Ho un pessimo senso dell’orientamento, e per questo mi piacciono le
mappe, le rese grafiche di quel che non riesco mai veramente a pensare per conto mio. Se sono in un posto che non conosco (praticamente ovunque) e mi posso orientare con una
piantina mi sento un po’ meno a disagio (dire che mi sento a mio agio sarebbe veramente troppo).
Per questo, quando ho avuto l’informazione che
Possibile si stava costituendo in una forma di aggregazione impegnativa, ho presto pensato di farne una mappa. Per provare a orientarmi, per cercare di capire che spazio configuri.
Chi siamo
noi, che siamo qui? Questo è un altro modo di definire la mappa (ricordo che de-finire vuol dire “stabilire i confini”).
1. Siamo
A SINISTRA DEL TRASFORMISMO, questo direi che è il primo segnaposto della mappa. Per noi non è vero che destra e sinistra sono la stessa cosa, che tanto è tutto uguale e che quindi bisogna puntare al c entro. Siamo quelli che vengono dal mondo del
lavoro, salariato, autonomo, garantito o precario, ma è il mondo del lavoro che ci definisce. Paghiamo le nostre tasse, e ogni mattina dobbiamo alzarci presto per portare a casa la giornata. Abbiamo un’
etica del lavoro senza averne il
culto; ci assumiamo i nostri doveri per dovere e la rendita, semplicemente, non sappiamo cosa sia. Siamo a sinistra di ogni compromesso siglato perché "così poi vinciamo", e tra
potere e
dignità scegliamo sempre la seconda. Qualcuno di noi, addirittura, parla ancora di
parola d’onore, di impegni presi che vanno rispettati. A noi non interessa “metterci la faccia” perché ci mettiamo tutti noi stessi, e la faccia la lasciamo a chi ha la pretesa di essere telegenico. Vogliamo
giustizia sociale e
inclusione politica, questi sono i binari della nostra azione, che è sempre politica: quando paghiamo le nostre tasse, quando scegliamo la scuola dei nostri figli, quando facciamo la spesa più etica che possiamo, quando insegniamo, quando impariamo. Pensiamo che la politica non sia una cosa brutta, ma una cosa che si fa o si subisce.
Siamo a sinistra, non c’è nulla di sbagliato in questo.
2. Ma a questo punto c’è un secondo segnaposto da indicare. Siamo a sinistra, ma siamo
CONTRARI AD OGNI SETTARISMO IDENTITARIO, al culto freudiano delle piccole differenze, per cui quel che conta è sentirsi per forza appartenenti a un
gruppuscolo di illuminati che, lui sì, sa veramente dove la storia sta andando. Siamo pieni di
dubbi, cristo santo, e non ci interessa la fittizia
illusione della
certezza. Molti di noi hanno una qualche formazione canonica “a sinistra”, ma moltissimi di noi non hanno nessun interesse a preservare le “linee guida del marxismo-leninismo”. Per capire come risolvere il
conflitto tra capitale e lavoro, capitale e natura, lavoro e natura, l’industrialismo fallocratico dell’ortodossia siderurgica è una causa per noi persa, e non ci interessa vincerla. Vogliamo
spostare letteralmente il campo di gioco: oggi il conflitto si chiama immigrazione transnazionale, questione di genere, delocalizzazione della produzione, terziarizzazione dei lavori inutili. Non vogliamo essere bacchettati, da chi ancora mastica un gergo
stantio, per le nostre ingenuità, per non aver capito come effettivamente stanno le cose e per non aver colto nell'ultimo Comitato Centrale un riferimento dotto alla gestione dei mezzi di produzione. Basta, c’è tutto un mondo
lì fuori che ha bisogno di essere ripensato.
Grazie compagni, grazie fratelli maggiori, per il vostro apporto, per quel che avete dato ai nostri padri in termini di coscienza di classe, di giustizia sindacale, di spazi e tempi liberati, ma per uscire dai conflitti attuali incorporati dal
tardo capitalismo abbiamo bisogno di modelli nuovi, teorie più adeguate. Non possiamo continuare a leggere i testi sacri illudendoci che possano darci consigli su come capire un mondo che non era stato neppure immaginato quando i nostri barbuti antenati li scrivevano. Non vogliamo un’altra
chiesa, vogliamo semmai abbattere i muri delle chiese della nostra parrocchia, far girare aria fresca, sentire che si dice, con tutta l’ingenuità del neofita. Perché ci piace imparare ma ci piace anche curiosare, e in un mondo che sta diventando informativamente
orizzontale abbiamo bisogno di strumenti per orientarci e muoverci come
guerriglieri agili, non possiamo più prestare attenzione alle
beghine che vorrebbero portarci con loro ad accendere l’ennesimo lumino davanti all’immaginetta sacra del loro santo protettore.
Siamo quindi a sinistra, ma senza alcun dogmatismo; siamo convinti che il modo attuale di fare politica e di fare economia vada rivoluzionato, ma non abbiamo ricette precotte e vogliamo credere che tutto il nostro impegno creativo sia ancora necessario.
3. Per questo, spostandoci ora dall'asse destra/sinistra a quello al di qua/al di là, dobbiamo aggiungere un ulteriore segnaposto, necessario per capire dove siamo. La nostra
creatività, la nostra voglia di fare supera tutte le esigenze gregarie, e tutte le fascinazioni leaderistiche. Noi, noi tutti, noi uno per uno, noi ciascuno di noi, siamo ben
AL DI LA' DEL DISINCANTO che sembra attanagliare la vita politica e anche, purtroppo, la vita quotidiana di questo paese. Siamo pieni di
illusioni, pieni di
speranze. Non abbiamo una briciola di velleitario ottimismo, forse, ma abbiamo un sacco di spirito di iniziativa. In un mondo dominato dal giovanilismo modaiolo noi crediamo nel nostro ruolo, reale e metaforico, di
padri e
madri, di responsabili, di fronte alla Storia e alla Vita, di quelli che verranno dopo di noi. Abbiamo un ideale, cazzo, abbiamo un sacco di ideali e non ci frega nulla se quelli con il sopracciglio ben arcuato
ridacchiano del nostro idealismo, ma invece soffriamo per quella
disillusione che è diventata sordità civica. E’ lì il nostro campo di battaglia, dentro le anime inaridite delle donne e degli uomini di questo paese che
non votano più, che non credono più, che non hanno più una prospettiva se non quella di sfangarla finché si può. Per tutti quelli che si sono condannati a
sopravvivere da soli, noi urliamo che
vivere insieme è possibile, che il cinismo dei fighi e dei delusi non prevarrà, che noi siamo più forti perché quando Aristotele diceva che l’uomo è uno
zoon politikon non voleva dire che l’uomo è un animale politico, ma voleva dire che è un animale “che vive in città”, cioè che vive assieme ai suoi simili
condividendo, partecipando. Tra essere
gregge, come vorrebbe il sistema politico attuale, ed essere
cani sciolti (come ci induce ad essere l’amarezza della disillusione) c’è uno spazio enorme per essere
soggetto collettivo della nostra cittadinanza.
4. L’orgoglio dell’essere assieme condito della modestia dei singoli è quindi un elemento centrale del nostro spazio possibile, ma per capirne l’intima natura abbiamo bisogno del quarto segnaposto, l’ultimo. Siamo oltre lo scoramento, certo, ma la nostra voglia di fare si ferma ben
AL DI QUA DEL LIVORE. Non crediamo alla logica fondativa del nemico
interno, né a quella bellica del nemico
esterno. Ci confrontiamo, sappiamo farlo anche duramente con i nostri
avversari, ma l’insulto, l’assalto, la
bava alla bocca e il coltello tra i denti non fanno proprio parte del nostro stile. Per agire politicamente in modo efficace sappiamo bene che i nostri argomenti devono essere in grado di scendere dal
cervello al
cuore, ma ci fermiamo sempre prima della
pancia. Lasciamo ad altri la libertà di essere sguaiati, di pensare che la politica sia una sceneggiata da talk show, uno sberleffo. Vogliamo
costruire un paese migliore, e non crediamo che questo obiettivo si ottenga limitando il proprio programma alla sistematica distruzione
morale del nemico, e basta. Non raggranelliamo le nostre identità confuse attorno al totem della
rabbia finalmente liberata, perché a noi interessa stare assieme perché condividiamo un progetto di
futuro, più che un rigetto del presente.
In un mondo che ci spinge sempre più ad essere cinici, settari, disperati e rancorosi, che fa di ognuno di noi il
solitario guardiano del proprio risentimento, c’è tutto uno spazio possibile di
condivisione e di reciprocità, che si allarga di fronte a quelle forze del più deleterio individualismo.
Siamo tantissimi, ma non ce ne accorgiamo perché ognuno di noi è troppo preso dal suo lavoro, dai suoi impegni, dai suoi problemi, dalle sue fasulle connessioni sociali, per poter vedere quanti hanno lo stesso sguardo, la stessa voglia di fare, la stessa passione per la vita sociale, la stessa convinzione che o si mette in piedi un progetto di futuro più giusto assieme, oppure non vi sarà alcun futuro per nessuno. POSSIBILE è lo spazio POSSIBILE di quella consapevolezza, almeno io vorrei che quello fosse, un luogo aperto di socialità, condivisione e
cittadinanza attiva. Un luogo tutto da costruire, certo, ma se ci accorgiamo che c’è, se entriamo in quello spazio e cominciamo a darci da fare, guardandoci negli occhi potremo vedere che, finalmente, è POSSIBILE .