlo. Se lo scritto, giustamente pensate, è una delle espressioni meno fisiche dell’umanità terrena (tanto che sopravvive di gran lunga, se lo merita, alla degradazione fisica dell’autore) allora l’attività di editing, la pulizia imbarazzante delle caccole dell’anima dell’autore editato, deve avvenire dentro uno spazio il più possibile etereo. Una chiesa, una nicchia, una cripta.
Tutto vero. È proprio così. Eppure non basta. La nostra (di editor) voglia di sparire fisicamente viene (per fortuna) sistematicamente frustrata dalla forza dei corpi. Dei corpaccioni mortali di autori mortali e corputi, che non ce la fanno proprio (non gli autori, ma i loro corpi) a starsene buoni, e traboccano proprio quando uno (cioè io, che faccio l’editor) meno se l’aspetta.
Giro la pagina, un’altra pagina ripulita, verginata direi (non posso dire riverginata perché non lo è mai stata: in realtà io prendo testi-zoccole ab ovo e li trucco da testi-vergini), ed ecco un pelo a cavallo tra “iter” e “decisionale” della pagina successiva. È un pelo lungo e un po’ ricurvo, ma non riccio. Lo riconosco (somiglia a quelli che mi strappo io di fronte allo specchio): è un pelo del naso. Di chi sarà? Dell’autore del capitolo? Del curatore del volume che si scaccolava mentre leggeva il contributo del collaboratore? Del grafico che ha composto le immagini? Non lo so. Ma posso vedere ognuno di loro al lavoro. Vedo le unghie che passano a grattare la cima del cranio, leggendo o scrivendo. E vedo le cellule morte che si staccano dal cranio e finiscono sotto le unghie. E quelle medesime unghie a girare la pagina sparpagliando sul foglio microforfora. Vedo i colpetti di tosse e gli sternuti che quando lavoriamo non ci preoccupiamo di coprire con la mano e al rallentatore vedo la piccola esplosione di goccioline di saliva e muco che si deposita sulla pagina. Vedo il normale grasso della pelle che si stende dall’avambraccio al foglio.
Vedo i nostri corpi di scrittori o professionisti della scrittura che si impossessano della pagina che stiamo cercando di tenere sintatticamente pulita. Vedo che tutti i nostri sforzi di ritagliarci uno spazio “puro” vanno – per fortuna – a puttane. Perché quella puttana del corpo non ce la fa a starsene ai margini, e neppure nelle note. No, quella puttana del corpo come al solito si mette a fare il gradasso, a pisciare fuori dal vaso, a spararle grosse, a impicciarsi di affari che non dovrebbero per nulla essere suoi.
E allora, quando mi capitano momenti del genere, quando un pelo, una macchia, una caccola spiaccicata sul foglio mi ricordano che non ce la faremo mai a pulire il testo dai nostri corpi, da noi stessi, mi rilasso, e so che il mio lavoro può proseguire meno nevrotico, meno cattivo.
Tutto vero. È proprio così. Eppure non basta. La nostra (di editor) voglia di sparire fisicamente viene (per fortuna) sistematicamente frustrata dalla forza dei corpi. Dei corpaccioni mortali di autori mortali e corputi, che non ce la fanno proprio (non gli autori, ma i loro corpi) a starsene buoni, e traboccano proprio quando uno (cioè io, che faccio l’editor) meno se l’aspetta.
Giro la pagina, un’altra pagina ripulita, verginata direi (non posso dire riverginata perché non lo è mai stata: in realtà io prendo testi-zoccole ab ovo e li trucco da testi-vergini), ed ecco un pelo a cavallo tra “iter” e “decisionale” della pagina successiva. È un pelo lungo e un po’ ricurvo, ma non riccio. Lo riconosco (somiglia a quelli che mi strappo io di fronte allo specchio): è un pelo del naso. Di chi sarà? Dell’autore del capitolo? Del curatore del volume che si scaccolava mentre leggeva il contributo del collaboratore? Del grafico che ha composto le immagini? Non lo so. Ma posso vedere ognuno di loro al lavoro. Vedo le unghie che passano a grattare la cima del cranio, leggendo o scrivendo. E vedo le cellule morte che si staccano dal cranio e finiscono sotto le unghie. E quelle medesime unghie a girare la pagina sparpagliando sul foglio microforfora. Vedo i colpetti di tosse e gli sternuti che quando lavoriamo non ci preoccupiamo di coprire con la mano e al rallentatore vedo la piccola esplosione di goccioline di saliva e muco che si deposita sulla pagina. Vedo il normale grasso della pelle che si stende dall’avambraccio al foglio.
Vedo i nostri corpi di scrittori o professionisti della scrittura che si impossessano della pagina che stiamo cercando di tenere sintatticamente pulita. Vedo che tutti i nostri sforzi di ritagliarci uno spazio “puro” vanno – per fortuna – a puttane. Perché quella puttana del corpo non ce la fa a starsene ai margini, e neppure nelle note. No, quella puttana del corpo come al solito si mette a fare il gradasso, a pisciare fuori dal vaso, a spararle grosse, a impicciarsi di affari che non dovrebbero per nulla essere suoi.
E allora, quando mi capitano momenti del genere, quando un pelo, una macchia, una caccola spiaccicata sul foglio mi ricordano che non ce la faremo mai a pulire il testo dai nostri corpi, da noi stessi, mi rilasso, e so che il mio lavoro può proseguire meno nevrotico, meno cattivo.
martedì 21 agosto 2007
Il Fantasma (poesia di Billy Collins)
Dedicata a tutti quelli che hanno (avuto) un cane. A quelli che amano i cani. A quelli che ne vorrebbero uno ma non possono. A quelli che potere anche potrebbero, ma proprio non sono sicurissimi e ci stanno pensando. A mia nipote Olimpia, che he ha tre. A Caterina, che non ha più il suo Paolino e ne vorrebbe subito un altro anche a costo di litigare con Claudio. A me, a quando ho preso con mia fratello Matteo la decisione di "far addormentare" Farasi, il mio setter inglese di 17 anni. Alla reazione di mio fratello Lorenzo quando dovemmo fare la stessa cosa con Otto, il pastore tedesco di Matteo che non camminava più. A tutte le volte che ci circondiamo di un problema solo perché abbiamo un disperato bisogno di sentirci amati e di amare. Comunque. Anche a costo di fare del male. (Ehi, leggete bene: ho scritto "fare", non "farci",teneroni).
The Revenant
I am the dog you put to sleep,
as you like to call the needle of oblivion,
come back to tell you this simple thing:
I never liked you—not one bit.
When I licked your face,
I thought of biting off your nose.
When I watched you toweling yourself dry,
I wanted to leap and unman you with a snap.
I resented the way you moved,
your lack of animal grace,
the way you would sit in a chair to eat,
a napkin on your lap, knife in your hand.
I would have run away,
but I was too weak, a trick you taught me
while I was learning to sit and heel,
and—greatest of insults—shake hands without a hand.
I admit the sight of the leash
would excite me
but only because it meant I was about
to smell things you had never touched.
You do not want to believe this,
but I have no reason to lie.
I hated the car, the rubber toys,
disliked your friends and, worse, your relatives.
The jingling of my tags drove me mad.
You always scratched me in the wrong place.
All I ever wanted from you
was food and fresh water in my metal bowls.
While you slept, I watched you breathe
as the moon rose in the sky.
It took all of my strength
not to raise my head and howl.
Now I am free of the collar,
the yellow raincoat, monogrammed sweater,
the absurdity of your lawn,
and that is all you need to know about this place
except what you already supposed
and are glad it did not happen sooner—
that everyone here can read and write,
the dogs in poetry, the cats and the others in prose.
[Billy Collins]
Il Fantasma
Io sono il cane che hai fatto addormentare,
(come preferisci definire l’ago dell’oblio),
tornato a dirti solamente questo:
Non mi sei mai piaciuto: neanche un poco.
Quando ti leccavo la faccia,
mi veniva voglia di morderti il naso.
Quando ti guardavo mentre ti asciugavi con l’accappatoio,
Avrei volentieri fatto un balzo per evirarti con un morso.
Mi irritava il tuo modo di muoverti,
la tua mancanza di grazia animale,
il modo in cui ti mettevi su una sedia per mangiare,
il tovagliolo in grembo, un coltello in mano.
Avrei voluto andarmene,
ma ero troppo debole, un trucco che mi hai insegnato
quando stavo imparando a stare a cuccia e camminare al piede,
e – il peggiore degli insulti – dare la zampetta come fosse una mano.
Ammetto che la vista del guinzaglio
mi eccitava
ma solo perché voleva dire che di lì a poco
avrei annusato cose che tu non hai mai toccato.
Non ci vuoi credere,
ma non ho ragione di mentire.
Odiavo la macchina, i giochini di gomma,
mi stavano antipatici i tuoi amici e, peggio, i tuoi parenti.
Il tintinnio delle mie targhette mi dava ai nervi.
Mi hai sempre grattato nel posto sbagliato.
Tutto quel che volevo da te
era cibo e acqua fresca nelle mie ciotole di metallo.
Mentre dormivi, ti guardavo respirare
quando la luna saliva nel cielo.
Ci voleva tutta la mia forza
per non sollevare la testa e ululare.
Ora sono libero dal collare,
dall’impermeabile giallo, dal maglioncino con le iniziali,
dall’assurdità del tuo prato,
e questo è tutto quel che devi sapere di questo posto
tranne quel che già ti immagini
e sei felice non sia successo prima:
che qui tutti sanno leggere e scrivere,
i cani in versi, i gatti e tutti gli altri in prosa.
[Traduzione di Piero Vereni]
La scelta del canale
Leggendo un manuale di marketing televisivo applicato alla televisione digitale (e ai pacchetti pay, satellitari o DTT; non do qui i dati bibliografici perché è ancora una bozza in lavorazione) mi viene detta una cosa interessante. Alcuni canali specializzati che si occupano di tematiche culturali o scientifiche spesso hanno un seguito piuttosto ristretto quanto a numeri effettivi (e se parlano di numeri ristretti in un mercato che viaggia a mezzi punti percentuali vuol dire proprio che si tratta di pochi spettatori, proprio pochi).
Nonostante tutti gli indicatori delle performance di ascolto per questi canali diano segnali negativi, quegli stessi canali sono conosciuti agli spettatori (sanno, insomma che nel pacchetto che compreranno c’è History Channel o National Geographic) e questo pare sia un motivo sufficiente per spingere all’acquisto del bouquet o per far desistere dall’intenzione di recedere dall’abbonamento.
Per i gestori di Pay Tv (o per i fornitori di canali) alla fine può quindi essere vantaggioso finanziare un canale che non fa audience, perché quel canale garantisce al bouquet in cui compare una forza di attrazione maggiore. I clienti insomma pagano non tanto i contenuti di un canale, quanto il prestigio ad esso associato. Credo che il meccanismo sia insieme di incentivo personale (“mi faccio un’istruzione, finalmente”) sia di incentivo sociale (“guardate un po’ come mi faccio un’istruzione”).
Un po’ come i nostri genitori accettavano di comprare quelle enciclopedie rilegate che i piazzisti vendevano porta a porta negli anni Settanta. Non si trattava di leggerle (non loro, almeno. Le compravano per noi figli) ma di fare il proprio dovere sociale.
Nonostante tutti gli indicatori delle performance di ascolto per questi canali diano segnali negativi, quegli stessi canali sono conosciuti agli spettatori (sanno, insomma che nel pacchetto che compreranno c’è History Channel o National Geographic) e questo pare sia un motivo sufficiente per spingere all’acquisto del bouquet o per far desistere dall’intenzione di recedere dall’abbonamento.
Per i gestori di Pay Tv (o per i fornitori di canali) alla fine può quindi essere vantaggioso finanziare un canale che non fa audience, perché quel canale garantisce al bouquet in cui compare una forza di attrazione maggiore. I clienti insomma pagano non tanto i contenuti di un canale, quanto il prestigio ad esso associato. Credo che il meccanismo sia insieme di incentivo personale (“mi faccio un’istruzione, finalmente”) sia di incentivo sociale (“guardate un po’ come mi faccio un’istruzione”).
Un po’ come i nostri genitori accettavano di comprare quelle enciclopedie rilegate che i piazzisti vendevano porta a porta negli anni Settanta. Non si trattava di leggerle (non loro, almeno. Le compravano per noi figli) ma di fare il proprio dovere sociale.
sabato 18 agosto 2007
I Nomi (poesia di Billy Collins)
La poesia fa strani scherzi. L'avevo letta e subito associata alle mie liste. Quella delle elementari (Cozzolino, Galvan, Mini, Moro, Narduzzi, Nordio, Paolini, Pasin, Sartori, Stevanato, Valent, Vereni, Violi, Zanetti, Zattin) o quella del liceo (che si sovrappone per un terzo con quella delle medie: Benacchio, Benedetti, Bonaldo, Brass, Busetto, Cerchiai, Cimmino, Cipressa, Da Canal, D'Antiga, Da Tos, Favaretto, Fontanella, Frattin, Mantovan, Minella, Miozzo, Mognato, Nardi, Padoan, Polato, Quarisa, Riolfo, Rizzo, Rosada, Scarpa, Serafini, Serra, Tonon, Valonta, Vatrella, Vereni, Vian, Volpato).
Solo cercando su Google lumi su un'espressione oscura mentre traducevo ho scoperto quel che leggerete alla fine. A me, aveva fatto pensare ai nomi delle persone incontrate, ai compagni di classe, alle liste del militare, ai nomi che erano volti e che poco alla volta diventano suoni e poi sbiadiscono e non sono più nulla.
Come dire, il tempo è il più efficiente terrorista.
Leggere questa poesia mi ha dato un po' di malinconia e la voglia di fare qualche telefonata tirando fuori numeri sepolti in qualche vecchia agenda. Ma non lo faro, giuro. Forse. Credo.
The Names
Yesterday, I lay awake in the palm of the night.
A soft rain stole in, unhelped by any breeze,
And when I saw the silver glaze on the windows,
I started with A, with Ackerman, as it happened,
Then Baxter and Calabro,
Davis and Eberling, names falling into place
As droplets fell through the dark.
Names printed on the ceiling of the night.
Names slipping around a watery bend.
Twenty-six willows on the banks of a stream.
In the morning, I walked out barefoot
Among thousands of flowers
Heavy with dew like the eyes of tears,
And each had a name --
Fiori inscribed on a yellow petal
Then Gonzalez and Han, Ishikawa and Jenkins.
Names written in the air
And stiched into the cloth of the day.
A name under a photograph taped to a mailbox.
Monogram on a torn shirt,
I see you spelled out on storefront windows
And on the bright unfurled awning of this city.
I say the syllables as I turn a corner --
Kelly and Lee,
Medina, Nardella, and O'Connor.
When I peer into the woods,
I see a thick tangle where letters are hidden
As in a puzzle concocted for children.
Parker and Quigley in the twigs of an ash,
Rizzo, Schubert, Torres, and Upton,
Secrets in the boughs of an ancient maple.
Names written in the pale sky.
Names rising in the updraft amid buildings.
Names silent in stone
Or cried out behind a door.
Names blown over the earth and out to sea.
In the evening -- weakening light, the last swallows.
A boy on a lake lifts his oars.
A woman by a window puts a match to a candle,
And the names are outlined on the rose clouds --
Vanacore and Wallace,
(let X stand, if it can, for the ones unfound)
Then Young and Ziminsky, the final jolt of Z.
Names etched on the head of a pin.
One name spanning a bridge, another undergoing a tunnel.
A blue name needled into the skin.
Names of citizens, workers, mothers and fathers,
The bright-eyed daughter, the quick son.
Alphabet of names in a green field.
Names in the small tracks of birds.
Names lifted from a hat
Or balanced on the tip of the tongue.
Names wheeled into the dim warehouse of memory.
So many names, there is barely room on the walls of the heart.
[Billy Collins - This poem is dedicated to the victims of September 11, and to their survivors]
I Nomi
Ieri, ero disteso, sveglio, nel palmo della notte.
Una pioggia leggera è entrata furtiva, senza aiuto di vento;
E quando ho visto il luccichio d’argento alle finestre,
Ho iniziato dalla A, da Ackerman per la precisione,
Poi Baxter e Calabro,
Davis e Eberling, nomi che cadevano a proposito
Come le gocce cadevano nel buio.
Nomi stampati sul soffitto della notte.
Nomi che scivolavano attorno a una piega colma d’acqua.
Ventisei salici sulle rive di un fosso.
Al mattino, sono uscito a piedi scalzi
Tra migliaia di fiori
Gonfi di rugiada come gli occhi di lacrime,
E ognuno aveva un nome –
Fiori inciso su un petalo giallo
Poi Gonzalez e Han, Ishikawa e Jenkins.
Nomi scritti nell’aria
E cuciti al vestito del giorno.
Un nome dietro una foto attaccata a una cassetta della posta.
Monogramma su una maglia strappata,
Ti ho visto sillabato nella vetrina di un negozio
E sulle luminose tende aperte di questa città.
Recito le sillabe mentre svolto un angolo –
Kelly e Lee,
Medina, Nardella e O’Connor.
Quando scruto nel verde,
Vedo un fitto groviglio dove le lettere sono nascoste
Come in un rompicapo per bambini.
Parker e Quigley nei ramoscelli di un frassino,
Rizzo, Schubert, Torres e Upton,
Nascosti nei rami di un vecchio acero.
Nomi scritti nel pallido cielo.
Nomi che salgono con la corrente che si forma tra i palazzi.
Nomi silenziosi nella pietra
O urlati dietro una porta.
Nomi esplosi sulla terra e nel mare.
Nella sera – luce calante, le ultime rondini.
Un ragazzo sul lago alza i remi dall’acqua.
Una donna alla finestra accende una candela,
e il profilo dei nomi si vede nelle nuvole rosa –
Vanacore e Wallace,
(e la X, se può, stia per i nomi di tutti i dispersi)
Poi Young e Ziminsky, l’ultima scossa della zeta.
Nomi incisi sulla punta di uno spillo.
Un nome disteso su un ponte, un altro infilato in un tunnel.
Un nome azzurro iniettato sotto pelle.
Nomi di cittadini, lavoratori, madri e padri,
La figlia dagli occhi luminosi, il figlio intraprendente.
Alfabeti di nomi in un campo verde.
Nomi nelle piccole impronte degli uccelli.
Nomi cavati da un cappello
O in bilico sulla punta della lingua.
Nomi rotolati nell’oscuro magazzino della memoria.
Così tanti nomi, manca quasi lo spazio sui muri del cuore.
[Traduzione di Piero Vereni – Questa poesia è dedicata alle vittime dell’11 settembre e a quanti sono loro sopravvissuti]
Pavel 2, Pirano
...E dopo colazione, non dovrò trovare qualcuno
che mi faccia una foto mentre poso il mio braccio sulle spalle del padrone... (Billy Collins)
Ma BC è rimasto a casa, se ricordate, quindi io il braccio ce l'ho messo. La spalla (e il resto) è di Dean, lo straordinario cameriere che ci ha serviti come fossimo gran signori. Pensate che, appena seduti, dopo aver preso le ordinazioni delle bevande, ha tolto il bicchiere sotto il naso di Rebecca, che l'ha subito guardato in cagnesco. Per ricredersi immediatamente quando lui è tornato con un bicchiere più grande, dotato di una meravigliosa cannuccia rosa!. Se le avesse letto nel pensiero non avrebbe potuto farle una gentilezza più grande. L'entusiasmo è stato tale che poi Rebecca, solitamente restia ai nuovi assaggi, si spazzolerà la frittura di scampi che avevo preso per me e Valeria, e (udite udite) mangerà con piacere le crepes alle noci (che avevo prese sempre per me... Sob).
Se andate a Pirano (se siete nostalgici di Venezia, Serenissimi et similia non ci andate, vi farà male al cuore vedere un pezzo di Venezia in terra straniera) un consiglio sincero è di andare a cena da Pavel 2. Niente di particolarmente strano, pesce dell'Adriatico cotto nei modi tradizionali ma molto buono, e molto ben servito.
Ci sono altre cose belle da raccontare del viaggio che abbiamo fatto io Valeria e Rebecca, ma questa andava detta subito. Il resto ci provo a raccontarlo quanto prima.
che mi faccia una foto mentre poso il mio braccio sulle spalle del padrone... (Billy Collins)
Ma BC è rimasto a casa, se ricordate, quindi io il braccio ce l'ho messo. La spalla (e il resto) è di Dean, lo straordinario cameriere che ci ha serviti come fossimo gran signori. Pensate che, appena seduti, dopo aver preso le ordinazioni delle bevande, ha tolto il bicchiere sotto il naso di Rebecca, che l'ha subito guardato in cagnesco. Per ricredersi immediatamente quando lui è tornato con un bicchiere più grande, dotato di una meravigliosa cannuccia rosa!. Se le avesse letto nel pensiero non avrebbe potuto farle una gentilezza più grande. L'entusiasmo è stato tale che poi Rebecca, solitamente restia ai nuovi assaggi, si spazzolerà la frittura di scampi che avevo preso per me e Valeria, e (udite udite) mangerà con piacere le crepes alle noci (che avevo prese sempre per me... Sob).
Se andate a Pirano (se siete nostalgici di Venezia, Serenissimi et similia non ci andate, vi farà male al cuore vedere un pezzo di Venezia in terra straniera) un consiglio sincero è di andare a cena da Pavel 2. Niente di particolarmente strano, pesce dell'Adriatico cotto nei modi tradizionali ma molto buono, e molto ben servito.
Ci sono altre cose belle da raccontare del viaggio che abbiamo fatto io Valeria e Rebecca, ma questa andava detta subito. Il resto ci provo a raccontarlo quanto prima.
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