Creta è un posto assurdo, che
non conosco affatto anche se la mia specializzazione geografica è la Grecia.
Io ho lavorato nella Sterèa Elleda, la Grecia continentale, balcanica,
dove si mangia lingua di manzo, l’unico pesce è quello di lago e d’inverno si è
investiti da tormente di neve (almeno quando ci stavo io, tra trenta e
venticinque anni fa).
Creta
invece è un’isola mediterranea per quanto ancora riconoscibilmente veneziana,
piena di suoni insoliti per il greco standard che si insegna a scuola. Piena di
gente strana, un po’ la Sardegna della Grecia, senza che nessuno si
offenda: un’isola che insieme si porta una sua specificità etnica e la
forza morale di essere un bastione della nazione “maggiore” cui appartiene,
per amore e un po’ per forza.
A
Creta si cantano (e ancor più si ballano) le madinadhes. Lo scrivo così,
non mantinades, che è una traslitterazione dall’alfabeto greco, visto
che la lingua greca non ha il suono “d” autonomo, ma lo produce solo come
sonorizzazione della “t” dopo nasale, per cui Freud viene traslitterato SIGMOUNT
FROYNT (Σίγκμουντ
Φρόυντ)
con diversi problemi di resa di pronuncia (si rischia di dire “Sigmud”, oppure “Froind”).
Insomma,
madinadha al singolare, parola veneziana: versi di 15 sillabe in rima
baciata, spesso improvvisati, come la poesia popolare di tutto il Mediterraneo
(o del mondo, ma non lo so, non sono esperto). So però che il modello “alto”
della lingua greca cretese è l’Erotocritos di Vitsentzos Kornaros (si può
scrivere in diversi modi) che era fratello cretese-greco del veneziano-italiano Andrea
Cornaro. Due fratelli: uno scrive il poema fondativo della letterarietà greco-cretese,
l’altro scrive centinaia di poesie in italiano (il suo cognome è spesso riportato
in veneziano: Corner, con l’accento
sulla è, mi raccomando).
Cose
che capitano tra i levantini…
Le
madinadhes parlano di amori spesso sofferti e questa canzone di Antonis
Martsakis mi ha conquistato per come riprende certi temi tipici di questa
struttura popolare, ma con una sensibilità e con un “culto della fedeltà”
che risale all’Erotokritos e che sento molto vicina a me in questa fase della
mia vita. L’immagine del limone e poi dei fiori è quasi stucchevole,
certo, ma c’è una consapevolezza della forza del linguaggio che mi
commuove.
Non
importa che il lume che faceva luce si sia spento, basta la forza della
passione a generare dal volto di lei una luce che gli consente di usare
anche l’ago e il filo del ricordo. Tenere assieme le cose,
nonostante tutto, cucire i pezzi con l’amore anche se quei pezzi, materialmente,
non ci sono più. La lampada potrà pure invecchiare, ma la luce che promana dall’amore
non può invecchiare, per definizione.
https://youtu.be/z4aS66J7Fxg?si=OMFvV342621xwVwE
ΓΙΑ ΤΟ ΘΕΟ ΜΑΝΑ ΜΟΥ |
PER L’AMOR
DI DIO, MAMMA MIA |
Η λεμονιά που ερέχτηκα σ’άλλο μοιράσι πέφτει |
La pianta di limone che amavo è caduta in un altro destino, |
Δεντρί που σε καμάρωνα καθημερνή και σχόλη |
Albero che ammiravo nei giorni feriali e nei festivi, |
Θα σ’αρνηθώ άμα θα δεις δύο φεγγάρια βράδυ |
Ti rinnegherò solo quando vedrai due lune nella notte, |
Μηλιά μου κιτρολεμονιά, ρόδο και γιασεμί μου |
Melo mia, limone e cedro, rosa e gelsomino mio, |
Κάμετε άνθη του μπαξέ στη μέση μονοπάτι |
Fate, fiori del giardino, un sentiero in mezzo, |
Ως κι αν αλλάζουν οι καιροί, ως κι αν περνούνε οι χρόνοι |
Anche se i tempi cambiano, anche se passano gli anni, |