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venerdì 28 gennaio 2011

Il dilemma algerino o il paradosso della democrazia


Nel 1991 il Fronte Islamico di Salvezza Nazionale vinse le libere elezioni democratiche indette in Algeria. Paventando un’iranizzazione del paese, vale a dire la consegna del potere politico nelle mani dei capi religiosi – e quindi di fatto la fine della democrazia di stampo occidentale che si stava cercando di affermare nel paese – le forze armate presero il potere, sciolsero il Fronte islamico e repressero le libertà civili. Come conseguenza di quell’atto repressivo, si formò il Gruppo Armato Islamico che terrorizzò il paese per tutti gli anni Novanta.
Il dilemma algerino quindi è chiaro: fino a che punto una democrazia deve essere democratica? Fino al punto che arrivi al centro del potere una forza che ha come obiettivo dichiarato la sovversione dei principi della democrazia? Ovviamente no, altrimenti la democrazia cederebbe il passo a una forza non democratica e quindi cesserebbe di esistere. Ma se quella democrazia, per salvarsi, mette in atto una rimozione forzata della componente non democratica ma democraticamente eletta, non sta forse negando se stessa, il principio stesso della rappresentanza democratica? Certamente sì, e quindi ecco il punto morto: se la democrazia accoglie (per rispetto al suo principio) chi la vuole distruggere, cessa di essere democrazia; ma se usa la forza per rimuovere quella stessa forza, nega sé stessa di fatto.
Credo che dovremmo pensare a questo dilemma paradossale quando riflettiamo sull’attuale politica italiana. Da un canto è evidente che SB sta modificando alla radice il modo di fare la democrazia in Italia, riducendone vistosamente gli spazi. La sua gestione del potere mediatico restringe ogni giorno la libertà d’espressione: dall’editto bulgaro al “mi fa orrore” di Marina Berlusconi rivolto alla dedica di Saviano, è infinito il florilegio di interferenze di un grande leader politico nel sistema della comunicazione di cui è in gran parte proprietario. Sul piano legislativo le numerose leggi ad personam, il suo sprezzo dichiarato per l’attività del Parlamento e dei “politici di professione” e il suo dirigismo aziendale hanno notevolmente ristretto le forme della rappresentanza, le libertà politiche più elementari alla base del sistema democratico. Gli ultimi scandali sessuali, poi, espongono al ridicolo il principio simbolico che il capo di una democrazia non debba essere un uomo eccezionale ma piuttosto normale” che le sue funzioni di guardiano delle istituzioni e propugnatore del bene del paese si realizzino meglio nella mediocrità del lavoro quotidiano piuttosto che nell’eccezionalità del deus ex machina. La democrazia, per definizione, non ha bisogno di pochissimi uomini straordinari, ma di una massa innumerevole di persone normali e perbene. Il priapismo di SB è degno dei re-sacerdoti, che al mattino si ponevano al centro del villaggio reggendo la loro turgida erezione (poi sublimata nello scettro) in attesa di essere sfidati dall’eventuale pretendente al trono, ma nulla ha a che fare con le funzioni di un primo ministro moderno.
Quindi, sul piano formale, su quello sostanziale e pure su quello simbolico SB sta chiaramente soffocando la democrazia in questo paese, e in quanto tale è un male per la democrazia del nostro paese.
Fanno allora bene quanti fanno il tifo per le procure più impegnate a cercare una soluzione giudiziaria che produca la sua rimozione? Non ne sono così sicuro, per il semplice fatto che SB è lì per via della democrazia, perché è stato regolarmente e democraticamente eletto, e se si ripresentasse oggi alle elezioni verrebbe quasi sicuramente rieletto con gli stessi numeri dell’ultima tornata elettorale. SB sta smantellando la democrazia perché è stato messo in quella posizione dalla maggioranza dell’elettorato, probabilmente proprio per fare quel che sta facendo.
Non ci sono scuse: SB è il prodotto italiano più tipico del suo progetto culturale (cittadino come consumatore) ed è stato eletto da persone che in questo ultimo quarto di secolo sono diventate cittadini consoni al suo progetto culturale prima ancora che politico, ma che con questo non hanno certo perso i loro diritti civili, e che quindi l’hanno eletto con i crismi della democrazia.
Dobbiamo smetterla di preoccuparci di SB, credo, e dobbiamo cominciare a interessarci seriamente delle “donne del Pdl” e delle “donne della Lega” che questa settimana a Caterpillar, su Radio2, hanno dato pubblicamente la loro adesione al progetto politico di SB sostenendolo e difendendolo dal “complotto” ordito per scalzarlo proditoriamente dalla posizione di potere legittimamente raggiunta.
Fino a quando SB sarà politicamente plausibile, sarà anche politicamente reale. Penso sia ora di lasciare alla psicologia le ragioni del perché SB è così, per provare invece a capire meglio quali sono i confini culturali collettivi entro cui la figura di SB come primo ministro non solo non fa orrore, non solo non fa ridere, ma anzi è vista come un auspicabile progetto da perseguire.