Ci siamo lasciati alla fine della lezione sei parlando della poca disponibilità di modelli intrinseci (ossia biologicamente determinati) per l'essere umano e di questa conseguente quasi ossessiva ricerca e costruzione di fonti estrinseche di informazione cui fare riferimento; in altre parole, ci siamo lasciati parlando dei modelli culturali.
Geertz insiste sulla distinzione tra due tipi di modello
Modello di - rappresentazione astratta di qualcosa
Modello per - modello operativo di azione
Gli esseri umani sono gli unici animali che elaborano modelli di complessi (anche alcuni animali possiedono una qualche rudimentale forma di modello di), e che anzi possono usare modelli di come modelli per, e viceversa. Questa distinzione è importante per cui ci soffermiamo ad analizzarla bene. Immaginiamo una diga: mentre un castoro dispone sicuramente di un modello di come si costruisce una diga, ossia un modello per, un essere umano non potrebbe averne uno senza avere prima un modello di, ossia una qualche teoria su come è fatta una diga (una rappresentazione).
In altre parole, negli esseri umani è la funzione simbolica a FONDARE l’agire stesso.
Questo nei modelli religiosi si traduce nel chiasmo che abbiamo osservato nella precedente lezione, tra:
MODELLO DI / COSMOS / CAPISCO - C'è una teoria, una rappresentazione che indica che esiste qualcosa come un paradiso e un inferno;
questo mi permette di elaborare un
MODELLO PER / ETHOS / AGISCO SECONDO UN MODELLO ETICO - Per non andare all'inferno, devo agire così oppure colà.
2. stabilendo profondi e diffusi stati d'animo e motivazioni….
In questa sezione Geertz intende dimostrare che “Praticare un modello” equivale a “incorporarlo”.
I modelli culturali inducono disposizioni che sono stati culturali esterni alla psiche dato che possono essere indagati nei comportamenti (anche verbali). Le disposizioni indotte dai modelli culturali si suddividono in
Motivazioni , che “non sono né atti … né sentimenti, ma inclinazioni a compiere particolari classi di atti o ad avere particolari classi di sentimenti”. Sono vettoriali, vanno da uno stimolo verso un fine.
Gli stati d'animo invece accadono, e variano per intensità ma non hanno direzione. Semmai hanno una causa, una condizione che li ha originati.
3…formulazione di concetti di un ordine generale dell’esistenza…
La religione, dunque, prende il Mondo sul serio e “ne” parla sul serio, cioè parlandone in forme che lo trascendono, che “vanno oltre” che “rimandano a”, che “richiamano” o “fanno riferimento a” un livello ulteriore che non si dà per scontato nel senso comune. Le Disposizioni (motivazioni e stati d’animo) di cui si è parlato vengono attivate attraverso questi “enunciati sul Mondo”; che sono “di ordine generale” perché del Mondo parlano, della sua disposizione ad essere in qualche modo Cosmos.
Le disposizioni si possono attivare grazie al fatto che la R. dice qualcosa di come il mondo è. Non è per ora importante il contenuto, ma lo stile affermativo di questo dire: la R. non tentenna, ma stabilisce, non domanda, ma afferma: il mondo è così.
Questo dire potrà privilegiare un asse razionale, emotivo o morale, ma queste tre direzioni spesso si accavallano e possono essere distinte solo sul piano analitico. Se manca questa dimensione “generale” manca in effetti la dimensione religiosa.
Questo dire va detto per affermare la forza simbolica dell’uomo, per contrastare il Caos con il Cosmos.
Il Caos si affaccia, con la sua intrattabilità (che è di fatto non interpretabilità) lungo tre dimensioni
1. Cognitiva = non capisco = stupore
2. Emotiva = sto male = sofferenza
3. Morale = non so se è bene = dilemma etico
Queste tre condizioni mettono in dubbio la nostra certezza simbolica, che il mondo cioè sia interpretabile, abbia una forma sensata.
Ed è qui che la religione entra con il suo dire, affermando che un senso ci può essere. Di fronte a Caos, la religione agisce come un pronto intervento ermeneutico, garantendo un travaso di senso sull’oggetto o nelle immediate vicinanze.
4. il rivestimento di questi concetti con un’aura di concretezza tale che…
In questo paragrafo Geertz cerca di entrare corpo a corpo con il fondamento della religione, vale a dire la “credenza”, che più che essere ridotta alla sua componente psicologica viene fatta risaltare nella sua componente sociale, come sempre. Credere significa di fatto affidarsi a un’autorità che garantisce tutto quel che ne consegue, anche se non necessariamente lo si conosce.
Non si arriva a credere per una progressiva spremitura induttiva del reale, ma piuttosto per un Salto necessario che deve essere compiuto. Attraverso questo salto, l’esperienza viene caricata del giusto significato. Non c’è un’esperienza da cui lentamente promana il senso religioso, ma un’abduzione di senso del mondo.
Questo salto è necessario per la “prospettiva religiosa”, che Geertz contrappone ad altre tre prospettive: del senso comune, della scienza e dell’estetica.