Guardando a queste europee dalla periferia romana, colpisce il doppio
dato del VI municipio, detto delle
Torri, quello dove si trova l’università per cui lavoro, Tor Vergata, e il polo
culturale ex Fienile con cui lavoro sul territorio.
Il dato è il doppio record, di voti
alla Lega (il massimo in città, 36,8%, mentre nel comune è al 26%) e di affluenza alle urne (in questo caso il minimo a Roma, 42,4, nettamente inferiore
al 56,5 dell’intero comune). Allora, dalle mie parti si vota pochissimo, e si
vota a destra alquanto arrabbiati, pare.
Non ho idea di come la prenderanno
i locali amici 5S, convinti che la valanga che aveva eletto Virginia Raggi
avesse un’impronta sanamente popolare,
e non biecamente populista come altri
temevano.
A me resta il senso di sgomento per le prospettive di questa
città. Per prendere il 26 (e quasi il 37 in periferia) la Lega ha potuto
pescare candidati ovunque nel paese,
date le dimensioni ultraregionali dei collegi elettorali. Ma se spera di
bissare il successo alle prossime
comunali (come sembra aver puntato da mesi, da quando Salvini ha iniziato a stuzzicare la sindaca ad ogni occasione) la Lega dovrà trovare candidati nella città metropolitana, e su questo
c’è veramente da temere.
Se il M5S poteva far conto su una marea sbriciolata di
semplicioni un po’ bislacchi ma
anche bonari e fondamentalmente innocui (ormai è evidente: si sono candidati e
sono stati eletti quasi tutti “individui”, veri cani sciolti con pochissimi precedenti legami intermedi con il corpo sociale e politico della città, e senza veri
contatti con l’associazionismo, che
è invece la spina dorsale che ancora impedisce a Roma di collassare su sé stessa),
la strategia di reclutamento della Lega dovrà essere ben altra. Per fare l’amministratore
grillino bastava avere un po’ di buon cuore,
tanto amore per il popolo e una dose
di risentimento adeguata, ma per
candidarti nella Lega a Roma devi proprio essere cattivo, di quelli duri, che gli viene la bavetta all’angolo della
bocca a forza di parlare nel megafono;
che parla male di papa Francesco e dei suoi cardinali comunisti; che strizza l’occhio agli ultrà più violenti e che pensa che la crisi abitativa (cronica in
questa città) vada risolta una volta per tutte con gli sgomberi; che crede veramente che i rom non si meritino le case popolari in nessun caso (ma non meritino
neppure di vivere nei campi, e vai di
ruspa); che credono veramente che “Mussolini ha fatto anche cose buone”; che non hanno alcun ritegno nell’incazzarsi e
nel mostrare i bicipiti; che amano
indossare divise, possibilmente di Forze dell’ordine.
Dove li andrà a reclutare, tutti
questi celoduristi in una città come
Roma, da sempre attenta ad essere tollerante, molliccia fino al fastidioso, pigra
fino al punto di essere pacifica pur di risparmiare energie? Io ho il timore
che dovrà proprio raschiare il fondo del
barile sociale della città, prendersi il peggio del peggio e consegnargli
la città: tiè, fanne strame.
Per questo dobbiamo continuare a
lavorare, a fare il nostro lavoro di formazione, di inclusione, di preparazione. Portare i tanti disillusi
a partecipare, a votare, a far sentire la loro voce anche se non è un urlo
incazzato, anche se è solo una storia di
periferia, di vita quotidiana, di battaglia coi bus e con i servizi che
mancano.
Per questo non molliamo, noi del
fienile, con la nostra Scuola
di politica, e domani ospitiamo Renato
Curcio. Un nome condannato dalla sua condanna (scontata tutta), un sociologo che ha molte cose da insegnare (più ora, direi, di quante
non ne avesse quando è stato messo in galera) e una testa che non ha mai smesso
di pensare connettendosi al pensiero
di altri. Vi aspettiamo, alle 18, a largo Mengaroni, a Torbellamonaca.