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sabato 9 gennaio 2010

Blogging Lévi-Strauss


Questo sarà pubblicato sul prossimo numero di AM/Antropologia Museale. Grazie a tutti quelli che cito e le mie scuse ai blogger che hanno scritto di L-S ma non cito (forse perché non li ho letti, forse perché non ci stavano come spazio).



La morte di Claude Lévi-Strauss ha sollevato ovvio clamore in tutto il mondo, data la statura intellettuale del personaggio e la sua notorietà planetaria. Può essere quindi interessante una brevissima (e necessariamente incompleta) rassegna delle reazioni registrate su Internet.
La ricerca dell’entrata “Claude Lévi-Strauss” su Google restituisce “circa 1.620.000” pagine, ma se si tralasciano le voci delle diverse enciclopedie online, gli innumerevoli necrologi ripresi dalla carta stampata (sono 64.000 le pagine restituite dalla ricerca “claude levi strauss death”) e le note biografiche riportate dai siti espressamente dedicati all’antropologia, rimane un piccolo corpus di post pubblicati su blog generici o comunque non gestiti da antropologi.
L’immagine generale che se ne ricava è in parte lontana dalla figura istituzionale di Lévi-Strauss, e decisamente distante dal Lévi-Strauss con il quale siamo (stati?) soliti confrontarci “dentro la professione”, per così dire.

Incredibile a dirsi, nei blog gestiti da americani il sentimento più comune per la morte dell’ultracentenario antropologo è stata la sorpresa, dettata dal fatto che il mondo anglosassone evidentemente considerava Lévi-Strauss già morto da un pezzo. Sul blog di lingua inglese orbis quintus l’autore commenta la notizia con queste parole: “Sono un po’ imbarazzato, dato che pensavo fosse già morto, e la sorpresa è confermata in un commento al post: “Nei miei corsi di antropologia ci si riferiva a lui sempre con il passato remoto, dal che ne deduco che anche i miei professori pensavano che fosse morto”.
Questo tipo di annotazioni appare di frequente, riporto ad esempio un altro commento a un breve post sul blog Stephen Bodio’s Querencia: “Wow! Non avevo proprio idea che fosse ancora in giro dopo così tanto tempo! Ho studiato le sue cose un sacco di anni fa per la mia laurea in antropologia, e già allora era considerato vecchio!”. Di questo blog è interessante riportare anche il breve post originale, che forse riesce a trasmettere il senso della ricezione “media” di questo autore negli Stati Uniti. Scrive Reid Farmer:
Claude Levi-Strauss [sic, senza accento], un antropologo culturale francese, è morto all’inizio di questa settimana all’età di cent’anni. È stato un gigante dell’antropologia culturale e corrispondeva molto bene all’immagine stereotipata dell’intellettuale francese. È stato uno dei fondatori dello strutturalismo e ha fatto di tutto per dimostrare che la raffinatezza e l’elaborazione delle mitologie e delle religioni anche delle società più “primitive” ci dimostrano che tutti noi abbiamo capacità intellettuali simili.
Mi ricordo di aver letto il suo Tristi tropici come matricola per un corso di introduzione all’antropologia culturale. Devo riconoscere che era un testo troppo sofisticato e teorico perché il mio cervello di diciottenne riuscisse veramente ad afferrarne il senso. La cosa principale che mi è rimasta è la sua affermazione che i miti usano gli esseri umani per riprodurre se stessi.
Il suo lavoro è così lontano nel tempo, e lui è vissuto così a lungo, che veramente sembra appartenere a un’altra era. Vedere il suo necrologio è stato un po’ come aprire il giornale e trovarci la notizia della morte recente di Franz Boas o Alfred Kroeber.
Sempre per rimanere tra i bloggers americani, molto successo ha riscosso il vecchio equivoco tra il cognome dell’antropologo e la quasi omonima marca di abbigliamento e jeans, per cui non sono mancate le battute del tipo “I suoi jeans continueranno a vivere” e, come didascalia di una foto di due indigeni nudi: “I Bororo hanno scelto di non indossare i pantaloni in segno di lutto per la morte di Lévi-Strauss”. Dello stesso macabro tenore la battuta che “in suo onore tutti i pantaloni saranno indossati a mezz’asta fino al calar del sole”. Si fa notare, tra i commenti, un laconico ed efficace “Riposi in jeans.
Il tono, come si vede, è in genere tra lo scanzonato e l’incredulo. Più interessante invece seguire sulla rete la diatriba sulla cultura di appartenenza di Lévi-Strauss. Tzvee Teaneck, ad esempio, nel suo Tzvee’s Talmudic Blog si occupa dell’antropologo solo in quanto ebreo: “Claude Lévi-Strauss era ebreo? Sì, il grande antropologo appena scomparso all’età di cent’anni era ebreo e nipote di un rabbino”. Il tema sembra interessare più di un blogger (a volte con commenti dal tono antisemita) e vale la pena di citare un passo significativo di un post di Mel Konner, che si definisce un ebreo ortodosso che ha perduto la fede:
Per Lévi-Strauss, come per Boas e per altri antropologi ebrei, sussisteva un’ulteriore conseguenza nell’essere un outsider culturale: questo aspetto li spingeva a guardare con simpatia alle culture più semplici, che la maggior parte dei loro contemporanei giudicava con disprezzo. Il giovane intellettuale che probabilmente non si sentiva del tutto francese — il cui popolo era costretto a nascondersi e veniva ucciso a causa dei suoi costumi bizzarri e isolati – divenne il ricercatore sul campo che attraversò la foresta amazzonica per registrare i bizzarri costumi di popoli ancor più isolati, rispettandoli e preservandoli per i posteri.
L’immagine finale dell’ebreo inconsapevole pronto a penetrare la foresta in nome della diversità ci consente di aprirci a un’altra rappresentazione comune nel mondo della rete, vale a dire quella dell’etnografo avventuroso. Non si contano le foto del giovane e barbuto Lévi-Strauss alle prese con il suo rapido e notoriamente impacciato fieldwork, ma l’immagine che ne emerge è quella decisamente romantica di un giovane Indiana Jones sempre pronto a partire per una nuova avventura. La sovrastima della dimensione eroica dell’antropologo non cede neppure di fronte alle esplicite ammissioni dello stesso. Dopo aver riportato la celeberrima pagina iniziale di Tristi tropici (“Odio i viaggi e gli esploratori…”), Guglielmo, autore del blog Mi punge vaghezza… non si trattiene dal commentare, rivelando la comune convinzione che Lévi-Strauss fosse uno spericolato esploratore: “Sorprendente mi è sembrato che un antropologo di tale fama, famoso in tutto il mondo per i suoi studi e le sue ‘missioni’ nei luoghi più inesplorati del mondo, dichiari la sua ‘ostilità’ al viaggio”.
Eppure, tra i blogger, il riferimento alle pagine di Tristi tropici è costante. Ci sono, è vero, tentativi di presentare un quadro più compiuto della sua teorizzazione strutturalista (notevole in questo senso il pezzo che l’infaticabile Annarita Ruberto ha postato sul suo blog dedicato alla didattica, Scientificando, sintomaticamente titolato “Lévi-Strauss uomo strutturalista e vero Galilei del Ventesimo secolo”) ma il testo citato costantemente è quello più dichiaratamente letterario, come nel post che Paola Tassinari ha presentato sul suo blog, Il forum di Teoderica, oppure facendo riferimento ai passi più esistenzialisti della scrittura dell’antropologo, con citazioni decisamente lontane dall’immagine nitida dei cristalli strutturali, come quella riportata da Batsceba Hardy nel suo blog:
O vivere la vita nel modo più soddisfacente possibile, e allora comportarsi come se le cose avessero un senso pur sapendo che in realtà non ne hanno nessuno: restare lucidi, lasciarsi portare, andare all’avventura. O altrimenti ritirarsi dal mondo, suicidarsi oppure condurre un’esistenza da asceta tra le foreste e le montagne.
Un raro caso in cui riemerge la lucida razionalità dello scienziato sociale è quello presentato in uno dei blog più seguiti della rete, vale a dire Lipperatura di Loredana Lipperini, che ha scelto di ripubblicare come post un famoso pezzo scritto da Lévi-Strauss dopo la morte di Lady Diana, e rivolto a sondare il ruolo del fratello della madre (e quindi il legame matrilineare) nei sistemi di parentela europei. Si tratta di un pezzo anche tecnico, ma i commenti positivi sembrano indicare un sincero apprezzamento dei lettori.
In conclusione, possiamo dire che nella Rete il grande antropologo francese diventa facilmente un’icona romantica o lo spunto di riflessioni sull’esistenza e sull’alterità, una figura di sofferente filosofo più che un rigoroso scienziato, ma non è detto che questa rappresentazione molto umana e molto poco apollinea (Lévi-Strauss vittima di banali giochi di parole; Lévi-Strauss ebreo che ha smarrito la “sua vera cultura”; Lévi-Strauss improbabile esploratore “nei luoghi più inesplorati del mondo”) sia fallace, come ci ha dimostrato la famosa lettura di Tristi tropici offertaci più di vent’anni fa da Clifford Geertz (Clifford Geertz, “The World in a Text. How to Read ‘Tristes Tropiques’”, in Works and Lives. The Anthropologist as Author, Stanford, Stanford University Press, 1988, pp. 25-47. Traduzione italiana “Il mondo in un testo. Come leggere «Tristi tropici»”, in Opere e vite. L’antropologo come autore, Bologna, il Mulino, 1990, pp. 33-55.